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Il capitano

Messi re dei Mondiali 2022 ora anche da vero leader

L'Argentina campione, squadra tosta che ha trovato il suo capitano e trascinatore. Lo chiamavano la Pulce, si è dimostrato un vero gigante

Non era un re senza corona, però nella sua bacheca già strapiena di trofei mancava quello più prestigioso, la vittoria ai Mondiali. E lo ha conquistato quando ha dimostrato ed è riuscito ad essere non solo un magnifico solista, ma un leader, il vero capitano e uomo squadra. Parliamo di Leo Messi, l’uomo copertina di questi Mondiali 2022.

Perché tanti titoli, per semplificare, diranno che ha vinto più Messi che l’Argentina. E se ricordano l’ultimo precedente dell’Albiceleste nel 1986 in Messico, è per rimarcare che allora aveva vinto Diego Armando Maradona. Un anno dopo nasce Leo Messi e ne passeranno altri 36 prima di rivedere l’Argentina sul tetto del mondo. Tornando a due secoli prima, invece, nel 1883 si trasferiva da Recanati in Argentina, il trisavolo di Leo, Angelo Messi e da lì è cominciata la storia della famiglia di quello che sarebbe diventato il più forte giocatore del mondo. Il vero erede di Maradona, anche se Leo solo a fine carriera o quasi può mettere le mani finalmente sul trofeo più ambito: a 35 anni per lui è l’ultimo Mondiale, mentre Diego ha vinto a 26 anni ed è arrivato secondo quattro anni dopo, a Italia 90.

In effetti l’ombra di Maradona aveva probabilmente un po’ condizionato le prestazioni di Messi nella sua Nazionale e solo l’anno scorso, vincendo la Coppa America nel 2021, si era scrollato di dosso questa fama di essere un po’ un incompiuto, il pluri Pallone d’oro (3 premi di France Football e 4 Fifa) e 4 volte vincitore della Champions League col Barcellona, ma non altrettanto con l’Argentina. Ecco, la differenza è proprio questa: in Qatar si è vista la sua Nazionale, una squadra ricca di talenti al servizio del suo capitano e trascinatore, una formazione capace di giocare di spada e di fioretto, disposta a sacrificarsi e a moltiplicare le energie per raggiungere l’obiettivo. Nella prima ora della finale, contro la Francia, l’Argentina regala uno spot al calcio, una lezione di tecnica, intensità e velocità d’azione raramente vista in una nazionale. Il Brasile ci ha provato e si è divertito ma si è spento ai quarti, l’Inghilterra deve far crescere i suoi giovani, così la stessa Germania.

L’Argentina sguaina la spada e si fa rispettare con guerrieri come Romero, che già con Gasperini aveva imparato a essere un marcatore forte di testa e di piede, implacabile ad anticipare e ripartire in avanti, anche inserendosi da centrocampo in su come fanno i difensori del Gasp. Oppure giocatori in grado di abbinare la tecnica alla capacità di contrastare, come l’ex Udinese De Paul. E comunque tutti abili a dare del tu al pallone, per poter essere in sintonia e dialogare con Sua Maestà Messi. Un mix tanto ben assortito che dopo la scivolata iniziale con l’Arabia Saudita non ha più avuto pause, a parte il brivido dei calci di rigore con l’Olanda.

La Francia campione avrebbe potuto riconfermarsi. Ma non ha avuto tempo per fare quello che voleva, perché l’Argentina non gliel’ha concesso, con un pressing asfissiante soprattutto sulla catena di sinistra, per limitare le discese di Theo e di Mbappe. E per un’ora gli uomini di Deschamps sono rimasti a guardare, senza quasi toccare palla. Che lezione! Complici anche alcune scelte del ct, mentre Scaloni ha potuto anzi contare su un Di Maria molto più pimpante rispetto alla versione Juve. Nell’ultima mezz’ora è tornata la Francia, grazie anche ad alcune correzioni di Deschamps con forze fresche e abbiamo visto i supplementari più spettacolari dopo quelli di Italia-Germania 4-3. Poi i calci di rigore hanno espresso il verdetto che anche il campo stava decretando, almeno per trequarti di gara.

Vince la squadra migliore, la più forte rispetto a una Francia troppo legata e dipendente da Monsieur Mbappe. L’Argentina non è solo Messi. E proprio per questo può festeggiare dopo 36 anni. Messi è la poesia del calcio, è il tocco in più dell’artista, il giocatore che con incredibile facilità va via in dribbling e salta uno, due, tre avversari. All’Atalanta avevamo Ilicic, che Mario Sconcerti aveva paragonato a Messi per la sua abilità nel saltare l’uomo e cercare (e trovare) la porta. Campioni così purtroppo non li puoi clonare, ammetteva il Gasp. E lo stesso Papu, che ci ha deliziato con le sue giocate, ora non ha più quello spunto e nella finale è rimasto in panchina. Però complimenti anche a lui che è diventato campione del Mondo. Mbappe abbia pazienza: ha 23 anni, ha davanti tante altre finali per riprovarci. La grandeur francese conta su di lui. E Messi? Lo chiamavano la Pulce, per la sua statura, ma si è dimostrato un vero gigante.

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