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L'intervista

Flat tax, l’esperto: “Prevede aliquota unica, è diversa l’incidenza sul reddito”

Ne parliamo con il professor Gianmaria Martini, direttore del dipartimento di Scienze Economiche dell'Università degli studi di Bergamo

In queste settimane si sente parlare molto di flat tax. È uno dei temi al centro del dibattito politico e della campagna elettorale in vista delle prossime elezioni che si svolgeranno il 25 settembre.
La proposta, formulata dalla Lega e da Forza Italia, introdurrebbe un sistema fiscale differente da quello attuale in Italia e nella maggior parte dei Paesi del mondo che, invece, è basato sul concetto di progressività delle imposte. Per saperne di più, dal punto di vista tecnico, abbiamo intervistato il professor Gianmaria Martini, direttore del dipartimento di Scienze Economiche dell’Università degli studi di Bergamo.

Cosa si intende esattamente con flat tax?

L’espressione “flat tax” (letteralmente in italiano “tassa piatta”) indica un sistema fiscale basato su un’aliquota unica per tutti i contribuenti. Significa che tutte le persone che percepiscono un reddito da lavoro – non da capitale, in questo caso la tassazione è già flat in Italia – hanno la stessa percentuale di prelievo fiscale. Se, per esempio, avessimo due famiglie, una con un reddito di 20mila euro e l’altra di 50mila euro, in presenza di una tassa piatta al 20%, la prima verserebbe 4mila euro di tasse e la seconda 10mila euro. Applicare la tassa piatta, quindi, non significa che tutti pagano lo stesso importo, vuol dire che l’incidenza sul reddito è uguale, ossia la percentuale di prelievo è la stessa per ogni contribuente. In un sistema come questo, quindi, in proporzione al reddito e alla capacità di spesa, la tassazione incide allo stesso modo. Oggi in Italia, come nella maggior parte dei Paesi, non è così: il prelievo fiscale viene applicato osservando il criterio della progressività delle imposte.

Ci spieghi

Il sistema fiscale attuale in Italia prevede percentuali di prelievo fiscale – le cosiddette aliquote, in Italia sono attualmente 4, dal 23% al 43% – diverse, crescenti rispetto al reddito. Riprendendo l’esempio citato poco fa, la famiglia che ha un reddito di 20mila euro potrebbe avere un prelievo fiscale del 15%, mentre la famiglia che guadagna 50mila euro sui primi 20mila euro verserebbe il 15% e sugli altri 30mila un prelievo che potrebbe essere il doppio. In questo modo le imposte incidono maggiormente sulle famiglie che hanno un reddito superiore e sono più ricche. Questa progressività ha effetti sulla distribuzione delle risorse tra le persone che hanno redditi diversi. Per fare un paragone, è come se andando al supermercato le persone più abbienti pagassero di più per far sì che la differenza permetta di fare acquisti anche a chi percepisce un reddito inferiore. Per capire meglio cosa significa che la tassazione ha effetti sulla distribuzione delle risorse, possiamo considerare gli effetti dell’inflazione, che in questo momento è uno dei principali problemi di tutti gli italiani.

In che senso?

L’inflazione è una tassa occulta, perché l’aumento dei prezzi comporta una contrazione del potere d’acquisto, cioè impatta sulle risorse a disposizione per le proprie compere. I dati di questa settimana, diffusi dalla Banca Centrale Europea e dalla Banca d’Italia, hanno rilevato che, su base annua, il costo del carrello della spesa – un indicatore che esprime il costo della vita medio di un nucleo familiare – è incrementato del 9,1%. Per tornare all’esempio di prima e semplificare i calcoli, supponiamo che sia aumentato del 10%. Questo significa che il costo della spesa al supermercato è aumentato del 10% per tutti, quindi sia per la famiglia che ha un reddito di 20mila euro sia per quella dei 50mila euro. La tassa occulta inflazione è piatta: +10% per tutti. Ma che effetti ha sul reale potere di acquisto delle due famiglie? Su quale avrà ripercussioni più gravose? L’aumento del costo della spesa incide di più sulla famiglia con un reddito di 20.000, perché la spesa al supermercato assorbe una proporzione maggiore delle risorse rispetto alla famiglia con un reddito di 50.000. In sintesi, su quella che ha un reddito inferiore perché avrà una possibilità di spesa minore: la tassa occulta inflazione incide in modo diverso sulle risorse a disposizione delle persone con redditi diversi.Questi sono gli effetti distributivi delle variabili economiche.La tassa piatta è simile all’inflazione: un prelievo sul reddito in percentuale uguale per tutti. Le aliquote progressive spostano un prelievo maggiore sui redditi più elevati.

Altri Paesi hanno adottato la flat tax?

