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Dopo ischia

“Piani anti-dissesto? Finiscono nel cassetto e non sempre i Comuni bergamaschi li rispettano” fotogallery

L'ingegnere Claudio Merati, ex capo del Genio civile, tira le orecchie ai sindaci: "Pezzi di carta inutili se poi le scelte urbanistiche non sono coerenti"

Bergamo. “Piani di contenimento del rischio idrogeologico? Dal Piano di Protezione Civile a quello specifico per il rischio alluvioni, ogni Comune è obbligato ad averne uno, ma una volta che si è a posto con la Legge questi piani tendono a finire nel cassetto. Soprattutto, sono dei semplici pezzi di carta se poi le scelte urbanistiche delle amministrazioni non sono coerenti con le indicazioni che contengono”. Insomma, se alla teoria non segue la pratica. “Succede anche in provincia di Bergamo”, dove in passato Claudio Merati ha persino visto spuntare dei box auto in zone a rischio valanghe. Ma è solo un esempio.

Ultimo “ingegnere capo” del Genio civile, per oltre quarant’anni Merati ha lavorato in Regione Lombardia, dove ha anche ricoperto il ruolo di Dirigente di Unità Organizzativa per la sede territoriale di Bergamo. Lunedì 12 dicembre, nella sede del Mutuo Soccorso, ha tenuto un incontro su un argomento di grande attualità, come dimostra la recente tragedia di Ischia. “Finirà così – avverte -: tra qualche mese l’attenzione sul tema calerà di nuovo, quando programmazione e manutenzione delle opere sono invece fondamentali per ridurre i pericoli legati al dissesto idrogeologico”. Vale per le grandi opere, come per quelle all’apparenza meno complesse. “Prendiamo i paravalanghe. Se non li tieni d’occhio – racconta – va a finire che le marmotte fanno la tana sotto i plinti di fondazione dei tiranti e il blocco si sfila. Capite quanto è importante monitorare?”.

Il professor Merati insiste molto su questo tema. “Anche a Bergamo – ricorda – dopo i tragici fatti del 2002 l’attenzione dei sindaci calò progressivamente”. Quell’anno ci fu la frana di Camorone (lo scorso 27 novembre Val Brembilla ha ricordato il ventennale). Dopo giorni di pioggia, una massa di terra di un milione e mezzo di metri cubi si staccò travolgendo la parte storica della frazione: la colata di fango distrusse o danneggiò 14 case, provocò 310 sfollati, danneggiò 12 imprese e rese la strada provinciale inagibile per quasi un mese. Non vi furono vittime o feriti, al contrario di quanto successe l’11 maggio di quell’anno a Colzate, quando un masso di 15 tonnellate si staccò dal costone roccioso della provinciale per Bondo e travolse l’auto su cui viaggiavano un papà e due figli piccoli, morti sul colpo. Altri enormi massi minacciarono le abitazioni, per un totale di 56 sfollati e circa 200 persone isolate. A Capizzone, invece, una famiglia si salvò prima che la villetta nella quale abitavano venne trascinata dalla frana verso il fondovalle. Tutti eventi che Merati osservò da vicino, producendo delle scrupolose e dettagliate analisi tecniche.

Come spiegato dall’esperto, sono molteplici i fattori che favoriscono il rischio idrogeologico: dal numero complessivo di edificato vulnerabile – in particolare se le nuove urbanizzazioni sono in zone a rischio – alla scarsa manutenzione del reticolo idrico, fino alle variabili legate ai cambiamenti climatici, che causano momenti di estrema siccità intervallati da precipitazioni distruttive. “È quindi fondamentale agire sul territorio e sull’impermeabilizzazione del suolo, affinché le precipitazioni producano meno danni possibile”.

Merati ha anche citato i numeri contenuti nell’ultimo rapporto Ispra, aggiornato al 2021. In Bergamasca sono 9.813 le persone che tutt’ora vivono in zone a rischio frana elevato o molto elevato: poco meno dell’1% della popolazione. I numeri crescono se si considerano gli gli esposti al rischio di alluvioni: 78.948 abitanti, il 7,08% del totale. Questo è senza dubbio dovuto alla conformazione morfologica del territorio – ricco di valli -, ma non solo: del resto si è edificato anche in zone inadatte, su pendii franosi o vicino a corsi d’acqua che possono gonfiarsi non appena le precipitazioni vanno oltre la media. “Non è affatto il caso di essere catastrofisti, ma a Bergamo oltre a frane, alluvioni e valanghe c’è anche un remoto rischio ‘tsunami’ – conclude il professore -. Mai sentito parlare della Sarneghera del lago d’Iseo?”.

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