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Leader nato e punto fermo: scacciati i dubbi, Demiral è l’anima dell’Atalanta

Riscattato all’ultimo secondo, mantenuto in rosa tra le voci di addio: il turco è stato tra i trascinatori dell’Atalanta in questo avvio di stagione

Bergamo. Che Merih Demiral avesse l’attitudine da leader si capiva già dalle sue primissime esperienze italiane. Quando il Sassuolo lo ha portato in Italia nel gennaio 2019, tutti gli addetti ai lavori neroverdi sono rimasti sbalorditi dall’impatto che ha avuto sull’ambiente. Aveva 20 anni, ma ha subito mostrato grande coraggio e il trasporto emotivo con cui si allenava lasciava grandi sensazioni sul suo futuro.

Nel biennio alla Juventus il classe 1998 è riuscito a dimostrare queste sue doti soltanto in parte, vuoi per gli infortuni, vuoi per la giovane età con cui è arrivato in un gruppo che di leader ne aveva già diversi. Nell’Atalanta che oggi guida la classifica della Serie A, però, la componente mentale che aggiunge il difensore 24enne è più che fondamentale. E non è una novità.

Probabilmente è stato anche questo uno dei fattori che la società ha preso in considerazione quando il 15 giugno scorso ha optato per riscattarlo dalla Juventus, sborsando una cifra superiore ai 20 milioni di euro dopo essersi posta molte domande, come normale che sia nel momento in cui ballano cifre così pesanti.

Forse la sensazione che Demiral avesse la stoffa del combattente Gian Piero Gasperini l’ha avuta in prima persona nel match dell’ultima giornata della stagione 2018/19, che ha sancito la qualificazione in Champions League: il duello fisico e tecnico con Duvan Zapata è rimasto negli occhi e nella mente dei presenti, anche se chi lo ha seguito in neroverde già lo aveva visto eseguire giocate difensive che avevano fatto emergere quali fossero le sue doti.

Tra le altre, simbolico fu un tackle contro il Napoli in campo aperto recuperando 10 metri a Mertens lanciato solo davanti al portiere. Da quel momento anche il gruppo ha avuto l’impressione che Merih fosse un giocatore di valore diverso, superiore alla media.

Oltre all’aspetto emotivo in campo c’è anche il lato umano. Chi lo ha conosciuto racconta che Merih è un ragazzo che si fa adorare perché non vuole perdere mai, ma soprattutto unisce, lega giocatori con caratteri diversi, porta energia positiva. Dovunque sia andato ha lasciato un ricordo incredibile.

A Bergamo ha trovato la sua identità anche tattica, con la possibilità di essere aggressivo sull’uomo, di imporre la propria fisicità. Fondamentali per la sua crescita sono però stati i mesi nella difesa a 4 di Roberto De Zerbi a Sassuolo e Maurizio Sarri a Torino: lo hanno reso più padrone dei tempi del gioco e migliore in possesso palla.

Non è un caso che in Turchia venga considerato un perno della nazionale, un giocatore con grandi responsabilità, riconosciuto come uno dei leader (lui e l’amico Calhanoglu, che sfida in Serie A con la maglia dell’Inter), ma che è anche in grado di riuscire a gestirle.

Le aspettative molto alte, ma Merih ha voglia di farsene carico. A Bergamo come in nazionale.

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