Nell’ambito dell’Unione Europea, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, è stata adottata in alcuni Paesi Baltici come Estonia, Lettonia e Lituania. Successivamente anche la Slovacchia ha adottato la tassa piatta. I dati disponibili non permettono di capire l’effetto reale della tassa piatta sulla crescita di questi paesi, perché questo tipo di tassazione è stato introdotto assieme a diverse altre riforme strutturale, che hanno alimentato lo sviluppo economico. Successivamente anche altri paesi dell’Europea dell’est hanno introdotto la flat tax: Albania, Bulgaria, Macedonia e Romania. Recentemente, Lettonia (nel 2018), Lituania (nel 2019), e Slovacchia (nel 2013) hanno invece lasciato la tassa piatta per introdurre delle imposte progressive. La maggioranza dei paesi del mondo ha comunque un sistema progressivo, magari con un numero di aliquote inferiore. La ricerca economica sta portando avanti diversi progetti di ricerca che stanno confrontando gli effetti dei due sistemi. In futuro potremo avere dei risultati più precisi.

Ma la flat tax porterebbe a meno entrate per lo Stato?

Dipende dall’ammontare dell’aliquota. Occorre infatti considerare diversi fattori: (1) la spesa pubblica, (2) l’ammontare della tassa piatta in percentuale, (3) eventuali meccanismi di esenzione dalle tasse e di deduzione del reddito imponibile. La spesa pubblica è importante perché le tassa servono a finanziarla. Se la spesa pubblica è limitata la copertura è semplice, se è molto elevata (come in Italia), si pone il problema della copertura, per limitare l’indebitamento, su cui torneremo.La percentuale di imposizione della flat tax è un altro elemento: se ad esempio, in Italia fosse attorno al 35% non ci sarebbe probabilmente nessuna diminuzione di gettito. Poi occorre considerare che la flat tax viene spesso introdotta assieme a meccanismi di deduzione del reddito, quindi la risposta non è così immediata. Il tema delle entrate per lo Stato, però, si inserisce in un contesto più ampio e complesso che accennavo prima, che è quello della sostenibilità del debito pubblico e della spesa pubblica italiana, che costituiscono un grosso problema. Non si può guardare quindi a un provvedimento – ad esempio l’introduzione della flat tax – singolarmente: per valutarne la sostenibilità bisogna adottare uno sguardo più ampio.

Cioè?

Siamo in campagna elettorale e tutte le forze politiche stanno predisponendo le loro piattaforme. Non possiamo guardare alla flat tax in modo isolato da quello che la stessa compagine vuole fare come spesa sociale e da quello che un’altra forza politica ipotizza, che magari non riguarda la tassa piatta ma altri interventi, ad esempio la riduzione del cuneo fiscale, il reddito di inclusione o gli investimenti in sanità, nel sociale ecc. Un partito, per esempio, può mantenere la tassazione progressiva e non cambiare nulla in materia fiscale, ma spendere molto di più a livello di welfare. È come se generasse una maggiore spesa che peserebbe ancora sul debito pubblico. Un’altra coalizione potrebbe introdurre la tassa piatta ma tagliare la spesa sociale. Gli effetti sul debito pubblico sono complessivi, non riguardano mai un singolo provvedimento. E quindi veniamo al dunque: nella campagna elettorale nessuno mette al centro uno dei problemi cruciali che abbiamo, cioè quello di garantire la sostenibilità della spesa pubblica e rientrare da undebito eccessivo. Bisogna tenere la spesa sotto controllo e stimolare la crescita economica: queste sono le direzioni verso cui indirizzarsi. È necessario pensare a come rientrare da un debito di cui i mercati internazionali ci chiedono e ci chiederanno conto. Ma per ora nessuno accenna a questi temi.

Le generazioni future rischiano di “pagare” questo debito

Non solo loro: non ci saranno effetti tra 10 o 15 anni, li vedremo a breve. A luglio, con la caduta del governo Draghi, lo spred è salito a 250 punti. Appena c’è una tensione che può minare l’affidabilità politica e il controllo del debito pubblico i mercati reagiscono e ci mettono in crisi. Per questo, per le varie forze politiche promettere provvedimenti slegati dal contesto finanziario non ha un grande fondamento: bisogna spendere in modo intelligente, cioè – come aveva detto Mario Draghi – fare debito buono, ossia spendere per stimolare la crescita. L’Italia sta crescendo anche più della Germania nel 2022, ma deve spingere ulteriormente su questo obiettivo.

Cosa intende per debito buono?

Gli investimenti in infrastrutture, digitale e formazione sono misure che stimolano la crescita, così come la spesa per le politiche attive sul mercato del lavoro e il sostegno ai piani d’investimento delle imprese. Allo stesso modo, può avere un’importanza strategica prestare attenzione ai livelli di povertà. Anche il sistema fiscale è importante: non è detto che si debba proseguire sempre con lo stesso, si può rivedere, ma può cambiare senza dimenticare la sostenibilità del debito e lo stimolo alla crescita. Anche gli interventi per ridurre il cuneo fiscale sono un esempio di debito buono: le imprese pagano il lavoro la stessa cifra, ma la quota disponibile al lavoratore si amplierebbe.

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