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L'intervista

“Con Donizetti riflettiamo sul futuro”: il direttore Milletarì racconta ‘L’aio nell’imbarazzo’

Il terzo titolo in programma al Donizetti Opera Festival 2022 ha già conquistato i giovani dell’anteprima del 17 novembre: nel 2040, parla di un futuro in cui il mondo virtuale ha la meglio su quello reale

Bergamo. A vent’anni lascia la sua terra, la Puglia, per studiare musica al conservatorio di Brescia “Luca Marenzio”. Dopo aver completato qui gli studi in clarinetto si trasferisce all’estero, dove vive ormai da oltre dieci anni.

Ora ha trentadue anni e la sua casa è Copenaghen. Questa, in breve, è la storia di successo di Vincenzo Milletarì, che negli anni è riuscito a completare anche gli studi in composizione e direzione d’orchestra, sotto la guidi di mentori prestigiosi come Riccardo Muti and Pier Giorgio Morandi, con i quali ha regolarmente lavorato dal 2015.

Lui sarà sul podio de “L’Aio nell’imbarazzo”, terzo titolo in programma al Donizetti Opera Festival 2022. L’opera, che melodramma giocoso su libretto di Jacopo Ferretti, debutterà domenica 20 novembre, alle 15.30, al teatro Gaetano Donizetti in una nuova produzione pensata per la Bottega Donizetti – laboratorio di perfezionamento per giovani cantanti lirici in arrivo da tutto il mondo – con due star come Alessandro Corbelli e Alex Esposito.

“L’Aio nell’imbarazzo”, tra i primi successi del compositore bergamasco, ha già conquistato i giovani dell’anteprima del 17 novembre proiettati dalla regia di Francesco Micheli, direttore artistico del festival, nel 2040, un futuro il mondo virtuale ha la meglio su quello reale.

 

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Crediti foto: Gianfranco Rota
Bergamo
“L’aio nell’imbarazzo” proiettato nel 2040 nella regia di Francesco Micheli

 

“Questa è una delle prime opere dove si rivela la grandezza di Donizetti come drammaturgo musicale, in grado di scolpire i caratteri e le situazioni con una musica che diventa, essa stessa, teatro – dice Milletarì – Certo, all’apparenza si tratta di una satira, ma il genio di Donizetti la trasforma in una vera commedia umana, creando personaggi autentici, in cui possiamo ancora identificarci”.

Maestro, qual è il suo legame con Bergamo?

Dopo il liceo mi sono trasferito a Brescia per studiare clarinetto in conservatorio. Bergamo è stata quindi una città vicina alla mia vita quotidiana, che più volte mi sono trovato a visitare. Devo ammettere che ho sempre avuto una simpatia per Donizetti, tanto da dare il suo nome a un cane randagio, trovato per caso e che ora è parte della mia famiglia.

Qual è l’aspetto che più la colpisce de “L’aio nell’imbarazzo”?

Il punto vincente di questo titolo sono la storia e le vicende dei personaggi. Ci mostrano come l’opera parli un linguaggio universale. La dimostrazione che una cosa scritta nel 1820 può avere una grande valenza più di 200 anni dopo. In “L’aio nell’imbarazzo”, che è uno dei primi successi donizettiani con un libretto di assoluto pregio – l’autore è Jacopo Ferretti, un vero poeta, già librettista de “La Cenerentola Rossini – possiamo trovare risposte a molte delle domande che ci poniamo oggi nel quotidiano.

 

Il direttore Vincenzo Milletarì

 

Quali domande ad esempio?

Ci porta a chiederci come rapportarci con gli altri; come risolvere i problemi di comunicazione e distanza tra noi; come comunicare i nostri sentimenti. L’Aio è un’opera buffa ma ha dei lati introspettivi profondi e interessanti.

Uno dei personaggi più interessanti è don Giulio, il padre di Enrico e Pippetto, preoccupato del futuro.

Si. È il vero protagonista dell’opera. Il suo tormento nei confronti dell’amore, del contatto con il gentil sesso e la volontà di evitare a Enrico e Pippetto i dispiaceri della vita, lo portano ad escludere i figli dal mondo esterno. È un paradosso, un rigoletto ante litteram, ma buffo, perché scottato dal proprio amore.

Come si è preparato alla direzione dell’opera?

Questo è un titolo non canonico, che viene messo in scena per la prima volta dopo molti anni. Questo ha comportato uno sforzo maggiore mio e del regista del regista per raggiungere un ritmo narrativo adatto per tutta la storia. Questo percorso è stato molto interessante. Solitamente quando abbiamo un titolo più o meno famoso possiamo camminare su un percorso già tracciato, ma in questo caso abbiamo dovuto trovare le proporzioni giuste tra tutte le strutture, tra i recitativi le arie ei concertati. Siamo stati tanto aiutati dal team scientifico della Fondazione Teatro Donizetti.

Com’è lavorare al fianco di Francesco Micheli?

È stato un percorso interessantissimo. Negli anni ho imparato che ogni artista ha il proprio modo di lavorare e di costruire un progetto. Io sono convinto che abbiamo ottenuto un risultato finale di coerenza tra parte scenica e parte musicale. E poi Francesco Micheli ha una conoscenza tale di Donizetti, del suo stile e della sua drammaturgia che è in grado di far emergere tutte le sfumature dell’opera.

Questa produzione porta in scena giovani talenti. Com’è lavorare con loro?

Personalmente io a venticinque anni, l’età che hanno gli allievi della Bottega di Donizetti, non credo sarei stato in grado di reggere una produzione intera e così complessa. Mi hanno stupito. E mi stupisce come sia sempre più precoce la preparazione dei giovani verso il palcoscenico. Ovviamente si tratta di artisti quasi tutti alla prima produzione, il nostro lavoro è stato quello di accompagnarli per far capire loro le esigenze. Ed è una cosa interessante. Io non sono che stupito e credo che molte di queste voci si faranno strada nel futuro nei teatri italiani ed esteri.

 

Il direttore Vincenzo Milletarì

 

Studiando l’opera e la vita di Donizetti ha avuto modo di trovare un punto di contatto con il compositore?

Come Gaetano, io non sono figlio d’arte, mio papà era un macellaio. Ricordo che fui io stesso a comprare il primissimo cd di musica classica mai entrato a casa mia. Riconosco in Donizetti lo stesso aspetto. È una persona che con la propria forza di volontà è riuscita ad arrivare dove poi è arrivato. Non mi metto sullo stesso piano, ma sento una vicinanza. Abbiamo deciso che la musica era la nostra strada e l’abbiamo percorsa. Poi entrambi abbiamo avuto dei maestri meravigliosi, che hanno creduto in noi.

Che consiglio darebbe a chi si approccia all’ascolto dell’opera per la prima volta?

Invito chi verrà a sentire questa nuova produzione a prestare particolare attenzione al ruolo di don Giulio. Ma anche a quelli dei due ragazzi Enrico e Pippetto. Sono molto attuali. Ho un fratello di quindici anni che, come tanti giovanissimi e come Enrico e Pippetto, ha sofferto il lockdown. E poi non manca in Donizetti il riferimento alle donne e alla loro capacità di essere risolutive dei problemi umani, come Gilda, moglie di Enrico, ennesimo esempio di donna di carattere capace di prendere in mano le situazioni e gestirle.

Dopo questa esperienza, se le venisse proposto di tornare al festival accetterebbe?

Assolutamente sì.

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