Bergamo. Paragona le piccole imprese a “corpi malati”, particolarmente vulnerabili se attaccati da “un virus”.
“Secondo le nostre ricerche stanno aumentando quelle che non hanno più accesso al finanziamento bancario, più o meno il 15% delle attività nel commercio e nel turismo” stima Oscar Fusini, presidente di Ascom ConfCommercio Bergamo. “Inoltre, la nostra provincia è formata da 240 comuni, il novanta per cento dei quali sotto i cinquemila abitanti. Significa che tutti conoscono tutti. E che l’imprenditore in difficolta è sottoposto a una ‘gogna psicologica’ perchè tutti possono venire a sapere della sua situazione. E se non è in grado di pagare un debito… beh, può essere un ulteriore elemento di vulnerabilità”.
È così, perché a volte capita che siano gli stessi imprenditori a cercare il credito mafioso. Soldi avvelenati non solo perché prestati a usura, ma anche perchè sono il mezzo con cui la criminalità affonda i suoi tentacoli nell’azienda, trasformandola in una lavatrice di soldi sporchi.
Usura e riciclaggio, dunque: i “core bussiness” delle mafie in terra orobica, dove le denunce arrivata per questo genere di reati all’autorità giudiziaria hanno registrato più di altri un’impennata significativa durante il lockdown. A certificarlo sono i dati contenuti nell’ultimo monitoraggio della presenza mafiosa in Lombardia, a cura dell’Osservatorio sulla Criminalità Organizzata dell’Università degli Studi di Milano, presentato giovedì a Palazzo Frizzoni alla presenza del sociologo Nando Dalla Chiesa, del procuratore capo Antonio Chiappani, dell’assessore Marzia Marchesi e dei rappresentanti delle Forze dell’ordine cittadine. In particolare sono 3 le denunce per usura nel 2019 e 10 nel 2020 (8 nel biennio precedente). Stesso discorso per il riciclaggio: 37 episodi nel 2019 e 56 nel 2020 (30 nel biennio precedente). Numeri più alti rispetto a quelli riscontrati nel resto della Lombardia, se si contano le denunce in rapporto al numero di abitanti.
Piuttosto di un generico “mafia” – spiega il rapporto – in Bergamasca è corretto parlare di “criminalità economica, benché potenzialmente confinante con quella mafiosa”. A tal proposito si può citare l’operazione ‘Handbrake’, che ha portato alla luce molteplici vicende di usura ed estorsioni ai danni di un commerciante e di alcuni imprenditori bergamaschi. Il primo, in particolare, finito nella ragnatela di un pregiudicato calabrese raggiunto da un provvedimento restrittivo per estorsione aggravata dal metodo mafioso.
Il territorio bergamasco “non pare subire un controllo e un radicamento familiare ‘ndranghetista in pianta stabile – si legge nel rapporto -, piuttosto si coglie una predisposizione dei clan a dominare alcuni ‘pezzetti’ del mondo criminale, con il tentativo di inserirsi in svariati settori dell’economia legale”. Hanno infatti poche imputazioni per narcotraffico – settore prediletto dai gruppi stranieri -, ma molte per reati fiscali. Altro elemento utile a decifrare l’interesse per le aziende del territorio sono le interdittive antimafia: 12 quelle adottate dalla Prefettura di Bergamo durante la pandemia, nei confronti di realtà che avevano rapporti con almeno una persona considerata vicina ai clan.
Lo studio assegna infine un punteggio da 1 a 5 in base al livello di penetrazione (dove 1 è il massimo) per ogni provincia lombarda. Bergamo è collocata in fascia 3 insieme a Brescia, Cremona e Mantova. In fascia 1 si trovano Como, Milano e Monza e Brianza, seguite da Lecco, Pavia e Varese in fascia 2. Sondrio e Lodi sono i territori in fascia 4, all’apparenza col minor livello di infiltrazione o radicalizzazione, ma il dato che più fa riflettere è un altro: nessuna provincia è inserita in fascia 5, quella con il tasso di criminalità più basso.
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