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La rivoluzione 4.0 Roma vs Davos. Tra lavoro e partecipazione

Le crisi economiche ricorrenti, la pandemia, le ingiustizie sociali e la prepotenza insita nel culto idolatrico della tecnica ci hanno mostrato le fragilità strutturali proprie ai sistemi liberisti, capitalisti e progressisti, ormai del tutto inadeguati di fronte alle sfide future di un mondo interconnesso e globale

“La Storia del Lavoro è storia di trasformazioni, di nuovi prodotti e di nuovi produttori”.

Con questa breve frase, Mario Bozzi Sentieri, giornalista e scrittore specializzato in tematiche economiche e sociali, traccia il sentiero di senso, e di prospettiva, lungo il quale si articola il suo ultimo pregevole contributo, dal titolo “La Rivoluzione 4.0. Roma vs Davos. Tra lavoro e partecipazione” (ed. Eclettica).

Un saggio solido, impreziosito da un approccio metodologico rigoroso, in grado di coniugare complessità e chiarezza, profondità di analisi e semplicità espositiva. Nello scritto si affronta da un punto di vista storico, politico e culturale, nella sua accezione più ampia e veritiera, la natura dinamica dell’attività produttiva e creativa umana. Lavorare è un atto che appartiene al mistero insondabile della libertà umana, un gesto che non potrà mai essere ridotto a una semplice, e meccanica, prestazione quantificabile in ore lavorative. Il paradigma odierno, gravato dalla crisi delle certezze e dei valori, deriva tipicamente postmodernista, sembra avere obliato il nesso, e il legame, che salda l’essere alla sua essenza: non esiste, in definitiva, un’attività lavorativa che possa prescindere dall’uomo concreto, dalla persona situata temporalmente e geograficamente, chinata sulla terra o immersa nella rete delle infinite, ma concretissime e reali, possibilità di azione, di scelta.

Le crisi economiche ricorrenti, la pandemia, le ingiustizie sociali e la prepotenza insita nel culto idolatrico della tecnica ci hanno mostrato le fragilità strutturali proprie ai sistemi liberisti, capitalisti e progressisti, ormai del tutto inadeguati di fronte alle sfide future di un mondo interconnesso e globale. Urge una rivoluzione di pensiero, uno sguardo antico e moderno, in grado di “ritrovare la centralità del lavoro e quindi la necessità di ridare valore e senso ad un’idea del fare che va ben oltre le ragioni della produzione e dell’economia”.

Il lavoro è sintesi di materia e forma, “essenza spirituale e culturale”. Il lavoratore ne è custode e padrone, habitat ospitale, terreno fertile di competenze e abilità: “Al centro di questi processi di trasformazione c’è la figura del lavoratore sempre più consapevole del proprio ruolo, attivo rispetto alle scelte aziendali, capace di “fare squadra” piuttosto che – come nel passato – di “essere in squadra”, gerarchicamente subalterno e passivo. Il modello è quello dell’azienda “orizzontale”, lungo le linee produttive, in grado di collocare allo stesso livello funzionale manager, tecnici, operai specializzati”. Il capitale umano non cesserà mai di essere la risorsa più importante. L’autentica sfida del domani si potrebbe, pertanto, sintetizzare in una progressiva attenzione su quelle “capacità di lavorare insieme, sulla costruzione del gruppo e, soprattutto, sulla creazione di una sinergia che porti al raggiungimento di un obiettivo comune attraverso l’apporto e la coordinazione di tutti i componenti del gruppo”.

Fare sistema, sposando una logica partecipativa, creare collegamenti territoriali, coinvolgere sinergie varie, riequilibrare le fonti di tassazione, investire sull’istruzione e sulla formazione continua: interventi urgenti “per far ripartire l’ascensore sociale”, traghettando il Paese, altrimenti costretto alla stagnazione e alla rassegnazione, verso una nuova fase di crescita e di sviluppo, una sorta di “Umanesimo del Lavoro”. L’uomo che lavora, che progetta, che forgia l’avvenire, necessita, infine, di bellezza. Quest’ultima non è da intendersi come “fuga estetizzante dal reale”, ma al contrario come “rottura contro tutte le banalizzazioni”.

La bellezza è “presa di coscienza, al di là del macchinismo industriale, dell’urbanesimo indifferenziato, dell’omologazione di massa”, leva con cui risollevare il mondo, scompaginando vecchie e desuete distinzioni, “in un crogiuolo nel quale cultura alta (e specialistica) e cultura popolare (e di massa) si possano incrociare, magari scioccando gli animi aristocratici”.

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