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La denuncia

Quasi 600 i morti sul lavoro da inizio anno: una media di 3 al giorno

Più di 400.000 le denunce di infortuni e una crescita di più del 7% per le denunce di malattie professionali

A distanza di due anni e mezzo dall’inizio della pandemia, Cgil, Cisl e Uil di Bergamo si sono riuniti a Nembro, cittadina simbolo delle prime fasi della crisi da Covid-19, in occasione della 5ª Giornata territoriale per la sicurezza sul lavoro.

L’incontro, che si è svolto al Modernissimo di Nembro, ha permesso di analizzare l’impatto del Covid 19 sul mondo del lavoro bergamasco e ha provato ad intercettare gli effetti attuali del Long Covid fra i lavoratori. Al convegno hanno preso parte medici e sindacalisti, ma anche i responsabili di Ats Bergamo e Inail e alcuni Rappresentanti dei Lavoratori alla Sicurezza dei settori più esposti al rischio contagio.

È da queste relazioni che è emerso che lo scorso anno le ispezioni nelle aziende hanno evidenziato irregolarità per il 69% delle aziende controllate. Per salute e sicurezza sul lavoro si arriva al 77% di irregolarità. E questo con una quantità di organi di controllo e vigilanza ridicola per 1.600.000 imprese.

Le sigle sindacali Cgil, Cisl e Uil di Bergamo hanno rimarcato come “la salute e la sicurezza sul lavoro non sono argomenti di interesse per la campagna elettorale, eppure, riguarda la vita delle persone, la loro dignità, i diritti fondamentali”. Da qui la stesura di un manifesto.

NON POSSIAMO ACCETTARLO

  • Tutti i finanziamenti alle imprese, che aumentano per l’attuazione del PNRR, devono essere condizionati ad investimenti in salute e sicurezza sul lavoro.
  • Deve essere previsto e preteso che le imprese di ogni settore seguano criteri di qualificazione (anche attraverso il modello della patente a punti) e che siano applicati solo i contratti collettivi di lavoro stipulati da Associazioni Sindacali comparativamente più rappresentative, soprattutto quando si parla di appalti pubblici, pena l’esclusione dai bandi stessi.
  • Chiediamo Formazione e addestramento per tutte le lavoratrici ed i lavoratori, per tutti i tipi di contratto, all’inizio dell’attività lavorativa, prima di adibire alla mansione. Vogliamo la formazione per i datori di lavoro quale requisito per l’avvio o l’esercizio dell’attività d’impresa.
  • È essenziale il rafforzamento dei controlli da parte del “sistema vigilanza” – Inl, Asl, Inail, Inps – nelle aziende in termini di qualità, quantità e frequenza, e la realizzazione tra questi istituiti di un coordinamento, di un confronto e di collaborazione concreta e permanente che coinvolga anche le parti sociali.
  • Vogliamo la garanzia, anche attraverso l’Azione ispettiva, dell’adozione della contrattazione collettiva maggiormente rappresentativa a tutti i livelli: nazionale, territoriale e aziendale affinché siano estese in modo certo a tutti i lavoratori e le lavoratrici le tutele in tema di salute e sicurezza.
  • I lavoratori e le lavoratrici di oggi fanno i conti con un lavoro che cambia, con innovazioni tecnologiche e digitali, cambiamenti climatici, precarizzazione del lavoro, invecchiamento della forza lavoro. Chiediamo l’avvio di tavoli di tavoli di confronto su questi temi, tra ministeri competenti, parti sociali e istituiti ed enti di ricerca. Va portata avanti l’analisi delle cause infortunistiche, delle tecnopatie e per la ricerca sui rischi emergenti; vanno affrontati i temi delle violenze e delle molestie sul lavoro come indicato dalle norme di legge e dai contratti nazionali.
  • Vogliamo che la materia della salute e sicurezza sul lavoro entri nei programmi scolastici perché non sia solo una conoscenza di norme ma si concretizzi il rispetto del valore della vita umano.

CHIEDIAMO ALLE FORZE POLITICHE CHE SI PRESENTANO AL VOTO L’IMPEGNO PER FERMARE QUESTA STRAGE

Dopo i saluti del sindaco di Nembro, Gianfranco Ravasio, i lavori sono stati aperti da Angelo Chiari, segretario della Cgil di Bergamo e per questa sigla sindacale responsabile delle politiche su salute e sicurezza. Sono intervenuti Ariela Benigni, coordinatrice delle ricerche all’Istituto Mario Negri, Giuseppina Zottola, direttrice U.O.C. Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro Ats di Bergamo, Virginio Villanova, direttore della sede di Bergamo dell’Inail e Matteo Salmoiraghi, della Medicina del Lavoro Asst “Papa Giovanni XXIII”.

Alcuni Rappresentanti dei Lavoratori alla Sicurezza aziendali e territoriali hanno poi riferito delle loro esperienze dirette, nei lunghi mesi alle prese con la pandemia. Le conclusioni saranno affidate ad Angelo Colombini, segretario della Cisl nazionale. Ha coordinato l’incontro Claudia Dabbene, segretaria di Uil Bergamo.

DUE TESTIMONIANZE

Quali sono i nodi più critici che occorre affrontare per garantire davvero più sicurezza sul posto di lavoro? Provano a rispondere, partendo dalla loro esperienza diretta, due lavoratori che ricoprono anche il ruolo di delegati sindacali nelle aziende in cui sono impiegati.

