• Abbonati
Tribunale

Omicidio di via Novelli, parla l’imputato: “Ho rovinato due famiglie, non me lo perdonerò mai”

Alessandro Patelli ha rilasciato spontanee dichiarazioni nel corso dell'udienza che lo vede imputato per aver ucciso Marwan Tajari

Bergamo. “Ho rovinato due famiglie, non me lo perdonerò mai. Sono qui per prendermi le mie responsabilità. Non voglio giustificarmi, ma ho agito perché ero spaventato, non volevo fare del male a nessuno”. La felpa blu, la mascherina sul viso, i capelli sugli occhi. Alessandro Patelli, 19 anni, a processo per l’omicidio di Marwan Tajari, rilascia spontanee dichiarazioni davanti alla Corte d’assise presieduta dal giudice Giovanni Petillo.

“Non ho voluto rispondere alle domande del pubblico ministero perché quando mi ha interrogato dopo il fatto io gli ho detto tutto ciò che sapevo, ma mi è sembrato che a lui non interessasse, non mi ascoltava”, precisa.

Gli appunti li ha presi su un quadernone verde, ma non li guarda. Con la voce incerta prova a spiegare la sua versione rispetto a quanto accaduto l’8 agosto del 2021, quando affondò più volte la lama di un coltello nel corpo del tunisino dopo un diverbio, lasciandolo esanime sul marciapiede davanti agli occhi della moglie e delle due figlie.

Si commuove solamente quando parla di sua nonna: “Io dormivo con lei perché è vecchia, è sorda, aveva bisogno di aiuto la notte”. E quando accenna al suo cane, che quel giorno si trovava in auto con il padre: “Quando ho visto arrivare il papà sono andato verso di lui, gli ho spiegato cos’era successo, poi ho visto il cane in macchina, sono salito e ho lasciato sul sedile posteriore il casco e lo zaino che avevo con me”.

Poi ripercorre quella domenica che ha cambiato la sua vita e quella di altre persone: “Mi sono svegliato intorno a mezzogiorno, mia mamma mi ha telefonato e mi ha detto che mio fratello si era fatto male ad una gamba con la motosega – ricorda -. Mi sono preoccupato, ma lei mi ha tranquillizzato e mi ha detto di avvisare la nonna che non saremmo andati a pranzo”.

Il ragazzo decide di andare lo stesso nel bosco a Trescore, di proprietà della sua famiglia: “Avevo già comprato le costine e volevo fare le candele per darle in omaggio ai nostri clienti. Così mi sono vestito, sono andato a salutare la nonna e sono uscito di casa. Avevo le cuffie con la musica, ho visto che c’erano delle persone sedute sui gradini ma non ci ho fatto tanto caso”.

Quando arriva alla moto, Patelli si accorge di non aver preso il casco, “così ho portato su la moto dalla salita, l’ho parcheggiata, ho salito le scale ed ho aperto la porta. Quando mi sono girato per togliere le chiavi dalla serratura mi è venuto incontro un signore arrabbiato, vedevo che muoveva la bocca ma non capivo cosa mi diceva perché avevo le cuffie. Me ne sono tolta una e lui mi ha chiesto perché stavo camminando così veloce. Io sono salito in casa, ho preso il casco, l’ho indossato e sono sceso giù di nuovo”.

“Sono andato verso la moto e il signore si è girato di scatto verso di me, mi è venuto incontro arrabbiato, parlando, aveva una bottiglia di birra in mano. Io avevo le cuffie, non sentivo, ho messo la mano in tasca per abbassare il volume del telefono e ho sentito che avevo il coltello. Mi è venuto da estrarlo dalla tasca e mostrarglielo e farlo stare lontano”, prosegue il racconto.

“Lui continuava a dirmi di togliere il casco, che non gli interessava niente del mio coltello”. A quel punto Tajari si sarebbe sollevato la maglietta per mostrare alcune cicatrici che aveva sul petto.
“Io gli ho chiesto perché voleva farmi del male, gli ho fatto notare che era il doppio di me, ma lui insisteva, voleva che mi togliessi il casco. Io avevo paura che mi colpisse in testa con la bottiglia di birra che aveva in mano”.

