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Il ricordo

Gigi Riva: “Con Scalfari se ne va il più grande illuminista italiano contemporaneo”

Il giornalista e scrittore bergamasco, editorialista de L’Espresso, celebra il fondatore e storico direttore de La Repubblica scomparso oggi, giovedì 14 luglio

“Con la scomparsa di Eugenio Scalfari se ne va il più grande illuminista italiano contemporaneo”. Così il giornalista e scrittore bergamasco Gigi Riva, editorialista de L’Espresso, commenta la notizia della morte del fondatore e storico direttore de La Repubblica, venuto a mancare oggi, giovedì 14 luglio.

Si è spento proprio nel giorno in cui ricorre l’anniversario della presa della Bastiglia, una data molto importante non solo per la storia della Francia, ma per tutta l’Europa e il mondo. “Scalfari – afferma Gigi Riva – è morto il 14 luglio, una giornata dotata di grande valore simbolico. Nel 1789 a Parigi si verificò la presa della Bastiglia, trionfo dei lumi: penso che se avesse potuto scegliere un giorno in cui morire avrebbe optato per questo. È stato un portatore dei valori dell’illuminismo: con la sua scomparsa se ne va il più grande illuminista italiano contemporaneo, un maestro, un gigante sulle cui spalle noi camminiamo per cercare di guardare un po’ più lontano. Considerando tutto quello che ha scritto e l’amore che ha avuto per quella cultura che ha impegnato gli ultimi due secoli, si può dire che sia stato figlio della rivoluzione francese, un epigono degli ideali che l’hanno ispirata”.

Evidenziando il notevole spessore di Scalfari, Riva aggiunge: “È stato un gigante non solo del giornalismo ma più in generale della cultura italiana. È stato un grande innovatore: ha fondato L’Espresso e La Repubblica, che costituiscono due esempi di progresso e rivoluzione nel modo di fare informazione. Il primo episodio a cui penso per rendere l’idea di quanto sia stato lucido fino all’altro ieri è un aneddoto curioso: quando l’ho incontrato l’ultima volta in ascensore, nella sede de La Repubblica e L’Espresso, qualche anno fa. Aveva già superato i novant’anni e, per camminare, si appoggiava a un bastone: gli chiesi come andasse e mi rispose non molto bene, gli domandai come mai e mi disse che era curvo. Subito dopo aggiunse che il problema era che da giovane non aveva fatto gli addominali, altrimenti non sarebbe stato curvo. Cercava di dirsi che voleva essere ancora prestante: nonostante il passare del tempo, la sua testa è sempre rimasta giovane, è sempre stato contraddistinto da una spiccata lucidità nell’analisi politica, intellettuale e del momento storico e voleva che il suo fisico lo accompagnasse in questa giovinezza”.

È stato un esempio prezioso. “Era una persona che insegnava a essere controcorrente, cercava tutti i giorni di stimolarti ad andare oltre all’informazione quotidiana. Era solito dire che per lui andare in redazione era come recarsi a una festa: credo che questa espressione esprima molto bene la passione che nutriva per la sua professione. Ritengo, inoltre, che un episodio sia particolarmente emblematico: dopo di lui, alla direzione de La Repubblica è subentrato Ezio Mauro, con cui aveva una perfetta affinità, mentre in seguito la guida del giornale è stata affidata ad altri con cui probabilmente non avvertiva la stessa sintonia. Avevano una linea diversa da quella del ‘suo’ giornale e un giorno arrivò di sorpresa a una riunione di redazione de La Repubblica. Disse che gli facevano fare il passero solitario, ma lui non voleva esserlo. Gli avevano riservato la possibilità di scrivere, ma si sentiva una voce fuori dal coro. Aveva la sensazione di sentirsi sopportato ed era motivo di dispiacere perché immaginava che Repubblica fosse un coro in cui si cantasse tutti assieme”.

Gigi Riva

Parlando dell’eredità culturale e giornalistica di Scalfari, invece, Gigi Riva osserva: “Penso che bisogna parlare di due persone, ossia Carlo Caracciolo ed Eugenio Scalfari. Il primo, che se n’è andato nel 2009, è stato l’ultimo editore puro, mentre il secondo è stato il direttore che ha condiviso la sua esperienza. Anche se Caracciolo è morto tredici anni fa, vanno considerati complessivamente e lasciano un’eredità tremendamente importante. Un’eredità che in parte è stata disattesa: il giornalismo, soprattutto negli ultimi tempi, non ha seguito la loro visionarietà. Sono stati rivoluzionari, controcorrente e hanno profondamente rinnovato il giornalismo. Sicuramente non è sempre stato facile: la fondazione de L’Espresso fu una scommessa: hanno esercitato il rischio d’impresa pur di non dover dipendere dai vari potentati. A un certo punto anche loro furono costretti ad allearsi con De Benedetti perché La Repubblica era cresciuta al punto di aver bisogno dell’immissione di nuovi capitali. E conservare la libertà nonostante avessero avuto un editore è un grande insegnamento”.

“Per avere un’idea di quanto siano stati innovatori, basta pensare al titolo del secondo numero de L’Espresso, diventato epocale, cioè Capitale corrotto e nazione infetta. Il concetto che esprime è all’origine del giornalismo d’inchiesta in questo Paese: i giornalisti, suffragati dai dati, avrebbero potuto attaccare i potenti e non c’erano potenti che non potessero essere toccati. Era come aprire la finestra e prendere una boccata d’ossigeno rispetto alla possibilità che il giornalismo fosse ciò che avrebbe dovuto essere, ossia il cane da guardia del potere. Con la nascita de La Repubblica, poi, si verificò la seconda grande svolta: si puntava su un giornale agile sia nel formato sia nella mission. Aveva le dimensioni di un tabloid e si prefiggeva l’obiettivo di essere un quotidiano disinvolto nei confronti del potere, di cui raccontava il dietro le quinte” – annota Riva.

Infine, il giornalista bergamasco conclude: “Con Scalfari se ne va l’ultimo grande del giornalismo di carta. Negli ultimi decenni il mondo dell’informazione è cambiato – e sta cambiando – notevolmente, ma il giornalismo cartaceo resta, anche se è diventato pressoché residuale. Nonostante le tecnologie siano mutate, credo che l’eredità morale e deontologica di Caracciolo e Scalfari resti. In modo particolare, continueranno a essere dei preziosi riferimenti la cura maniacale e la passione verso questo lavoro, ma anche la determinazione a tutelare la libertà del giornalismo di essere davvero tale”.

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