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Lettere

La riflessione

“Ecco perché ho scelto di non votare alle regionali”

Riceviamo e pubblichiamo alcune considerazioni di un cittadino lombardo che ha deciso di non recarsi alle urne

Ebbene sì, sono uno dei cittadini lombardi che ha deciso di non andare a votare alle elezioni regionali.

Non è stata una scelta semplice e devo dire che non ne vado orgoglioso, perché sono sempre stato appassionato di politica, l’ho sempre seguita con interesse e anche questa volta mi sono tenuto costantemente informato sulle proposte politiche in campo.

Non è stata una scelta dovuta a disimpegno, disinteresse o superficialità, perché sono consapevole del fatto che la politica abbia ricadute dirette e indirette sulla vita di ognuno di noi, specialmente a livello regionale, perché dal governo della Regione dipendono per esempio la sanità e i trasporti, che hanno a che fare con la nostra quotidianità. Dico questo con la massima umiltà e specificando che il mondo degli astensionisti è molto variegato: al suo interno c’è tutto e il contrario di tutto. Fra loro c’è chi la pensa come me e chi, al contrario, non ha interesse per la vita politica del Paese e magari non ha votato perché – legittimamente, per carità – ha trascorso il week-end in montagna e non ha trovato dieci minuti per raggiungere il proprio seggio.

Sappiamo che, purtroppo, non sempre gli italiani brillano per senso civico, ma sono convinto che un astensionismo pari al 60% sia un dato importante, significativo ed eloquente.

Non può essere ignorato e neppure liquidato con poche semplici parole di circostanza.

Ho appreso con rammarico i dati relativi all’affluenza: il fatto che, tra gli aventi diritto, solo 40 lombardi su 100 si siano recati alle urne è drammatico, impressionante, perché la democrazia ha bisogno della politica che, a sua volta, per essere rappresentativa, necessita di un’ampia partecipazione. Come si dice, votare è un diritto e un dovere civico, è essenziale per il funzionamento della nostra repubblica ed è la base per le istituzioni. Inoltre, il voto è stato una conquista preziosa: ai tempi del fascismo, come in tutti i regimi non democratici, non era possibile scegliere a chi affidare il compito di governare.

Partendo da queste premesse, come mai ho deciso di non votare? Perché nessuno degli schieramenti mi ha convinto. Considerando i problemi della salute e dei trasporti, che ho ben presente, non me la sentivo di votare Fontana e Gallera. Le liste d’attesa troppo lunghe per prenotare una visita con il servizio sanitario pubblico e le carenze della medicina del territorio, soprattutto in una terra come la nostra, gravemente colpita dal Covid, non mi rendevano possibile dare fiducia a chi ha governato finora portando avanti una determinata visione.

Non avrei potuto votare nemmeno per Letizia Moratti. Il suo nome non ha avuto il mio gradimento sin dall’inizio per svariate ragioni. Se è vero che ha dato il proprio contributo per far partire la campagna vaccinale, è anche vero che non avrebbe mai potuto essere il volto di una proposta politica che volesse presentarsi come nuova o innovativa. Del resto, mi risulta difficile pensare al Terzo polo come una forza che possa incarnare un cambiamento della politica se la sua proposta per il Partito Democratico era quella di sostenere Letizia Moratti, fuoriuscita dalla maggioranza, elemosinando qualche assessorato.

Per quanto riguarda il centrosinistra, credo che si sia mosso male sin dall’inizio. Non era una sfida semplice, perché storicamente l’elettorato della Lombardia ha una visione di centrodestra, ma avrebbe potuto agire diversamente, al netto della buona volontà di Majorino.

Secondo me, partendo dalle criticità emerse nella fase emergenziale della pandemia, avrebbe dovuto attivarsi molto prima per proporre agli elettori un’alternativa forte. Magari avrei candidato presidente un medico, che ha vissuto in prima linea le problematiche della sanità lombarda, oppure una figura come Del Bono, che – in partenza – avrebbe potuto rivolgersi a uno spettro di elettori più ampio rispetto a Majorino.

Al di là di questi aspetti, sulla scelta di non andare a votare hanno pesato alcune titubanze e incoerenze di fondo. Su tutte, da un punto di vista meramente politico (e non medico), non mi ha convinto la candidatura di Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’IRCCS Ospedale Galeazzi – Sant’Ambrogio. Con tutto il rispetto, mi sono chiesto come potesse un esponente della sanità privata conciliarsi con la volontà di dare maggior peso alla sanità pubblica, che avrebbe dovuto essere il punto cardine di una piattaforma alternativa al centrodestra. E non sono riuscito a trovare una risposta: l’unica spiegazione a cui ho pensato è che si volesse avere la “botte piena e la moglie ubriaca”.

Ritengo che sarebbe servita più chiarezza e di certo i vari distinguo fra il Terzo polo e il centrosinistra non hanno aiutato. Il segnale che arriva dall’astensionismo al 60% per i partiti che vogliono essere alternativi al centrodestra non lascia adito a dubbi: bisogna riorganizzare il campo costruendo una proposta politica davvero nuova, senza se e senza ma.

È vero che alle regionali è possibile scegliere i candidati esprimendo le preferenze, ma è anche vero che dentro e fuori dalle coalizioni ci sono pesi, contrappesi e “gruppi di potere” o, se vogliamo, realtà portatrici di determinati interessi, che incidono sulle scelte degli schieramenti. Alla fine ha prevalso la sensazione che, anche se avessi votato un candidato capace e competente, difficilmente sarebbe riuscito a incidere, quindi non ci sarebbero state grandi differenze qualora avesse vinto una formazione o l’altra.

L’altra candidata, Mara Ghidorzi, per l’Unione Popolare, infine, avrebbe significato esprimere un voto di testimonianza.

Tra i non votanti ci sono persone dal diverso orientamento politico: l’astensionismo erode sia il centrodestra sia il centrosinistra e la classe politica deve interrogarsi sui motivi che hanno spinto così tanti elettori a non votare. È auspicabile che i partiti e i candidati, eletti e non, facciano una profonda analisi di questi numeri, senza auto-assolversi a priori o pensare che la “colpa” sia dell’elettorato, di chi non s’informa ecc. Il messaggio che è arrivato è semplice: la politica viene percepita come autoreferenziale, lontana dalla vita della gente, incapace di risolvere i problemi e finalizzata a conquistare o a mantenere piccole e grandi posizioni di privilegio e potere. Bisogna riavvicinarsi alle persone, alla loro quotidianità e alle loro esigenze, alle difficoltà che devono affrontare ogni giorno, altrimenti non si riuscirà a dare rappresentanza. E per farlo bisogna essere credibili.

Infine, aggiungo un’altra osservazione. All’interno dei vari schieramenti le preferenze hanno premiato candidati giovani, preparati e appassionati, che in genere hanno fatto la gavetta sul territorio, come nel caso di Davide Casati, Michele Schiavi e Jonathan Lobati. È il segno che gli elettori puntano su volti nuovi, esempio d’impegno e dedizione, mentre chi è in politica da lungo tempo non è riuscito a guadagnare spazio. In questo caso il consiglio è di ripensare al proprio ruolo per non disperdere l’esperienza e scommettere su un rinnovamento.
Gli spunti di riflessione che scaturiscono dal non-voto sono parecchi: in questo Paese non è facile cambiare, ma spero che questa situazione possa dare l’opportunità alla politica di invertire la rotta e recuperare la sua attrattività, che è il sale della democrazia.

Un cittadino bergamasco

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