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Arte

La recensione

“Salto nel vuoto”, alla Gamec affascinante viaggio fra arte e ricerca sulla materia fotogallery

La mostra si compone di tele estroflesse, sculture di luce, pitture monocrome, superfici specchianti e opere delle avanguardie storiche

Bergamo. “Salto nel Vuoto. Arte al di là della materia”, questo il titolo dell’iniziativa di punta di Gamec per l’anno di Bergamo Brescia Capitale della Cultura, che è anche la terza tappa del progetto sulla Materia lanciato da Lorenzo Giusti nel 2018.

Gesto simbolico, rito iniziatico, sintesi di caduta e liberazione, il Salto nel Vuoto è di per sé un archetipo della tensione verso l’ignoto, del desiderio di andare oltre. Il più famoso Salto nel Vuoto della storia dell’arte risale al quinto secolo a.C.: l’anonimo tuffatore dipinto sulla tomba di Paestum, dall’esile corpo proteso verso l’abisso, è stato interpretato in chiave escatologica come metafora del passaggio dalla vita alla morte. Quando poi, nel novembre 1960, Yves Klein, maestro dell’arte immateriale e della performance, spiccò il suo Salto nel Vuoto immortalato in un fotomontaggio, camuffò in evento di cronaca (con tanto di foto su un quotidiano) un gesto prettamente artistico.

Oggi – in una ricognizione sull’arte del XX e XXI secolo – un Salto nel Vuoto non può che significare il balzo immaginativo, la tensione rigenerativa del pensiero, ma anche, alla luce delle frontiere digitali e della realtà aumentata, la perdita di contatto con la realtà materiale delle cose.

Con questo orizzonte complesso e vertiginoso hanno fatto i conti Lorenzo Giusti e Domenico Quaranta allestendo in Gamec la mostra che chiude la Trilogia della Materia, proponendo un’ottantina di artisti scanditi in tre sezioni tematiche: nell’ordine, Vuoto, Flusso, Simulazione. Dopo la visita alla mostra, però, è tale il senso di vaporizzazione della realtà nella sezione Simulazione, che quasi si preferirebbe che questa non fosse l’ultima ma la prima tappa del percorso, per poi muovere finalmente verso quel “Vuoto” che, al confronto,è quasi rassicurante.

Perché fra tele estroflesse, sculture di luce, pitture monocrome, superfici specchianti e opere delle avanguardie storiche, in questo “Vuoto” ci muoviamo tra categorie del visibile e del pensiero che in fondo riconosciamo e che hanno un loro rigore, una certa matericità, per cui il vuoto emerge sempre da un “pieno” individuabile. Ne sono esempio le superfici bianche di Bonalumi, Castellani, Mauri, gli involucri cubici in cemento bianco di Francesco Lo Savio, i meticolosi reticoli grafici delle “Infinity net” della giapponese Yayoi Kusama, i pannelli total black in vetro riflettente del colombiano Andrès Ramirez Gaviria, l’immensa tela grezza dell’espressionista astratto francese Jean Degottex. E’, questa, una fascinazione per il vuoto che sostanzialmente antepone all’idea del vuoto la materialità dell’opera d’arte stessa.

La sezione “Simulazione”, invece, confonde volutamente le coordinate trascinando il visitatore in un percorso tra opere iperrealiste, come il “Man with walkman” di Duane Hanson che finisce sempre fotografato per il suo aspetto incredibilmente mimetico, e opere tecnologiche e hi-tech, fatte di software, ologrammi e avatar: dall’applicazione interattiva di Gazira Babeli in Second Life fino alle distopie dello Spazio Zero, dove grazie a sensori di posizione, caschi, visori e smart glass ci immergiamo in un sofisticato metaverso vorticoso e incantatorio. Qui ci strega, al termine del percorso, l’installazione con realtà virtuale di Rebecca Allen “Life without matter” (2018) – per metà caverna platonica, per metà selva dantesca – che ci congeda in un mind wandering costellato di enigmi.

Nel mezzo, abbiamo attraversato in varie sale il “Flusso” della smaterializzazione dell’arte da inizio NOvecento ai giorni nostri, seguendo la scomposizione del reale nella tensione tra materiale e immateriale: si parte dalle invenzioni di Fluxus, si passa per un Picasso geometrizzante del 1912, per i “Numeri innamorati” di Balla (1923) e per un trittico bianco su bianco di Roman Opalka, si sale al primo piano del museo e ci si inoltra tra le ricerche sulla percezione dei Gruppi T e N, i computer sigillati e sparsi a terra di Maurizio Bolognini, la nuvola CLOUD #865 di Trevor Paglen che porta tracce decifrabili dall’intelligenza artificiale ma che ai nostri occhi appare come una grande metafora della nostra labile memoria.

In questo viaggio in tre tempi attraverso l’artificio, l’ibridazione,la realtà parallela, trovano posto suggestioni di estrema attualità, come i dati sul Covid recuperati in tempo reale dalla rete e trasferiti nelle proiezioni fluttuanti di Aleksandra Domanovic grazie a ventilatori LED (sala 5), o il paesaggio sovrapposto con diverse immagini distorte in 3D della città ucraina di Kharkiv, segnata nel 2015 (data dell’opera) dalla tensione tra i nazionalisti e i pro-separatisti russi.

Quasi a conclusione del percorso, nella sala 9, si rimane per un attimo ingannati dal capolavoro del puntinismo “Una domenica pomeriggio sull’isola della Grande Jatte”: non cadrete in errore, basta avvicinarsi per accorgersi che non si tratta di Seurat ma di un suo rifacimento con i mattoncini della LEGO ad opera dell’artista e attivista cinese Ai Weiwei. Alla riproduzione fedele della scena originale, in mezzo a bagnanti e flaneurs, l’artista aggiunge un migrante, un piccolo dettaglio che non solo rilancia temi sociali ma ci invita anche a ritrovare il contatto col mondo delle cose. E’ questo omaggio a Seurat, infatti, nella sua ambiguità percettiva, il lavoro più “materiale” di tutti quelli esposti, che chiude e apre idealmente la mostra.

Con Salto nel Vuoto si corona quindi la trilogia della Materia di Gamec, che ha affrontato nell’arte un tema sconfinato, all’incrocio tra scienze esatte e scienze umane, toccando i punti cardinali della ricerca del Novecento e dell’era contemporanea. Un tema letto con le lenti della cultura occidentale, certo, perché i concetti di vuoto, di pieno, di materia e di spazio conoscono anche altre prospettive, assai diverse nella cultura orientale.
Ma l’indagine dell’interno della materia, nel suo aspetto microscopico ed energetico (Black Hole, 2018), delle trasformazioni della sua superficie (Nulla è perduto, 2021), fino alla sua smaterializzazione (Salto nel Vuoto, 2023) si conferma, attraverso quest’esperienza di visita, come una delle più affascinanti della storia del pensiero umano.

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