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Al donizetti

“L’Aio nell’Imbarazzo”, al Donizetti va in scena un futuro in cui regnano le donne

È un’opera buffa quella ideata nelle musiche e nelle parole da Gaetano Donizetti e Jacopo Ferretti: eppure, quasi 200 anni dopo, sa ancora interrogarci nel profondo

Bergamo. Quando le luci si accendono, quando la commedia finisce tutto quel che rimane sul palco, per terra, abbandonato, è un vestito azzurro e un paio di scarpette gialle. È il segno, l’atto del denudamento di una donna in cerca di un’affermazione di sé. Quella di Gilda, la sposa di Enrico, figlio del marchese Don Giulio Antiquati. Perché anche di questo parla L’Aio nell’Imbarazzo: dello spogliarsi delle catene che ci avviluppano, in cerca della libertà.

È andato in scena domenica pomeriggio il terzo spettacolo del Donizetti Opera 2022 in una sala che, eccetto un iniziale buffonesco “Non si capisce niente!” gridato da una voce in platea, ha amato la comicità riflessiva de L’Aio.

È un’opera buffa, certo, quella ideata nelle musiche e nelle parole da Gaetano Donizetti e Jacopo Ferretti e rappresentata per la prima volta nel 1824 a Roma. Eppure, quasi 200 anni dopo, sa interrogarci nel profondo. Non solo perché la regia del direttore artistico del Festival Francesco Micheli ha allestito l’opera in un futuristico 2046, tra scenografie minimali e un paio di occhiali-schermo indossati dagli attori, obbligandoci a domandarci come vorremo essere di qui a 20 anni. Ma perché i temi affrontati – la libertà sessuale, l’educazione, la comunicazione, l’amore – sono umanamente inesauribili.

Un padre (il marchese Don Giulio, interpretato da Alessandro Corbelli), scottato dal proprio dolore amoroso, chiude in quarantena i giovani figli (Enrico e Pippetto) impedendo loro ogni contatto col gentil sesso per proteggerli, per paura di vederli soffrire.

Una repressione a cui si oppone il loro grido di libertà, “Vogliamo vivere”. E non può infatti il marchese – è questa la presa di coscienza che L’Aio chiede di cogliere – fermare la vita che gli scorre intorno. I figli hanno amato e amano comunque, in segreto. Enrico è sposato con Gilda, con cui ha avuto un bambino, il piccolo Bernardino. L’ingenuo Pippetto ha una relazione con Leonarda. Tutto all’insaputa del marchese. Che cerca nell’amico fidato Gregorio, l’aio, ovvero l’educatore dei figli, una fonte di controllo sull’attività di questi. Gregorio, che conosce la verità, agisce nella posizione scomoda ma necessaria dell’educatore: rivelare il segreto, accondiscendendo alla richiesta di un genitore ma causando la sofferenza dei ragazzi, oppure tradire l’adulto per nascondere e proteggere gli amanti? Questo è il suo dilemma. Gregorio esercita, o prova a farlo, l’arte della mediazione, della comunicazione: “Tira, tira, alla fin si spezzerà” ripete a Don Giulio.

Lo fa in maniera tragicomica, con astuzia e con i tempi giusti Alex Esposito, strappando la risata del pubblico. Ma non basta: “Nei casi estremi ci vogliono le donne”.

E allora è necessaria la forza di Gilda (Marilena Ruta), che non ha paura di prendere in mano la propria vita e di provare a convincere il marchese della bontà dei suoi sentimenti e del suo amore con Enrico. Da lei, dalla sua risolutezza, dalla sua voce incantevole passa la svolta. L’amore si palesa al marchese, che accoglie alla fine nella sua casa una grande famiglia allargata. Don Giulio ha aperto gli occhi.

Come il pubblico, che d’un tratto si sveglia in un lontano 2046 in cui le donne hanno preso (finalmente) la loro rivincita. “Siam serve ma regniamo. Siam nate a comandar!”

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