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Condannata a 9 anni e 4 mesi

Omicidio di Pedrengo, le motivazioni della sentenza: “Eliana Mascheretti voleva uccidere il cugino”

Le 90 martellate, la violenza con cui state sferrate, le parti vitali colpite per un lungo lasso di tempo, per il giudice non sono compatibili con l'omicidio preterintenzionale

Pedrengo. Non voleva solamente dare una lezione al cugino, lo voleva uccidere. O meglio, sferrandogli 90 violente martellate, non poteva non aver preso in considerazione l’ipotesi che tutti quei colpi potessero provocarne il decesso.

Questo è in sostanza il succo delle motivazioni che hanno spinto la Corte d’assise del Tribunale di Bergamo a condannare Eliana Mascheretti, ingegnere di 61 anni, a 9 anni e 4 mesi per l’omicidio volontario del cugino Giuliano, con il quale conviveva nella casa di via Camozzi a Pedrengo.

Dal 2015 la donna aveva deciso di prendersi cura di lui, ipovedente e bisognoso di assistenza. Dopo la morte dei genitori, che aveva accudito per circa 15 anni perché gravemente malati, Eliana era rimasta sola, così aveva dato la propria disponibilità ad aiutare Giuliano, provato da difficoltà fisiche ed economiche.

Il 73enne usciva infatti da relazioni con uomini che si erano approfittati di lui spillandogli denaro. Per accontentarli aveva dilapidato tutta l’eredità lasciatagli dalla sua famiglia: conti correnti prosciugati, appartamenti venduti, compresa la casa al mare in Liguria. L’ultimo compagno che aveva avuto lo aveva maltrattato e picchiato, tanto da provocargli la cecità da un occhio e una vista limitata dall’altro. Dopo un periodo trascorso in una Rsa, dove faticava a pagare la retta, Giuliano aveva accettato l’invito della cugina e si era trasferito da lei a Pedrengo.

Inizialmente i due andavano d’accordo, si volevano bene e avevano diversi interessi in comune. Ma con il tempo i rapporti avevano iniziato ad incrinarsi: un po’ perché Giuliano continuava a mentire rispetto alla sparizione di somme di denaro delle quali verosimilmente si era appropriato, un po’ perché le sue condizioni fisiche peggioravano e aveva un bisogno sempre maggiore di essere accudito, cosa che a Eliana cominciava a pesare.

Il 20 dicembre 2020 la convivenza è degenerata in omicidio. Quella sera i due avevano discusso pesantemente: dopo una giornata trascorsa tra una visita al cimitero, un giro in centro, un aperitivo con amici, Eliana era stanca ma Giuliano voleva uscire di nuovo per andare a Bergamo a vedere le luminarie di Natale. Lei, provata anche da liti avvenute nei giorni precedenti, si è diretta in cucina, ha afferrato un martello e ha colpito ripetutamente il cugino nel bagno dell’appartamento. Un’aggressione durata diversi minuti: novanta martellate sulla testa, sulla spalla, sul torace, le mani, le braccia, l’anca, le cosce. Alcuni colpi li ha sferrati con il manico del martello, altri con la parte in metallo. La violenza è stata tale che una martellata ha rotto il lavandino del bagno, gli schizzi di sangue sono finiti sulle pareti e addirittura sul soffitto. La donna si è fermata solamente quando il martello si è rotto.

Giuliano non è morto subito. La cugina lo ha aiutato a lavarsi e lo ha messo a letto. Lui si lamentava, faceva fatica a respirare. Allora lei gli ha prima messo un cuscino dietro la schiena, poi lo ha seduto su una sedia con le rotelle, gli ha dato un antidolorifico e del succo di frutta. Ma le lesioni interne riportate dall’uomo nell’aggressione erano troppo gravi: Mascheretti, a causa delle botte, ha avuto un rigurgito che lo ha soffocato. Lo hanno confermato sia il medico legale consulente dell’accusa sia quello nominato dalla difesa.

“Il dolo che ha animato la Mascheretti è certamente di tipo omicidiario – scrive il presidente della Corte d’Assise Giovanni Petillo nelle motivazioni – non essendo plausibile che ella, nello sferrare 90 colpi di martello, non si sia rappresentata l’evento morte come probabile. Sono infatti presenti ed evidenti diversi elementi sintomatici dell’accettazione del rischio di procurare la morte: l’arma utilizzata, l’impressionante numero di colpi sferrati, la violenza dei fendenti, ma soprattutto le zone del corpo della vittima – fragile e anziana – attinte”.

La Corte ha respinto quindi la tesi dell’omicidio preterintenzionale avanzata dalla difesa anche perché Eliana Mascheretti, dopo il fatto, ha nascosto il martello in un bidone sul balcone di casa e si è prodigata per porre rimedio alle lesioni che aveva causato al cugino. Aveva poi mentito sia al 112, dicendo che Giuliano era caduto in bagno, sia ai due cugini che lei stessa aveva chiamato e che erano arrivati nella villa di via Camozzi. Solo quando il medico del 118 le aveva fatto notare che sul corpo del cugino c’erano numerosi lividi ed escoriazioni, incompatibili con una semplice caduta, Eliana aveva confessato quanto successo.

All’imputata è stata comunque riconosciuta la parziale capacità di intendere e di volere al momento dell’aggressione con conseguente pericolosità sociale. Lo psichiatra nominato dal gip aveva infatti concluso che l’imputata era “affetta da un inequivocabile disturbo della personalità con caratteristiche borderline e narcisistiche di livello medio-lieve con importante deficit del funzionamento a livello affettivo, contrassegnato da sentimenti di colpa, oblatività e dipendenza che hanno comportato, al momento del fatto, una parziale compromissione del funzionamento psichico e che hanno determinato uno stato di alterazione mentale tale da averla resa temporaneamente e parzialmente incapace di intendere e di volere”.

Il giudice ha accolto la tesi del perito, respingendo quella del consulente della difesa, secondo il quale Eliana Mascheretti, al momento dell’aggressione “era in uno stato di dissociazione psicotica e non aveva quindi sufficiente capacità di intendere per prefigurarsi l’evento morte”.

Da queste considerazioni la condanna a 9 anni e 4 mesi per omicidio volontario non premeditato, con l’aggravante della convivenza, e il riconoscimento delle attenuanti del vizio parziale di mente, dell’incensuratezza e della condotta collaborativa nel corso delle indagini e del processo.

All’imputata è stata concessa la libertà vigilata per tre anni con obbligo di aderire al progetto terapeutico elaborato dal Centro Psico Sociale.

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