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La procura

Inchiesta Covid: i cinque quesiti ai quali i magistrati cercano di dare risposta

Secondo le perizie dei consulenti l'epidemia in Val Seriana sarebbe stata maggiormente contenuta solo se fosse stata istituita per tempo la zona rossa

Bergamo. Sono cinque i quesiti ai quali il pool di magistrati bergamaschi, guidato dal procuratore Antonio Chiappani, sta cercando di rispondere nell’indagine relativa alla gestione della prima ondata di Coronavirus, che trasformò la provincia di Bergamo nella Whuan d’Italia, con oltre seimila morti.

Come fu gestita la pandemia dentro l’ospedale di Alzano? Come furono trattati i pazienti nell’ospedale di Alzano? Come il virus si diffuse, a partire dal Pesenti Fenaroli, alla Val Seriana? Sarebbe stato necessario istituire una zona rossa nell’area di Alzano e Nembro? Come fu applicato il piano pandemico nazionale?

Secondo un articolo apparso giovedì mattina su Il Fatto Quotidiano, la tesi dei periti della Procura di Bergamo è che sarebbe stato utile applicare il Piano pandemico fin dal 5 gennaio del 2020, quando l’Organizzazione mondiale della sanità diramò l’allerta per le polmoniti sconosciute che facevano morti in Cina. Il Governo e le Regioni, scrivono i periti, avrebbero dovuto attivarsi fin dal 2006, anno dell’emissione del Piano, per le scorte di dispositivi di protezione individuale, le misure di sorveglianza (tamponi, reagenti, laboratori, ecc), la verifica dei posti nelle terapie intensive e una serie di adempimenti che invece mancarono.

Quindi, secondo i consulenti della Procura, non è vero che non c’era nessun manuale di istruzioni per affrontare il nuovo Coronavirus, come sostenne l’allora ministro Roberto Speranza: il manuale c’era, ma non fu aperto nemmeno a febbraio, forse perché si diede per scontato che siccome era in corso l’aggiornamento fin dal lontano 2018, quel Piano non servisse più.

Per quanto riguarda la mancata zona rossa in Val Seriana, nelle perizie viene effettuato un calcolo matematico: se la chiusura fosse stata istituita il 27 febbraio 2020, ci sarebbero stati circa 4mila morti in meno nella Bergamasca, oltre 2500 in meno se fosse stata istituita il 3 marzo. Il 5 marzo il ministro Roberto Speranza firmò una bozza del decreto per Alzano e Nembro, ma rimase una bozza e il Viminale mandò una colonna di mille carabinieri a cinturare i paesi interessati per poi richiamarli indietro. Il primo lockdown nazionale fu disposto solo il 9 marzo.

La zona rossa però l’avrebbe potuta istituire anche la Regione e perfino i sindaci, questi ultimi però meno informati sull’evoluzione dell’epidemia. Non c’era nemmeno bisogno del decreto legge in quanto, come inserito nelle relazioni dei consulenti di parte, bastavano le norme generali sul Servizio sanitario nazionale.

I periti mettono anche a confronto i contagi avvenuti all’ospedale di Alzano prima del 7 marzo e dopo quella data, quando i medici e gli infermieri bergamaschi vennero affiancati dai più esperti colleghi dell’Esercito che insegnarono loro a gestire i percorsi interni alla struttura per ridurre i rischi: la media passò da 2,3 a 0,3 infezioni al giorno all’interno dell’ospedale.

Inoltre, in mancanza di tamponi, per diagnosticare il Covid ai paziente sarebbe stata sufficiente una Tac ai polmoni. Ma il fatto che il Pesenti Fenaroli fu riaperto poche ore dopo la chiusura del pronto soccorso, quel 23 febbraio, secondo i periti non fu determinante rispetto alla diffusione del virus. In Val Seriana erano già moltissime le persone affette da Coronavirus: per contenere maggiormente il propagarsi dell’epidemia sarebbe servita unicamente la zona rossa.

Chi e a quale titolo dovrà rispondere di ritardi e omissioni e se sono stati commessi reati lo stabiliranno i magistrati in fase di chiusura dell’inchiesta. Poi la decisione spetterà ai giudici.

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