• Abbonati
Il libro

Covid, Gallera si assolve e ne ha per tutti: Conte, Gori, Sala e pure Salvini

Nel "diario" dell’ex assessore regionale al Welfare la "guerra" alla pandemia. Sulla riapertura del pronto soccorso di Alzano: "Corretto quanto fatto". Sulla mancata zona rossa in Valseriana: "Il governo Conte ci aveva rassicurato, non avevamo motivo di agire autonomamente"

È vero, non è “un’autocelebrazione”, come scrive Giulio Gallera (e ci mancherebbe, visto che da celebrare non c’è proprio nulla). Piuttosto, il libro “Diario di una guerra non convenzionale, la nostra lotta contro il virus”, pubblicato dall’ex assessore al Welfare di Regione Lombardia con Guerini Associati, è un tentativo di riscattare la propria credibilità; difendere il proprio operato di fronte “al mare di polemiche strumentali – così le definisce Gallera – che hanno investito la Lombardia, colpendo me e il presidente Fontana” durante la prima e seconda ondata Covid.

E dire che fino a pochi mesi prima, a Palazzo Lombardia pensavano di avere una “macchina più che collaudata”. Con l’esperienza dell’epidemia di meningite nel basso Sebino bergamasco (“cinque casi” a fine 2019, ricorda Gallera), tracciamento  e vaccinazioni non erano concetti nuovi. “Mi ripeto che eravamo pronti”. “Avevamo risposto in modo immediato sottoponendo a profilassi centinaia di contatti diretti, vaccinando 33 mila persone in poche settimane”. Ma il Covid è stato ben altra cosa. E il motore della macchina si è presto ingolfato.

Gallera, professione avvocato, fa un po’ l’avvocato di sé stesso. “Non sono solo quello che ha sbagliato a spiegare l’indice Rt”, sembra voler urlare, pur riconoscendo di essere stato “approssimativo” e “scientificamente non appropriato” in quella sfortunata diretta social. “Ci siamo trovati in una notte buia a guidare una macchina con i fari spenti”. E ancora: “Io posso solamente dire di aver fatto tutto ciò che era nelle mie competenze”. Ma, per difendere sé stesso, finisce sempre con l’attaccare qualcun altro: in primis il governo Conte. “I nostri provvedimenti hanno sempre cercato di tenere il passo del virus e, qualche volta, anche di anticiparlo. A differenza del governo nazionale, che in più occasioni ha funzionato da freno anche nell’attuazione delle nostre decisioni. Il caso della zona rossa ad Alzano e Nembro – dice – ne è la dimostrazione plastica”.

La zona rossa in Valle Seriana

Al triste capitolo della Valseriana, il libro dedica quasi 6 pagine. “Alle 15 (del 4 marzo 2020, ndr) arriva a Palazzo Lombardia il ministro Speranza – ricorda Gallera -. Lo accogliamo io e il presidente Fontana all’uscita degli ascensori al sesto piano, dove si trova la sala operativa. Un particolare mi stupisce: non indossa la mascherina. Gliene consegniamo subito una. ‘Ma se ce l’avete tutti, allora non la metto io’, dice il ministro mentre si siede. In quel momento ho la sensazione chiarissima che Roma è distante anni luce. Qui, per capirsi, oltre ad avere fatto già due tamponi, siamo mascherati da 10 giorni. Eppure per il ministro è ancora un gesto insolito, tutto sommato non necessario”.

Anche se, al termine dell’incontro, Speranza sembra aver messo a fuoco la gravità della situazione. “Il bilancio è positivo: Brusaferro (portavoce del Comitato Tecnico Scientifico, ndr) è d’accordo con noi, il ministro Speranza ci ha rassicurato – prosegue Gallera -. Tutto fa pensare che la zona rossa si farà nel giro di poco. Invece no. Il giorno dopo arrivano i militari e le forze dell’ordine, circa 300 unità, ad Alzano Lombardo, ma non la comunicazione ufficiale della sua istituzione da parte della presidenza del Consiglio, che pure a quel punto sembrava una formalità. Solo sabato 7 arriva da Roma la decisione di realizzare un’unica grande zona rossa in tutta la Regione. Mesi dopo avremmo scoperto che il 5 il ministro Speranza aveva predisposto una bozza di Dpcm che prevedeva l’istituzione delle zona rossa ad Alzano e Nembro, ma questo documento non fu mai controfirmato da Conte. Come mai? I motivi sono tuttora ignoti”.

