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Cinema

La recensione

“Il primo giorno della mia vita”: l’intenzione del suicidio e l’importanza delle seconde possibilità video

La pellicola del regista Paolo Genovese, una profonda riflessione sulla felicità

Titolo: Il primo giorno della mia vita

Regia: Paolo Genovese

Paese di produzione/anno/durata: Italia/2023/121 minuti

Interpreti: Toni Servillo, Valerio Mastandrea, Margherita Buy, Sara Serraiocco, Gabriele Cristini, Vittoria Puccini, Lino Guanciale

Programmazione: Cinema Capitol, UCI Cinemas Orio al Serio, UCI Cinemas Curno, Arcadia Stezzano, Starplex Romano di Lombardia, Treviglio Anteo spazioCinema, Cinema Garden Clusone

“Secondo voi, quante sono le persone felici in questo momento?” Così un uomo misterioso (interpretato da Toni Servillo) si rivolge ai quattro protagonisti di Il primo giorno della mia vita, film di Paolo Genovese, al cinema dal 26 gennaio. Protagonisti che hanno deciso di dare sfogo al proprio male di vivere, compiendo il gesto più estremo. Ognuno di loro, però, verrà salvato dall’uomo misterioso, che lascia ai protagonisti una settimana di tempo per potersi rinnamorare della vita.

Così Arianna (Margherita Buy) affronta il dolore di aver perso una figlia adolescente, Napoleone (Valerio Mastandrea) lo spleen di un motivatore senza scopo nella vita, Emilia (Sara Serraiocco) la propria condizione di ex ginnasta, eterna seconda, costretta sulla sedia a rotelle e Daniele (Gabriele Cristini) il proprio stato di youtuber che fa challenge di cibo ingurgitato, bullizzato e mai compreso dai genitori.

Il personaggio di Toni Servillo, tra la figura di traghettatore di anime e il richiamo all’angelo di “La vita è meravigliosa” di Frank Capra, salva i protagonisti poco prima della tragedia, portandoli in un luogo fuori dal tempo, un vecchio albergo abbandonato, che permetta loro di riflettere sulla propria condizione e di prendere una decisione più ponderata rispetto al proprio destino.

All’interno di una sala cinematografica, i protagonisti vengono messi di fronte a brevi spezzoni di una possibile vita futura, per mostrare loro quello che possono perdere intraprendendo la via del suicidio. Futuro che non manca però di lasciare ai protagonisti scelte dolorose. Si ritorna all’attimo prima della tragedia, ad un corpo quasi sospeso su un ponte, ad una danza su un cornicione, ad una pistola puntata alla testa, ad un vassoio pieno di ciambelle capace di alzare la glicemia a livelli insostenibili.

In un rimando diretto alle sliding doors della vita, Paolo Genovese riesce a mettere in scena un affresco consapevole del male di vivere che attanaglia le persone. Non c’è disperazione tra le scene, al contrario, traspaiono una continua malinconia ed una ferma presa di coscienza della propria situazione da parte di ogni personaggio, determinato a porre fine al proprio malessere interiore.

Un dolore verso il quale il regista porta un rispetto sincero, nella descrizione di un periodo di riflessione che è proprio di ciascun protagonista. I quattro vivono in una sorta di bolla, una specie di limbo dantesco in grado di lasciare spazio alla riflessione, osservando anche un possibile futuro, momento che avvicina la figura di Toni Servillo ai fantasmi dickensiani. Da questo punto di vista, aiuta la scelta di descrivere una Roma oscura, anche attraverso una fotografia dai toni sbiaditi, come uno spazio semideserto senza tempo, dove alberghi abbandonati, stazioni di servizio e probabili case di vacanza diventano non-luoghi dove trascorrere il tempo in attesa della scelta definitiva. Una costante delle scene è la pioggia, che isola i protagonisti ma ne diventa anche catarsi, in una scelta verso la vita o meno che diventa anche portale verso una seconda possibilità.

Il regista prosegue nella sua messa in scena rispettosa anche per quanto riguarda le scelte dei protagonisti, guidate sempre e comunque dal libero arbitrio. Scelte che guardano al futuro e scelte che non riescono a distogliersi dal presente, condotte in ogni caso con una serena consapevolezza.

Rimane, in Il primo giorno della mia vita, una riflessione costante sulla felicità. “Bisogna avere nostalgia della felicità, così viene voglia di cercarla”, spiega l’uomo misterioso ai protagonisti. Una frase forse un po’ didascalica, come diverse altre presenti nella sceneggiatura, che spiega il senso del film di Genovese. Una spiegazione esplicita, come, purtroppo, nelle altre frasi fatte presenti nel film, che trova il senso della felicità proprio nel moto costante della ricerca, nel donare (e nel donarsi) una seconda possibilità. Una condizione che accomuna molti, come racconta bene la scena delle luci degli appartamenti che si spengono al passaggio della mano di Servillo. “Quante sono le persone felici in questo momento?” e molte case rimangono al buio, con luci che si spengono una dopo l’altra. Senza troppe frasi fatte, è l’immagine che al cinema racconta più di molte parole.

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