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Inchiesta covid

Esplosione della pandemia, Crisanti: “La riapertura dell’ospedale di Alzano non ha influito”

Nella relazione del consulente, secondo un servizio andato in onda su Piazzapulita, determinanti furono la mancanza di Dpi, il ritardo nelle diagnosi dei casi e il fatto che la Regione abbia ignorato il Piano Pandemico Nazionale

Alzano Lombardo. Secondo la maxi consulenza del microbiologo Andrea Crisanti, incaricato dai magistrati bergamaschi che indagano sulla gestione pandemica con l’ipotesi di reato di epidemia colposa, la riapertura del pronto soccorso dell’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo non avrebbe inciso particolarmente sulla diffusione dell’epidemia in Valle Seriana.

È quanto emerge da un servizio di Alessio Lasta, andato in onda giovedì sera nel programma Piazzapulita.

Il 23 febbraio 2020, intorno alle 13.30, il direttore medico della struttura Giuseppe Marzulli aveva ordinato la chiusura del pronto soccorso a causa della presenza di due pazienti affetti da Covid-19. Alle 14 lo stesso Marzulli aveva preso parte ad una riunione all’ospedale di Seriate, alla quale erano presenti anche il direttore generale dell’Asst Bergamo Est Francesco Locati e il direttore sanitario Roberto Cosentina. In quell’occasione chiamarono i vertici di Regione Lombardia, che impose l’immediata riapertura dell’ospedale.

Per il professor Crisanti quello stesso giorno le persone affette da Coronavirus al Pesenti Fenaroli non erano due, bensì 96: 55 operatori sanitari e 41 pazienti. L’epidemia in Valle Seriana era pertanto già esplosa, secondo la consulenza del virologo, e la riapertura del pronto soccorso fu ininfluente.

In base al parere del consulente, nella propagazione dei contagi fu decisiva la mancanza di scorte di dispositivi di protezione individuale, la mancata formazione al loro utilizzo da parte del personale sanitario e il ritardo nelle diagnosi (che secondo lui potevano essere effettuate anche attraverso una Tac ai polmoni e non solo tramite tampone, che in quel momento erano praticamente introvabili).

Infine – ed è l’elemento di maggior peso – fu decisivo il fatto che la Regione Lombardia avesse ignorato il Piano Pandemico nazionale.

Nel servizio andato in ona su La7 parla anche Giuseppe Marzulli: le sue parole sono ancora cariche di emozione, nonostante siano ormai passati quasi tre anni da quel giorno e che lui abbia scelto, dopo quella terribile esperienza, di andare in pensione. “Per ben tre volte dissi alla dirigenza aziendale ‘Ma sei sicuro di voler riaprire il pronto soccorso? Sei veramente sicuro?’. Non riuscivo a capacitarmi. Qual era il motivo di voler riaprire tutto in modo così urgente? La Regione rispose che non si poteva fare a meno del pronto soccorso di Alzano. Ma in condizioni di sicurezza, dico io, non conciati in quel modo! Siamo stati mandati allo sbaraglio. È come se sei in guerra e ti dicono di mantenere la posizione. Per carità, io la posizione la mantengo, ma mandatemi le armi. Invece non mi mandate un c…o”.

Marzulli sottolinea ancora: “A fronte di una necessità di 600 tamponi, la domenica ne avevamo 14. In queste condizioni non puoi riaprire il pronto soccorso. Questa cosa ha rovinato l’ospedale. Noi abbiamo avuto 3 dipendenti morti, il 40 per cento del personale si è ammalato, tanti sono finiti in terapia intensiva per mesi. Non potevamo essere mandati allo sbaraglio così. Medici e infermieri in caso di necessità devono fare gli eroi. Ma gli eroi, non i martiri!”.

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