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Il lutto

Addio alla storica del Medioevo Chiara Frugoni: la sua infanzia a Solto Collina

In un libro ha raccontato il paese dell’infanzia dandogli il titolo: “Perfino le stelle devono separarsi”

La storica, esperta medievalista Chiara Frugoni si è spenta a 82 anni dopo una lunga malattia. Assieme ad Alessandro Barbero è stata fra gli storici del Medioevo più noti e apprezzati anche oltre il mondo accademico.

Forte il suo legame con la provincia di Bergamo, in particolare con Solto Collina dove Chiara Frugoni trascorse la sua infanzia, come racconta Giuseppe Zois in un articolo pubblicato nel 2013 da Bergamonews che riportiamo.

Ci sono sempre le stelle nel firmamento di vita di Chiara Frugoni. Dopo aver raccontato il tempo di Solto Collina nelle pagine del libro “Da stelle a stelle”, torna nel suo paese dell’infanzia e del cuore con “Perfino le stelle devono separarsi” (Feltrinelli ed.). E la spiegazione è in questi versi: “Non piangete insetti; gli amanti, perfino le stelle devono separarsi” (Koboyashi Issa, giapponese).

La scrittrice – docente universitaria a Pisa e Parigi, storica, medievista, figlia di un medievista – percorre un viaggio negli ultimi bagliori della civiltà contadina, anzi di Medio Evo perché, ha spiegato lei stessa, Solto “era medievale di aspetto e di mentalità”. Lei si ritiene fortunata nell’aver potuto assaporare dal vivo, in diretta, la fine del Medio Evo.

La storia non è fatta solo di un grande fiume, ma da tanti piccoli ruscelli. Quella di Solto Collina è la storia di tutti i paesi nella civiltà contadina.

Chiara ha trascorso molte stagioni a Solto, dove è tornata spesso a rivisitare la sua infanzia, le sue amicizie, il suo piccolo grande mondo antico e nuovo. Lei Chiara, allora, doveva barcamenarsi in mezzo, “fra due classi sociali: padroncina perché nipote di proprietari terrieri; compagna di giochi alla pari, dei figli dei mezzadri, che i nonni consideravano invece loro sottoposti”.

Da bambina Chiara, quando lasciava Brescia – dove studiava dalle suore (terribili) – per Solto, viveva nell’agiatezza, anche se i parenti erano molto parsimoniosi e attenti nello spendere. Non le mancava però niente, mentre i ragazzi del paese, suoi compagni di gioco, dovevano vedersela con la fame e con la povertà.

Rituffandosi in quel tempo, Chiara rivela coraggio nell’analisi e non risparmia giudizi, anche duri, sui parenti. Scrivendo della casa dei nonni, dice che “quando fu divisa tra due dei loro figli, la mamma e lo zio Gianni, la divisero verticalmente in due e per rimodernarla distrussero l’eredità del suo passato”.

La nonna Teresa “aveva la saldezza dei contadini, spesso rimproverati con energia… Non mi ha mai raccontato una favola, ma per me, nella sua laboriosissima giornata, aveva sempre tempo”.

Lo zio dottore, invece, Pio Fontana, senza figli e con “l’arcigna Nina” per moglie, “era continuamente in moto; partiva anche di notte, quando tutti in casa si svegliavano al suono della campanella che i famigliari di un paziente in pericolo di vita si erano arrischiati a far risuonare… Lo zio dottore era uomo assai attivo, partecipe della vita pubblica e oculato gestore del suo cospicuo patrimonio fondiario. Non doveva avere un carattere facilissimo, come documentano le lettere puntigliose e aspre, conservate in copia, inviate a commercianti ma anche ai proprietari delle terre vicine per questioni di vitigni o di confini, o addirittura impietose…”.

Gli è riconosciuto il merito che “cercava di diminuire le sofferenze, di infondere coraggio e di non far sentire abbandonato a se stesso il malato”. Nel camino dove sedeva nonno Serafino Chiappa, notaio, “il fuoco era sempre acceso: serviva per cucinare, per preparare il pastone delle galline e di altri animali, per avere acqua calda…”.

Toccante il ricordo della nonna paterna Dina, “bellissima da giovane e ancora bella nel mio ricordo…” ma anche qui “il camino veniva lasciato spento, anche d’inverno. Per cucinare c’erano una bombola e un fornellino… Per non spendere i soldi del tram camminavamo a piedi, la nonna Dina e io, in interminabili passeggiate”.

Però a Solto, nonostante tutto, Chiara era “felice di vivere con gli altri bambini fuori casa”, con le tasche gonfie di biglie di terracotta colorata. In generale, “la gente aveva molto più tempo di oggi: le donne erano per la maggior parte casalinghe, senza orari stringenti”.

Inevitabile che poi tornando da Solto a Brescia, Chiara provasse rimpianto, tanto che in un giorno di neve, “guardandomi indietro, mi accorsi di essere sola: con la cartella pesante e la prospettiva di lunghi compiti. Mi vennero in mente i prati di Solto e pensai che la mia infanzia era finita”.

 

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