La prima testimonianza è quella di Enrico Molteni, operatore socio sanitario all’ASST Bergamo Ovest di Treviglio, da quasi dieci anni al lavoro nella sanità, prima privata e ora pubblica.

“La pandemia ha rappresentato una sorta di stress test per noi lavoratori delle strutture sanitarie. A Bergamo, ma in verità ovunque in Italia, le aziende che non hanno analizzato in modo opportuno il rischio da stress lavoro-correlato oggi stanno assistendo a una fuga di personale. Ci si allontana da realtà dove non sono stati adottati opportuni sistemi di gestione delle criticità nei carichi di lavoro. Anche per questo ora ci troviamo ad affrontare una grave carenza di personale. È mancata una gestione congrua dei turni, delle ferie, si sono prese come diktat le linee della Regione (ad esempio la necessità di raggiungere la quota del 110% delle prestazioni rispetto ai livelli del 2019) senza però verificare sul campo cosa si potesse davvero fare, in base al personale a disposizione. Il ricorso alle cosiddette prestazioni aggiuntive (ad esempio al fatto di monetizzare i giorni di riposo, da utilizzare per coprire la carenza di personale) ha avuto ovviamente conseguenze sui carichi e sullo stress. Dunque sulla salute dei lavoratori”.

“In sanità viviamo poi un altro rischio, per certi aspetti nuovo, in parte anch’esso legato alla pandemia: quello di aggressioni e minacce subite in corsia. In questi due anni abbiamo avuto difficoltà ad erogare le prestazioni classiche in tempi congrui perché il personale era impegnato nella somministrazione di vaccini o nei reparti Covid. I tempi di attesa si sono allungati anche nei Pronto soccorso. Inoltre il virus ha reso più difficile il rapporto tra paziente, medici e famiglie (che non potevano accedere alle strutture). Tutti questi elementi hanno contribuito ad aumentare disagi e proteste, sfociati sempre più di frequente in aggressioni verbali, ma anche fisiche, minacce, urla, insomma in episodi che già esistevano prima, ma che erano solo sporadici e legati a specifiche patologie dei pazienti, come quelle psichiatriche. Ben vengano i decreti regionali, anche recenti, sul tema della prevenzione delle aggressioni e sulla riduzione dei tempi di attesa. I provvedimenti, però, resteranno solo sulla carta se non si agisce attraverso l’aumento di personale e una diversa, più attenta, organizzazione del lavoro”.

La seconda voce che abbiamo raccolto è quella di Carmine Andrea Leo che ha un contratto edile ma fa un mestiere che non si svolge in cantiere, bensì in autostrada. È parte di una squadra di pronto intervento che entra in azione in caso di incidenti. Per la società Argentea si occupa di posizionare la segnaletica e curare la gestione della viabilità in caso di sinistri. Non affronta il tema Covid, ma quello della sicurezza sul lavoro più in generale.

“La mia vita è letteralmente in mano a chi guida, agli automobilisti che sfrecciano accanto a me e ai miei colleghi quando operiamo. In otto anni sulle autostrade ho visto ogni genere di leggerezza da parte di chi è al volante, soprattutto distratto dall’uso del telefono e dalla velocità. Mi è capitato, ritirando della segnaletica, di vedere arrivare un mezzo il cui conducente, occhi sul cellulare, solo all’ultimo secondo ha cambiato corsia. Consapevoli del margine di rischio che per noi dipende dall’attenzione degli automobilisti, noi cerchiamo di agire sulle misure e sugli strumenti in nostro possesso. Prestiamo la massima attenzione alle misure di sicurezza, alle distanze da mantenere tra i cartelli che posizioniamo. Abbiamo un protocollo interno dettagliato, ed esistono decreti governativi con le norme da rispettare. Peccato che chi li ha scritti era di certo seduto a una scrivania, e non nel mezzo di una carreggiata autostradale. Forse sarebbe opportuno che chi definisce le modalità di lavoro comunichi con chi, poi, quei regolamenti deve metterli in pratica. Per fare un esempio, un’indicazione vincolante come quella di non fare soste durante il posizionamento di cartelli nella corsia centrale è impossibile da rispettare, visto che con il traffico autostradale andare e tornare da un lato all’altro della carreggiata non è proprio fattibile, a meno di non finire investiti. È evidente che non esiste, là in mezzo, un passaggio pedonale. È poco realizzabile anche l’indicazione di portare da un punto a un altro delle corsie autostradali non più di un cartello stradale per volta. Più movimenti sulla carreggiata, cioè più attraversamenti, per noi significa solo più i rischi. Si consulti chi lavora, prima di scrivere decreti e regolamenti”.

“Tengo anche a sottolineare che in generale, in tutti i posti di lavoro, anche in quelli dove mi è capitato di lavorare in passato, se non ci sono controlli, molte misure restano vane e il peso della loro applicazione– spesso nel disinteresse delle aziende – grava solo sull’operaio. Anche affrontare la questione del salario potrebbe aiutare: di solito si incentivano i manager con bonus e lavori a obiettivi, ma perché non farlo anche con gruppi di operai che si siano distinti per aver creato ambienti di lavoro particolarmente sicuri?”.

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