Anche Regione Lombardia poteva istituire la zona rossa. “Questo, in punta di diritto, non è completamente corretto” sostiene Gallera, secondo il quale, alla luce del decreto emanato dal Governo l’1 marzo, “non si profilava un vuoto normativo da colmare in via provvisoria attraverso un provvedimento del presidente della Regione”. Inoltre, prosegue l’ex assessore, “tutti i provvedimenti erano stati assunti dal governo in accordo con noi”. “Perché mai all’improvviso avremmo dovuto noi cambiare metodo? Sarebbe stato incomprensibile, soprattutto perché avevamo ricevuto chiare e nette rassicurazioni circa l’imminente emanazione di provvedimenti da parte del governo”. “In un rapporto di leale collaborazione istituzionale – conclude – non vi era alcun motivo che giustificasse una nostra azione autonoma”. Nemmeno l’esorbitante numero dei contagi, evidentemente.

Il pronto soccorso di Alzano

Nel libro, si affronta anche il caso del pronto soccorso dell’ospedale Pesenti Fenaroli, chiuso e immediatamente riaperto. La data – domenica 23 febbraio 2020 – è scolpita nella memoria. “Nella concitazione di questa giornata infinita, a metà pomeriggio Luigi Cajazzo (ex direttore generale del Welfare lombardo, ndr) mi informa che sono stati riscontrati i primi due casi – è la versione di Gallera -. Mi riferisce anche che il direttore generale dell’Asst Bergamo Est, Francesco Locati, in un primo momento ha chiuso, per circa due ore e mezza, l’accesso al pronto soccorso dopo essersi consultato al telefono con la centrale operativa di Areu. Poi, dopo aver fatto sanificare le aree interessate (cosa che secondo la Procura di Bergamo non è stata fatta, o è stata fatta in modo incompleto ndr) ha deciso di riaprirlo perché, in seguito a un’attenta riflessione, ha ritenuto che per far fronte a questa epidemia non avrebbe potuto fare a meno di questo punto assistenziale. Si riapre, dunque, ma con l’indicazione, condivisa con Areu, di ricevere solo i pazienti con urgenze indifferibili. Le autoambulanze vengono invece dirottate all’ospedale Papa Giovanni XXIII. Cajazzo e altri dirigenti hanno condiviso la scelta di Locati e anch’io – puntualizza Gallera – ritengo corretto quanto fatto dall’Asst Bergamo Est”.

Le frecciate a Gori, Sala e… Salvini

Ma nel mirino dell’ex assessore non c’è solo il governo Conte. Nel suo libro, c’è spazio anche per i sindaci di Milano Beppe Sala e Bergamo Giorgio Gori, che definisce “irresponsabili” per i messaggi che a fine febbraio 2020 invitavano i cittadini delle rispettive città a “non fermarsi” dinnanzi allo spettro del virus (secondo l’ex titolare del Welfare, a molti politici, nonostante gli scivoloni, non fu riservato un altrettanto severo trattamento mediatico).

Ma l’ultimo sassolino che si toglie dalla scarpa è per Matteo Salvini, che decise per la sua sostituzione dopo la pubblicazione dei dati sulle vaccinazioni in Lombardia, agli ultimi posti perché l’ex assessore aveva deciso di iniziare due giorni dopo: “Dopo l’epifania il presidente Fontana decide di compiere alcuni cambi e io, dopo l’avvio concreto della campagna vaccinale, ritengo concluso il mio turno di guardia. Una nuova fase era cominciata ed ero tranquillo: avevo fatto il mio dovere. Mentre svuoto l’ufficio, noto che sia i primi che gli ultimi giorni della mia gestione della pandemia sono stati curiosamente caratterizzati da forti polemiche. Il 26 febbraio il presidente Conte aveva criticato l’operato, la professionalità e la competenza del personale dell’Ospedale di Codogno, oggi ci sono politici, compreso ahimè il leader del partito di maggioranza in Regione Matteo Salvini, giornalisti e opinionisti che denunciano il fatto che io non abbia richiamato subito al lavoro persone che, dopo un anno inimmaginabile, si stavano godendo qualche giorno di meritato riposo, soltanto per fare una vaccinazione già prenotata e calendarizzata”.

“Fake news e calunnie”

Gallera chiude le sue “memorie difensive” ribadendo come “oltre alla forza della pandemia”, la Giunta Fontana abbia dovuto “lottare anche contro un’ondata di fango e falsità”. Cita, tra gli altri, uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità sul tasso di letalità in Italia nella prima ondata, pari al 2,36%. “In Lombardia però è del 2,28%, cioè più basso della media”, nonostante il più elevato numero di contagi. Segno, secondo Gallera, di come in Lombardia si siano salvate più vite che da altre parti. “Siamo stati tutti migliori di quanto avessimo sospettato”. “Nel limite delle nostre possibilità umane – è la frase che chiude le 160 pagine del libro – abbiamo fatto un buon lavoro”.

Iscriviti al nostro canale Whatsapp e rimani aggiornato.
Vuoi leggere BergamoNews senza pubblicità?   Abbonati!
commenta

NEWSLETTER

Notizie e approfondimenti quotidiani sulla tua città.

ISCRIVITI