• Abbonati
La riflessione

Estate in carcere: si costruisce morte

Lettera aperta di Antonio Nastasio che ha scritto alla Ministra della Giustizia Cartabia, affinché intervenga per garantire un supporto reale ai reclusi ed agli agenti di polizia penitenziaria

In questi giorni il tema dei suicidi in carcere è ricordato da numerose testate giornalistiche, cartacee ed online, in quanto prendono la massima rappresentazione statistica le persone che pongono la parola fine.

È una situazione tutt’altro che nuova per le cronache italiane, ma ora sembra nettamente peggiorata. Ricordiamo che nel mondo chi è detenuto si toglie la vita con una frequenza in media di 10-20 e più volte maggiore rispetto alle persone libere. Il dato è secco ed eloquente.

Ancora oggi, nonostante i notevoli cambiamenti del regime detentivo, l’incidenza suicidaria tra i detenuti nel nostro paese è molto più elevata rispetto al resto della popolazione, e luglio ed agosto sono per le carceri mesi nefasti, oltre che per il gran caldo, soprattutto per l’assenza e la privazione di contatti umani. Il mondo lavorativo vuole uno stop per ritemprarsi, giusto e auspicabile, e per la carceri si amplia la forbice tra certo e incerto, tra io come persona che esiste e io come persona abbandonata. Il timore di essere abbandonati è il grande cancro che affligge i detenuti in questi mesi di vacanza civile e giuridica, una certezza che nelle celle può diventare infausta: morte.

Senti il giro delle chiavi, quelle grosse pesanti chiavi che ogni volta che entrano nel foro della serratura gracchiano come il cappio al collo e non sai mai se giri a destra, per chiudere. O a sinistra per aprire. Aspetti, aspetti, poi percepisci che è girata a destra, chiuso. Chiuso per quanto? Per cosa? Per una colpa o perché mi ritengo innocente? Che importa, chiuso, chiuso, chiuso e via, via da ogni cosa, via dalla libertà, via dalla vita.

Mi danno ragione di queste affermazione i tanti decessi per suicidio avvenuti in questi giorni nella carceri di Bergamo, Brescia, Roma, Milano.

Quanti sono? Tanti e troppi, perché il conto da numerario deve assumere valore per il concetto che una vita ha un valore immenso, così come i volti non noti di queste persone morte suicide in carcere. Non sono solo numeri, tra l’altro non andati agli onori della cronaca, come se il più delinquente meritasse maggiore attenzione e visibilità non per la sua vita ma per i suoi reati: ripeto tanti, troppi, quasi sempre sconosciuti, quindi senza diritto di cronaca!

Inoltre, il fenomeno dei suicidi non riguarda solamente i detenuti, bensì anche gli agenti di polizia penitenziaria, a dimostrazione di una vita carceraria colma di frustrazione per i ristretti e per chiunque operi all’interno degli istituti penitenziari italiani. Dunque di un detenuto suicida dovrebbero accorgersi dei poliziotti penitenziari, privi di una esperienza specifica nel trattamento dei suicidi, che lo trovano inerme e non sanno capire se ancora ci sono possibilità di vita o meno, come e se intervenire, in attesa che giunga qualcuno della sanità, sempre troppo lontano per dare un parere sul come e cosa fare.

Forse è bene ricordare che questo compito viene indicato agli agenti, come lavoro tra i tanti da fare, sempre senza preparazione. Se la formazione invece è stata fatta, i fruitori di questa formazione generalmente la fanno per avere più punteggio ed essere destinati ad altri compiti fuori dalla custodia dei detenuti, cioè per poi non operare effettivamente in reparto. Io sono dell’idea che nel caso chi ha frequentato il corso di formazione decida di passare ad altro incarico, ciò avvenga come demerito e con punteggio negativo.

Appare comunque complesso pensare quali possano essere gli interventi per arginare il drammatico fenomeno appena descritto. Pare scontato auspicare una totale riforma della vita detentiva, all’insegna della tutela dei diritti del detenuto e di una vera rieducazione, inoltre, indispensabile sarebbe l’innalzamento di operatori penitenziari. Per questo ultimo punto vorrei citare che l’Amministrazione con circolare n. 3695/6145 prot. 0302875.4 del 8/8/22 al punto 3 comma A, afferma con giustezza l’importanza dello staff multidisciplinare ma dimentica che l’evento suicidario avviene nelle ore di “tranquillità” dove la presenza di un operatore della polizia penitenziaria è indicata come 1 unità. Chi accorre per primo è sempre agente di reparto, impreparato ad intervenire nell’immediato, in un secondo momento arriva lo staff multidisciplinare avvisato dallo stesso agente. Il suo agire, proprio per negligenza, non sua, ma nella preparazione, assumendo atti e ruoli decisionali di altre figure professionali e, per questo mancato riconoscimento dell’importanza dell’agente di reparto come punto focale e sostanziale non solo della custodia, potrebbe causare effetti negativi.

Vorrei ricordare, per averci lavorato, che il Ministero della Giustizia è pieno di commissioni di esperti che vanno a riempire scantinati di proposte, mentre chi lavora in carcere, chi ha prelevato un suicida dalla cella, un educatore che aveva parlato con un detenuto suicida il giorno prima, rimangono protagonisti ignoti. Si preferiscono stampare volumi di parole, magari sintetizzate da altri volumi, per fare altri volumi per riempire scaffali. La situazione è grave, per questo sarebbe necessario concedere subito una liberazione anticipata di 6 mesi a tutti, proposta che feci nel 2016. Lo chiedo di nuovo oggi al Ministro della Giustizia, onorevole Marta Cartabia, per tutti questi morti soppressi dalla disperazione e per porre uno stop a tutti gli altri che si potrebbero attuare in quanto i suicidi andati a buon fine, con la morte dell’esecutore, senza particolare dolore per l’attore, suscitano una diaspora ripetitiva di addetti senza fine.

Ministra Cartabia blocchi questi suicidi in fieri e la disperazione non solo dei familiari, ma degli stessi operatori chiamati in causa per rimuovere i loro corpi vedendoli distesi su una barella coperta da un lenzuolo che a fatica riconoscono i lineamenti del viso.

Signora Ministra sia magnanima e ponga in atto il provvedimento della liberazione anticipata di 6 mesi, oltre che scarcerare le persone con fine pena imminente. Questo produrrà un effetto
a catena, sarà un gesto di attenzione verso tutti e farà comprendere a tutta la massa dei detenuti, che non sono abbandonati, ma che c’è ancora speranza di vita. La speranza è il dono migliore, come diceva Sant’Agostino, che Dio ci dà anche se fossimo condannati all’inferno.

A chi la ostacolerà dicendo che mette in libertà dei delinquenti, abbia a conforto la verità che chi vuole delinquere lo farà ovunque e sempre, prima o dopo la scarcerazione.

*Antonio Nastasio è un ex dirigente superiore dell’Amministrazione penitenziaria, in quiescenza.

Iscriviti al nostro canale Whatsapp e rimani aggiornato.
Vuoi leggere BergamoNews senza pubblicità?   Abbonati!
leggi anche
carcere detenuti
Regione lombardia
Carceri, aggiornato il piano per prevenire i suicidi negli istituti penitenziari
Generico agosto 2022
La riflessione
Suicidi tra le Forze dell’Ordine: una strage silenziosa
commenta

NEWSLETTER

Notizie e approfondimenti quotidiani sulla tua città.

ISCRIVITI