• Abbonati
L'analisi

Agroalimentare, con la guerra è crisi vera: ma un segnale di speranza arriva dal prezzo del latte

L'impatto del conflitto in Lombardia si traduce con un aumento medio dei costi di quasi 39.000 euro per le aziende: Coldiretti applaude l'iniziativa di Granarolo, che ha deciso di riconoscere agli allevatori un prezzo minimo alla stalla di 48 centesimi al litro

“Una crisi senza precedenti”: così Alessandra Pesce, direttrice del CREA – Centro di ricerca Politiche e Bioeconomia, etichetta l’attuale situazione del sistema agroalimentare del nostro Paese, alle prese con un aumento vertiginoso dei costi di produzione.

Dal report “Guerra in Ucraina: gli effetti sui costi e sui risultati delle aziende agricole italiane” emerge come oggi le imprese debbano fare i conti con un aumento medio di oltre 15.700 euro, ma con forti differenze tra settori produttivi e a seconda della localizzazione geografica.

In Lombardia, ad esempio, quella quota sfiora quasi i trentanovemila euro e i più penalizzati sono i seminativi, la cerealicoltura e l’ortofloricoltura, con aumenti tra il 65 e il 70%.

Una mazzata che per un’azienda agricola su dieci può significare anche la chiusura dell’attività, per l’incapacità di far fronte alle spese necessarie a sostenere il processo produttivo: nello scenario disegnato dal CREA si ipotizza che il 30% delle aziende nazionali possa avere un reddito netto negativo, contro il 7% registrato prima della crisi.

“La situazione è molto preoccupante anche in provincia di Bergamo e le aziende sono arrivate a un livello di insostenibilità dell’attività – sottolinea con amarezza Alberto Brivio, presidente di Coldiretti Bergamo – Sono in particolare quelle del settore zootecnico a pagare il prezzo più alto e tutte le realtà allevatoriali subiscono un forte contraccolpo. Chi per i mangimi, chi per il mais, chi per i rincari energetici: nessuno può considerarsi in salvo e le aziende più a rischio sono quelle delle filiere nelle quali ancora oggi non viene riconosciuto un prezzo adeguato e proporzionato all’aumento dei costi”.

In cime alla lista c’è la filiera del latte, da anni in battaglia per avere un ritocco al rialzo del prezzo minimo alla stalla: “Ad oggi è fermo a 42 centesimi al litro – evidenzia Brivio – L’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare già in un periodo pre guerra aveva certificato che il costo di produzione è mediamente di 46 centesimi al litro, quindi al di sopra del prezzo che viene riconosciuto. Ora le condizioni sono ulteriormente peggiorate. Teniamo anche presente che il latte spot, acquistato al di fuori dei contratti annuali sottoscritti, viene valutato oltre 50 centesimi al litro: un valore in linea con il prezzo del latte tedesco, che storicamente è sempre stato inferiore a quello italiano”.

In una condizioni di grande difficoltà, però, c’è anche chi ha scelto di andare controcorrente.

È il caso di Granarolo, che tramite la cooperativa Granlatte ha deciso di riconoscere agli allevatori per i conferimenti un prezzo minimo alla stalla di 48 centesimi al latro, al quale aggiungere Iva e premio qualità.

“Quantomeno è una assunzione di responsabilità – commenta il numero uno della Coldiretti di Bergamo – Un esempio da tenere in considerazione e che dimostra come l’adeguamento sia assolutamente sostenibile per le aziende di trasformazione, senza che le stesse facciano ricadere la scelta sul cliente finale o che abbiano conseguenze in termini di modifica dei piani industriali. A livello di redditività le aziende di trasformazione hanno fatto segnare bilanci importanti negli ultimi anni, anche grazie a un sensibile aumento delle esportazioni verso la Cina: vorremmo però che tutto il settore ne potesse beneficiare e non solo alcuni anelli della catena”.

La Coldiretti nazionale, per bocca del presidente Ettore Prandini, si augura che la decisione del più grande gruppo cooperativo italiano aderente a Filiera Italia possa essere seguita anche da altri gruppi industriali per poter garantire la sopravvivenza dell’allevamento italiano.

“L’adeguamento dei compensi – dice Prandini – è necessario per salvare le ventiseimila stalle da latte italiane sopravvissute che garantiscono una produzione di 12 milioni di tonnellate all’anno, che alimenta una filiera lattiero-casearia nazionale che esprime un valore di oltre 16 miliardi di euro ed occupa oltre 100.000 persone con una ricaduta positiva in termini di reddito e coesione sociale. La stabilità della rete zootecnica italiana ha un’importanza che non riguarda solo l’economia nazionale ma ha una rilevanza sociale e ambientale perché quando una stalla chiude si perde un intero sistema fatto di animali, di prati per il foraggio, di formaggi tipici e soprattutto di persone impegnate a combattere, spesso da intere generazioni, lo spopolamento e il degrado dei territori soprattutto in zone svantaggiate”.

Un segnale di speranza, quindi, ma che da solo non può cancellare le preoccupazioni o colmare l’impennata delle bollette e dei costi delle materie prime: “Forse le nostre aziende più di altre rischiano la chiusura – ipotizza Brivio – Perchè anche se tante sono riuscite a strutturarsi, molte mantengono ancora dimensioni aziendali contenute. Oggi essere parte di una filiera non premia più a causa della mancanza di visione da parte di chi dovrebbe decidere. In questa situazione hanno sicuramente più possibilità di resistenza quelle aziende che hanno la capacità di trasformare il proprio prodotto, di caseificare il latte o macellare le proprie carni, e vendere direttamente al consumatore”.

Ma cosa possono fare oggi le aziende per resistere? Da sole, in realtà, ben poco.

Il settore agroalimentare non più tardi di una settimana fa aveva applaudito all’iniziativa del Governo di varare i cosiddetti sostegni salva cibo, dando la possibilità di rinegoziare e ristrutturare mutui a 25 anni, di beneficiare di un credito di imposta del 20% per la riduzione del costo del gasolio agricolo, di destinare 35 milioni alle filiere in crisi e di dare il via libera all’utilizzo di fertilizzanti naturali.

“Anche se sollecitati, devo dire che alcuni interventi sono stati fatti a livello governativo – conclude Brivio – Tutto il resto è questione di logiche di mercato e di responsabilità, che richiamiamo per una più equa distribuzione degli utili. Il parlamento è intervenuto anche con una legge relativa alle pratiche sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare: un elemento che oggi monitoriamo con grande attenzione nelle nostre realtà locali e che sarà di grande aiuto qualora saremo costretti a denunciare il continuo riconoscimento di prezzi inferiori anche ai costi di produzione”.

Iscriviti al nostro canale Whatsapp e rimani aggiornato.
Vuoi leggere BergamoNews senza pubblicità?   Abbonati!
commenta

NEWSLETTER

Notizie e approfondimenti quotidiani sulla tua città.

ISCRIVITI