Il tunisino a quel punto ha posato a terra il sacchetto con all’interno la bottiglia “poi si è girato di scatto e mi ha buttato per terra. Sono caduto di schiena ed ho pensato che stavo per morire, non volevo. Senza avere il tempo di ragionare ho iniziato a tirare delle coltellate, fino a quando lui con le mani ha afferrato la lama e l’ha girata verso di me. Io l’ho colpito ancora, sono riuscito a liberarmi e sono corso dall’altra parte della strada”.

Marwen Tajari si è alzato da terra, “mi è venuto ancora incontro, ha preso il sacchetto. Io ero immobile, non sapevo più cosa fare, lui è caduto a terra, la bottiglia che si è rotta. Non avevo capito la gravità di ciò che era successo. Ho sentito delle urla, ho detto di chiamare l’ambulanza”.

A quel punto sono arrivati i carabinieri, “mi hanno portato in caserma, mi hanno fatto le foto, mi hanno chiesto cos’era successo. Poi è arrivata mia mamma ed ho avuto un attacco di panico, non riuscivo più a muovere le braccia. Hanno chiamato l’ambulanza, le infermiere mi hanno preso i parametri, mi hanno dato delle gocce per calmarmi ma non funzionavano. Ne ho chieste ancora ma a quel punto mi portano in ospedale. Poi non mi ricordo più niente. Mi ricordo solo che la sera ero nella cella della caserma, i carabinieri che mi davano da mangiare e poi che ero in prigione”.

Nell’udienza di venerdì ha parlato anche Matteo Patelli, fratello dell’imputato: “Siamo in buoni rapporti, abbiamo 4 anni di differenza, ci vogliamo bene. È sempre stato un tipo molto tranquillo rispetto a me. Quando eravamo bambini diceva sempre che lui era un non violento, era un tipo remissivo, non provocatorio come lo posso essere io”.

“Lui stava da mia nonna. Siamo tutti e due molto legati ma lui in particolare, voleva sempre dormire dalla nonna e praticamente viveva con lei. Nella nostra camera da letto abbiamo dormito pochissimo insieme perché entrambi avevamo la smania di andare dalla nonna. Negli ultimi anni avevo abbandonato la sfida, con lei ci dormiva solamente Alessandro”.

Nella camera da letto comune c’era un coltello: “È mio, l’ho comprato a Curno in un negozio di attrezzatura paramilitare, ha una custodia di cuoio, un manico marrone – ha spiegato il giovane -. Lo usavo quando andavo in montagna. L’hashish che hanno trovato in camera era mio. Alessandro non l’ho mai visto fumare, non lo faceva davanti a me”.

La difesa, retta dall’avvocato Enrico Pelillo, ha chiamato a deporre anche diversi testi per tratteggiare la personalità dell’imputato. Come Diego Amaddeo, titolare del ristorante da Mimmo. “Alessandro ha lavorato una decina di giorni da noi in cucina nel luglio 2019. Abbiamo dipendenti di 22 nazionalità diverse, Patelli non ha mai dato segni di intolleranza. Lui era un tipo molto taciturno, ma aveva un’ottima manualità. Ho anche visto lui, suo fratello e suo padre lavorare nel giardino di casa mia, dove facevano manutenzione 4 o 5 volte l’anno”.

Poi la madre di due amici di Patelli, un autotrasportatore romeno che lavorava in via Novelli ed è stato aiutato dalla famiglia: “Spesso Alessandro mi portava il pranzo nel parcheggio sotto casa sua, oppure mi invitavano a mangiare”. Un amico che lo ha frequentato assiduamente dalle elementari fino ai 16 anni; la titolare di due ristoranti, dove Patelli ha fatto il pony pizza per un paio di mesi nel 2020; la titolare di una copisteria dove nel 2019 aveva fatto lo stage: tutti lo definiscono un ottimo lavoratore, un ragazzo timido, introverso, corretto.

Nella prossima udienza, fissata per venerdì 4 novembre, ci saranno le conclusioni con le richieste di accusa e difesa.

Iscriviti al nostro canale Whatsapp e rimani aggiornato.
Vuoi leggere BergamoNews senza pubblicità?   Abbonati!
leggi anche
Omicidio via Novelli
Il processo
Omicidio di via Novelli, l’accusa chiede 21 anni di carcere per Alessandro Patelli
commenta

NEWSLETTER

Notizie e approfondimenti quotidiani sulla tua città.

ISCRIVITI