Bergamo. È tutto in quel gesto. Levarsi la mascherina e mandare un bacio. Un bacio grande, con un eco che arriva dritto sulle guance di tutte le 21mila persone che hanno scelto di affollare il centro di Bergamo per dare il benvenuto all’anno di Bergamo Brescia Capitale della Cultura. Un gesto, quello andato in scena nello spettacolo “Dei Nuovi Mille” (presentato dal camaleontico regista, direttore artistico, e qui anche in veste di conduttore Francesco Micheli, già Deus ex machina di Donizetti Opera), portato sul palco dalle tute degli operatori sanitari che, mai come nessuno, hanno vissuto sulla loro pelle la tragedia della pandemia prima, e della rinascita poi.
Un bacio che ha abbracciato una città intera che, nel dramma di una epidemia mondiale di cui è stata il simbolo, ha riscoperto la voglia di vivere, rialzandosi dopo la dolorosa caduta e cominciando nuovamente a camminare. Un bacio che è arrivato a tutti i cittadini, dai più piccoli ai più grandi, senza distinzione di genere alcuna, come del resto è stato raccontato nel corso dello spettacolo, accendendo i riflettori su un popolo, quello dei nuovi mille, composto da variegate categorie. Raccontato anche e soprattutto dai giovani che certamente hanno avuto un ruolo da protagonisti, chi con uno strumento, chi con i movimenti, chi con la voce, chi con le acrobazie sulle biciclette e chi con i salti degli skateboard.
L’emozione è fortissima quando, dopo il gong avvenuto per mano di Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, eseguito in contemporanea con il primo cittadino Emilio Del Bono a Brescia, il palco comincia ad animarsi, a brulicare di performance e performer, chi esperti del mestiere e chi assolutamente vergini, in un turbinio di suoni, giochi di luce e danze capaci di tenere incollati i presenti al palco. E se da una parte la pelle d’oca un po’ ti viene, sintomo buono di un tasso di adrenalina che ti sale e di un misto di magone dall’altro, da un’altra, la sensazione che ti senti dentro è l’orgoglio di essere bergamasco. Di portare con te e su di te quel pezzo colorato del mantello di Arlecchino meravigliosamente interpretato dalla bravissima Matilde Facheris.
E non importa che tu ti senta Arlecchino o Arlecchina, dipinta con uno straordinario abito cucito dai ragazzi dell’istituto Caniana di Bergamo: l’unica cosa che importa è esserci, sentirsi parte di una comunità.
E poter dire: io c’ero.
Io c’ero. Sì. E ne vado fiera.
Io c’ero in quella fantastica serata fredda di metà gennaio, in cui il vortice di emozioni ti faceva venir voglia di salire sul palco insieme agli altri, battere le mani al ritmo del rap costruito sul versi del Tasso e ballare con i giovani il dj set dell’arcobaleno. Di abbracciare la giovanissima danzatrice che, impavida, sfida il gelo con il suo corpicino tanto esile ma perfetto, stretto dentro un candido costume da ballerina.
Io c’ero ad assistere ad uno spettacolo che ha saputo fare della memoria, della tradizione ma anche dell’innovazione, il segno di un nuovo inizio.
Io c’ero quando tutto il centro si è colorato delle quattro tinte degli altrettanti cortei che, partiti dagli angoli della città, si sono riuniti in un unico fiume umano sotto il mastodontico palco costruito per fare da ponte con Città Alta.
Io c’ero ad assistere ad un momento che resterà scolpito nella storia della nostra città.
Io c’ero insieme ai tanti cittadini che, con il naso all’insù, hanno assistito ad uno spettacolo di fuochi d’artificio e giochi di luce che, da soli, valevano tutto.
Io c’ero insieme ai volontari, tantissimi, alle forze dell’ordine e a tutti quanti si sono spesi per far sì che Bergamo, la loro Bergamo, si presentasse all’appuntamento in maniera impeccabile.
E così è stato.
Ne è uscito uno spettacolo scintillante, come le quattro giacche cambiate da Sir Micheli, uno spettacolo toccante ma misurato. Una festa, perché così doveva essere e così è stata, per tutti.
E allora, benvenuto anno della Cultura. E che sia un anno di luce, come vuole il mantra della città illuminata, un anno di legami importanti e duraturi, un anno di pace.
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