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L'intervista

Carlo Pesenti e il nonno Nobel: “Lo ricordo nella casa di San Vigilio, persona eccezionale”

L'imprenditore bergamasco si racconta sul Corriere della Sera toccando non solo argomenti legati all'Italcementi, ma anche aspetti più personali: "Mia moglie il motore della mia vita, orgogliosi dei nostri 6 figli"

Bergamo. I sei figli, cinque maschi e una femmina, e la sua vita da imprenditore di successo. Carlo Pesenti si racconta in una lunga intervista pubblicata sul Corriere della Sera nella quale tocca non solo argomenti legati all’Italcementi, ma anche aspetti più personali. Come il rapporto con il nonno, Giulio Natta, che nel 1963 vinse il Nobel per la chimica. Dopo la sua morte nel 1984, tocca a Giampiero Pesenti, papà di Carlo, mettere ordine ed evitare che l’eccesso di diversificazione metta a rischio l’intero gruppo imprenditoriale di famiglia.

“Quando muore il nonno – racconta Carlo Pesenti , mio padre si ritrova a capo di un insieme di società frutto del dopoguerra italiano. Era un Paese ricco di opportunità che il nonno aveva colto seguendo le sue passioni, come l’auto, come la Lancia. Ma i tempi sono cambiati. Ci si deve focalizzare. Mio padre capisce che è finita la prima fase di Italmobiliare”.

Sua mamma era figlia di un Nobel, l’unico premio Nobel della chimica italiano, Giulio Natta…

“Sa, mio nonno Natta è scomparso quando io avevo 16 anni. Lo ricordo nella casa di San Vigilio, nelle colline sopra Bergamo, una figura lieve. A quella età non comprendi appieno la straordinarietà del Nobel. Una persona di famiglia riconosciuta come scienziato da tutto il mondo. Poi guardi le sue foto a Stoccolma, vedi lo straordinario lavoro che lui e il suo team, i suoi assistenti al Politecnico hanno fatto. Vedi come chi ha lavorato con lui ci tiene a mantenere viva la sua memoria, persone alle quali bisogna essere riconoscenti. E capisci l’eccezionalità della persona”.

E oggi, in famiglia, chi è la visionaria, sua moglie?

“Molto di più. Ho conosciuto Federica giovanissimo, io ventunenne lei non ancora maggiorenne, ci presentarono amici comuni. Da allora siamo insieme ed è la mia compagna di sempre. Lei è stata ed è il motore della mia vita. L’energia e il coraggio per affrontare passaggi importanti o anche semplici temi della quotidianità un po’ complicati con una famiglia così numerosa sono il patrimonio che in tutti questi anni abbiamo condiviso. I nostri sei figli sono la testimonianza più bella di questo legame. Anche ora, da nonni, la storia si ripete”.

Nel 1999 lei fa uno dei primi bilanci di sostenibilità in Italia, quello della Italcementi.

“Le prime scelte sono state fatte d’istinto. I figli non erano ancora sei, ma erano già 4. Non puoi avere figli e non pensare al loro futuro in senso ampio, in senso globale. È forse un fatto di responsabilità mi verrebbe da dire, in forma diretta direi di conservazione della specie. A colpirmi molto sarà il libro “Plan B” di Lester Brown, il fondatore del WorldWatch Institute. Ma è del 2003. E lo stesso vale per le aziende, che si trasformano, che cambiano ma per le quali bisogna avere una visione di lungo periodo”.

A un certo punto decide di vendere quello a cui suo padre si era dedicato, la Italcementi.

“La cessione di Italcementi è stata vista come una operazione di retrovia, di abbandono dell’Italia, di liquidazione di un asset industriale del Paese. Oggi, a sei anni di distanza, Italmobiliare ha dimostrato l’importanza di saper cogliere le trasformazioni economiche e di mercato, ha saputo consolidare il proprio ruolo nella Italmobiliare 3.0 come mi piace dire per sintetizzare la sua trasformazione. Il perimetro aggregato di oggi in Italia è molto più grande della Italcementi Italia di allora. Un rammarico mi è rimasto, la dispersione del grande lavoro fatto sulla innovazione di prodotto, ma so che oggi i tedeschi lo stanno recuperando. Ma anche in una riflessione di sistema Paese se avessimo continuato a gestire l’attività cementiera avremmo dovuto ridurre la nostra presenza sui mercati maturi per allargarci solo su mercati emergenti in crescita. Italcementi in Italia sarebbe diventata un’azienda che incassava dividendi dalle altre attività sparse nel mondo con un apporto assai ridotto allo sviluppo del Paese”.

E adesso i suoi figli?

“Hanno avuto la fortuna di studiare e lavorare molto all’estero. Ma tornano. E questo è un buon segno per il Paese. Giampi dopo aver lavorato in Prysmian e a Singapore oggi lavora con l’Officina Santa Maria Novella. Giulio ha lavorato in una banca svizzera, la Vontobel e oggi è a Clessidra. Roby dopo essere stato a Stanford ha lanciato Callmewine, un e-commerce…”.

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