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L'incontro

Giorgio Gori: “Quello che manca al Pd è un vero leader”

Al panel di CittàImpresa, il sindaco di Bergamo: "Correre da soli alle Regionali significa fare il bis delle politiche"

Bergamo. Bergamo Città Impresa ospita il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, Alessandra Sardoni, Giovanni Orsina e Nando Pagnoncelli per affrontare insieme il tema “Gli equilibri politici dopo il voto” nell’incontro di sabato 19 novembre al Centro Congressi Giovanni XXIII.

Alessandra Sardoni, giornalista de La7, apre il dibattito con una serie di nodi centrali rispetto allo stato del Governo: “Quella salita al Governo è una maggioranza che presenta una dialettica molto forte, che sembra non avere un riflesso parlamentare e con una serie di Ministri, Salvini in primis, che dettano l’agenda: squilibri di un quadro che fatica a prendere una forma decisiva e un Partito Democratico che fatica e cha appena scelto di fare le primarie il 19 di febbraio. Altro tema che sta affiorando è il ruolo del Quirinale rispetto anche all’argomento Covid, oltre al tetto al contante tolto dal Decreto Aiuti. Mi piacerebbe capire anche di che destra si sta parlando con il Governo Meloni, che peso ha la Lega che ha ridotto decisamente i suoi consensi, con Fratelli d’Italia che cresce ma che sembra soffrire il confronto con Salvini. E non in ultimo, l’atlantismo, la fedeltà all’occidente che comprende anche un’adesione alla democrazia liberale o un arroccamento alla politica polacca. E a sinistra c’è il Pd, che non si sa se riuscirà a reggere le sirene e l’assedio del Movimento 5 stelle. Con i cambiamenti dello stesso, con la riduzione dei consensi e la popolarità di Conte, chiedendoci anche che fine ha fatto il populismo del vaffa”.

gori a città impresa

E da qui si inizia per la discussione.

Giovanni Orsina, politologo e storico, apre il panel: “Quella della Meloni è una destra in fieri e quello che stiamo vedendo è una mutazione dei segnali. Lei è la leader di un partito legato ad una cultura politica della prima Repubblica, inapplicabile oggi. Ed entra nel 2023 con un’eredità che deve essere reinventata, pur con una mossa scaltra, quella di legarsi al conservatorismo, che le consente di collegarsi politicamente. Si può sì utilizzare la tradizione anglosassone, ma non può essere la soluzione. Siamo di fronte ad un cantiere con pochissimi mattoni recuperabili. E non credo che ci siano le condizioni per una trasformazione epocale. Quindi, non so che destra sia. Non mi sembra che abbia un’identità”.

Giorgio Gori fa un’analisi lucida e precisa, a tutto tondo: “Sull’autonomia differenziata, il Pd si divise al referendum con me compreso, già favorevole a suo tempo, che, pur criticando lo strumento, diedi, insieme ad altri sindaci, indicazione di votare sì perché ritenuto un principio di attenzione. E il dibattito torna ora, ma con una maggioranza che è molto cauta: se l’autonomia non viene garantita a tutte le regioni uno standard minimo, non possiamo dare il via alla differenziazione. E il processo va definito con una legge quadro, fatta con la volontà del Parlamento: non è così semplice e dobbiamo fare in modo che questo passo, che continuo a ritenere positivo perché valorizza le differenze e fa emergere le buone pratiche, cosa sempre difficile, diventi una spaccatura. Mezza Italia cammina con un passo più lento e questo non deve aggravare le differenze. Questo Governo ha un’agenda che per il 90% è data e credo lavori nell’interesse di non uscire dai binari. Dopo di che, si siano usati elementi più dimostrativi per marcare il territorio, come la decisione sui migranti e sui rave, e mi pare che queste dimostrazioni di forza portino bene. E la dinamica da tenere sott’occhio è quella tra la Meloni e Salvini, come avvenne nel periodo del Conte 1, quando prosciugò il consenso dei 5 Stelle, cambiando i sondaggi. Tenterà ancora di comportarsi in questo modo, ma avrà di fronte una figura politica diversa, molto più forte”.

Un leader che propone lo stesso schema di gioco ma con un risultato diverso: con Salvini che continua a scendere e Meloni che sale: “È così – spiega Nando Pagnoncelli -, anche se vi invito a considerare i dati: dal 2014 alle Europee il Pd di Renzi trionfa, nel 2018 prende 6 milioni e i 5 Stelle 10 milioni. Sono esempi che dimostrano quanto il voto sia mutevole. E Meloni è consapevole che il voto è volatile e che quasi 1 elettore su 2 dei suoi viene dalla Lega. Ed è anche consapevole del fatto che 18 milioni di cittadini che non hanno votato, complicano la vita politica, con una duplice competizione: una all’interno del centrodestra, con FdI che si è avvantaggiata sulla debolezza degli alleati e convincere, e l’altra, più generale, quella volta a convincere gli astensionisti. Questa è la vicenda. E la curva di popolarità dei leader è inesorabile: mi pare che il tentativo di Salvini di dettare l’agenda sia legittimo ma potrebbe essere deludente proprio per il fatto che il politico, dopo la massima ascesa, trova la sua sua caduta”.

Ed è tipicamente italiana? “Assolutamente sì. E la vera sfida è capire se il Governo Meloni riuscirà a superare la cosiddetta luna di miele, peraltro legata alle aspettative, con l’orientamento che ora la porta a volare al 41% e la Lega sotto l’8%”.

“Io credo che il discorso per la Meloni sia inversamente proporzionale – continua Gori -, ovvero ha costruito il suo successo attorno all’idea un po’ polacca per cui devono prevalere la dimensione e il diritto nazionale su quelle europee. Quindi, se sarà coerente durerà poco, se sarà incoerente, la luna di miele la porterà lontana”.

Spostandoci sul fronte dell’opposizione: “Non credo che la questione sia passare di populismo in populismo – prosegue Gori -. Credo che oggi l’alternativa non ci sia. E non è detto che sia un male, perché consente di avere il tempo per elaborare una nuova strategia oltre che una nuova proposta, liberale e progressista. L’opposizione, e quindi il Pd, ha molto bisogno di tempo per creare una vera alternativa: uscito malconcio dal 25 settembre, è in procinto di un congresso per ritrovarsi, con un segretario nazionale che ha dato le dimissioni. Questo partito è l’unico che si è dato un metodo democratico e, anche in virtù di questo, credo che ce la possa fare. Il prossimo futuro si delinea come l’occasione giusta per trovare una sintesi importante e per provare a individuare la figura di un vero leader, nel quale io credo da sempre, che manca decisamente nel Partito Democratico. Questo è uno dei suoi problemi da sempre. E sul Movimento 5 Stelle dico che, nonostante sia un partito che segue l’onda della giornata, è  tutto tranne che morto: con la piena di voti presi al Sud Italia grazie alle politiche sul 110 e sul reddito di cittadinanza, si pone come il movimento più a sinistra di tutti. E finché non si cambia la legge elettorale, bisognerà farci i conti. E dovremo necessariamente dialogarci, come del resto dovranno fare i miei amici del Terzo Polo, guardando, spero, al centrosinistra. Ma al momento non sembra essere così, perché, allo stato attuale dei fatti, le Regionali si preannunciano il bis delle politiche. E sappiamo tutti come è andata”.

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