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L'iniziativa

“Com’eri vestita?”: in tribunale la mostra dedicata alle donne vittime di violenza fotogallery video

Promossa dall'Ordine degli avvocati di Bergamo e da diverse associazioni, punta a contrastare la colpevolizzazione che spesso chi subisce uno stupro deve affrontare

Bergamo. “Com’eri vestita?”. Con un tailleur grigio giacca e pantaloni, una camicia bianca, il bastone bianco: è l’abito indossato da un’avvocatessa non vedente: “Una vita nel buio, una vita di impegno per essere considerata alla pari degli altri e, finalmente, una laurea in Legge. Inizio il lavoro che ho sempre sognato con il mio tailleur grigio, ma un collega mi ha violentata e, nel buio del mio mondo, mi ha sussurrato: “Sei una povera cieca””.

“Com’eri vestita?”. Con un abito leggero, fiorato, nei toni dell’azzurro. È quello che aveva addosso una ragazza di 15 anni, stuprata da un amico dei suoi genitori: “Ricordo di averlo supplicato di smetterla, di aver pianto, ma ero bloccato da tutta quella violenza. Di ritorno alla festa ha fatto finta di niente, ha riso, scherzato e ballato. Mi sono sentita sporca e umiliata come mai nella mia vita”.

“Com’eri vestita?”. Con un abito bianco, una cinturina rossa in vita: è un abito da sposa, indossato da una giovane donna costretta a convolare a nozze con un uomo molto più grande di lei: “La prima notte mi ha violentata, c’era sangue ovunque, ero spaventata e urlavo, volevo tornare dai miei genitori, ma lui mi ha tirato uno schiaffo talmente forte che ho perso i sensi. Ogni notte, senza una parola, mi ha violentata e ogni notte io ho pregato di morire”.

“Com’eri vestita?”. Con un paio di jeans larghi, un maglione grigio, l’abbigliamento di una studentessa: “Ero a scuola per un corso pomeridiano, ero una ragazza introversa e silenziosa. Mi vestivo con maglioni e pantaloni larghissimi, almeno due taglie più grandi, mi nascondevano ed era quello che volevo. Quando sono andata in bagno lui mi ha seguita, ma non me ne sono accorta subito, mi ha violentata e mi ha lasciata per terra, nel bagno della scuola”.

“Com’eri vestita?” è il suggestivo titolo della mostra allestita nell’atrio del tribunale di Bergamo in occasione del 25 novembre, che mira a contrastare la colpevolizzazione delle donne vittime di violenza di genere.

Si chiama “vittimizzazione secondaria” e riguarda le domande che chi ha subito uno stupro spesso si sente rivolgere durante i processi. La più frequente è proprio “Com’eri vestita?”. Una domanda subdola che, come spiega la presidente dell’Ordine degli avvocati di Bergamo Francesca Pierantoni “sottintende il ‘te la sei andata a cercare’. Ma non è così. In questa mostra sono esposti anche abiti formali, normalissimi, non succinti, abiti da lavoro, indossati da donne che hanno subito violenza solo perché in una posizione di debolezza. Un fenomeno storico, ma che purtroppo è ancora molto attuale. Ed è per questo che è necessario parlarne, educare le persone, sensibilizzarle sempre di più su questo tema”.

La mostra è stata organizzata da vari enti e associazioni: ordine degli avvocati di Bergamo, Libere Sinergie, Ideado, Libere Sicure Consapevoli, Fiore di Loto, Cgil e Fiom Cigil. È stata ideata negli Stati Uniti ed è stata portata anche nelle scuole e all’università.

Il presidente del Comitato Pari opportunità dell’Ordine degli avvocati Stefano Chinotti ha sottolineato: “Spesso nelle aule di giustizia le vittime di violenza sessuale subiscono una seconda violenza e devono rispondere a domande su cosa indossassero, se avevano bevuto, per quale motivo si trovavano in un determinato luogo, da sole, come se fosse questo il vero motivo del reato subito. In realtà la violenza non è mai legata all’abbigliamento o ad atteggiamenti che potrebbero essere mal interpretati, ma è una questione di potere, che riguarda gli uomini. Il problema della violenza di genere non sono le donne, ma gli uomini”.

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