Bergamo. “Alessandro? Molto coccolone, dolce, affettuoso, introverso. Tutto il contrario di suo fratello”. Sono i primi aggettivi che Gianbattista Patelli pronuncia per descrivere il figlio 19enne, imputato per l’omicidio del 34enne tunisino Marwen Tayari, morto l’8 agosto 2021 in via Novelli tra la caserma di Bergamo Bassa e la stazione.
“Per quanto ne so, Alessandro non ha mai litigato con nessuno e anzi, l’unica lite che ricordo è stata al Seminarino mentre giocava a pallone. Ma è stato lui a prendere un pugno, rompendosi pure il naso – sottolinea -. A scuola? Nessuno ha mai chiamato a casa. Mio figlio non ha mai fatto fuochi d’artificio. Ha frequentato per un po’ l’artistico, poi si è stancato ma il suo diploma di grafico l’ha comunque portato a casa”. Sull’hashish trovata in cameretta: “Non lo sapevo, non ho mai visto Alessandro alterato e non fumava neanche le sigarette all’epoca – sostiene il padre -. Ora sì, ha iniziato dopo il carcere”.
Mercoledì mattina, 19 ottobre, in aula è stata la volta del padre di Alessandro Patelli, Gianbattista – in città tutti lo conoscono come John – giardiniere con un passato da agente di commercio. Davanti al giudice Giovanni Petillo e al pubblico ministero Paolo Mandurino ha fornito la sua versione dei fatti, ripercorrendo quella giornata prima e dopo il tragico evento. “Quando sono arrivato in macchina c’era un capannello di gente in strada. Appena ho visto mio figlio sporco di sangue ho abbandonato l’auto sul carrale, con dentro ancora le chiavi e il cane. Mi è venuto incontro urlando ‘mi stava ammazzando’ e dicendomi che aveva una bottiglia in mano”.
Sia l’accusa che le parti civili hanno ancora insistito sul fatto che né l’imputato, né la sua famiglia si siano ancora scusati con i parenti della vittima. “Ho perso mio padre che avevo cinque anni, mia madre che ne avevo sei – ha risposto Patelli -. So che cosa significa perdere un genitore (Marwen Tayari era padre di due bambine, ndr) e ho compreso presto che davanti alla morte ogni parola è superflua. Ogni lettera, ogni bigliettino sono superflui. Anzi, per quel che è stata la mia esperienza ritengo il peso della compassione persino fastidioso”. Gli chiedono se in famiglia hanno o meno parlato di quanto accaduto (in riferimento all’omicidio, ndr). “Certo – assicura -. Quel giorno io e Alessandro abbiamo pianto in strada. È una tragedia che ha rovinato due famiglie. Lui e mia moglie sono seguiti da una psicologa”.
Ancor prima del padre dell’imputato hanno parlato il genetista Giorgio Portera e il medico legale Giancarlo Borra, entrambi nominati in veste di consulenti dalla difesa del ragazzo. Il primo ha spiegato le analisi condotte sui reperti trovati sulla scena del crimine “per capire come erano posizionate le tracce di sangue”, in particolare la maglietta “per chiarire se fossero tutte appartenenti alla vittima”. Due piccole tracce di sangue dell’imputato, in particolare, sono state individuate sul lato posteriore della sua maglietta: come a indicare che anche lui, nella colluttazione, si ferì. Il secondo, invece, è tornato sulla dinamica del fatto, sostenendo come durante la colluttazione a terra Patelli abbia sferrato dei “colpi alla cieca a scopo difensivo”. In questo senso, per il medico sono indicative alcune piccole ferite da taglio trovate sul palmo di entrambe le mani.
Nella prossima udienza, fissata per il 28 ottobre, Alessandro Patelli dovrebbe rilasciare dichiarazioni spontanee. Il 4 novembre le conclusioni, il 18 potrebbe arrivare la prima sentenza.
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