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L'analisi

Ucraina: il ruolo dell’Alleanza Atlantica e dell’Europa nell’affrontare la crisi

L’aggressione criminale della Russia a un grande popolo libero, che aveva riacquistato la libertà, nel cuore dell’Europa, è un drammatico spartiacque, come era stata la fine della Seconda Guerra Mondiale e la calata della “cortina di ferro”. Ora la cortina non è solo tra libertà e oppressione: è anche tra Diritto, legalità, rispetto dei Diritti umani e Stato di Diritto da un lato; e aggressione, genocidario uso della forza, radicalizzazione ideologica e disprezzo per ogni Trattato o Accordo sottoscritto

Fare Futuro, International Republican Institute e Comitato Atlantico Italiano, hanno organizzato un importante convegno il 14 e 15 marzo su “La crisi ucraina: il ruolo dell’Alleanza Atlantica e dell’Europa”. Giulio Terzi di Sant’Agata, Ambasciatore e già Ministro degli Esteri, è intervenuto a nome del Comitato Globale per lo Stato di Diritto – Marco Pannella. 

L’imminente tragedia che un potere criminale di matrice nazi-comunista ha scatenato sull’Europa, colpendo l’eroica nazione Ucraina, il suo popolo, la sua identità pluralista e democratica, libera e solidale, deve essere riconosciuta, sentita da ogni europeo: non con giravolte facili e assicurazioni stucchevoli, ma deve essere dimostrata – tale consapevolezza – nei fatti, nei comportamenti, nel riconoscimento delle responsabilità.

Anche per discutere di ricostruzione della pace e della sicurezza nel Mediterraneo, specialmente nel Mediterraneo Orientale, dobbiamo riconoscere – prima di avanzare proposte o sottoscrivere impegni – le responsabilità che hanno contribuito a scatenare la bestialità sanguinaria dei carnefici, e a impedire alle vittime di proteggersi e di essere protette.
Dobbiamo riconoscere le responsabilità; e queste sono di tutto l’Occidente: per non aver fermato Putin, con la politica di una vera deterrenza militare, economica, di influenza sino dal primo manifestarsi delle sue ossessioni sanguinarie nella Seconda guerra in Cecenia; e di non averlo mai voluto fare in seguito, nelle tappe di un crescendo sistematico da parte della Russia di Putin di “terra bruciata” in Georgia nel 2008, in Siria nel 2013, in Ucraina (Donbass e Crimea) nel 2014, ed ora nella completa distruzione di un immenso paese, ricchissimo di civiltà di umanità e di risorse.

Siamo, noi europei ed americani, responsabili come e forse più che nel ’38 a Monaco – e dico “che a Monaco” perché ora incombe persino la minaccia di un Olocausto nucleare che Putin brandisce – di una radicata propensione all’”appeasement” a tutti i costi, motivato dagli affari, dalla convenienza, dalla corruzione o semplicemente dalla colpevole ignoranza su quanto avvenuto sugli ultimi vent’anni tra Nato, UE, Russia e Cina.

Ma non basta certo nascondersi dietro a un gesto facile di generico senso di autocommiserazione tipica dell’”intellettualismo” anti-Atlantico purtroppo diffuso in Occidente, per non aver fatto capire come non sia assolutamente vero e si debba cessare di insistere che tutti i mali del mondo, le rivoluzioni totalitarie, gli spaventosi conflitti degli ultimi due Secoli sono monopolio esclusivo delle Democrazie liberali dell’Occidente, ma piuttosto il netto contrario.

Discutere di pace e stabilità nel Mediterraneo significa ragionare su strategie politiche, economiche e militari, per ottenere equilibri durevoli ricostruendo capacità di una deterrenza credibile dell’Occidente – nel rispetto di norme e principi condivisi – nei confronti della Russia e della Cina, e di altre potenze regionali che sono peraltro sostenute da una visione fondamentalista e messianica nel loro ruolo, come l’Iran.
Occorre liberarsi da pregiudizi, basarsi sulla conoscenza di dati e di uomini, in modo da individuare e condividere i sacrifici da fare e le opportunità per far valere i nostri interessi nazionali.

La catastrofe umanitaria, e persino identitaria – e quindi una strategia di genocidio – che il nazi-comunismo di cui è intrisa l’esperienza umana, professionale e ideologica di Putin ha imposto all’Ucraina, esige anzitutto di riconoscere che il prioritario interesse nazionale dell’Italia è di garantire la libertà e la sicurezza in Europa, nella Comunità Atlantica, nell’Indo-Pacifico. A tal fine l’obiettivo politico da perseguire riguarda l’impegno che va oltre la stessa deterrenza militare e si deve trasformare in “deterrenza politica”: attraverso il più fermo contrasto e la coesa risposta all’immenso apparato di disinformazione, di censura esportata, di pesantissima influenza che Putin ha infiltrato ovunque in Occidente, e che continua a infiltrare per incrinare la nostra volontà di risposta. Si tratta di far reagire non pochi settori dell’opinione pubblica, dell’informazione e della politica, che la Russia ha da molto tempo “coltivato” per trovare alleati all’interno delle società liberali. E lo ha fatto per proseguire impunemente e continuare a trovare risorse – essendo la Russia un gigante militare ma un nano economico sulla soglia del fallimento – per raggiungere i suoi obiettivi criminali, e ora persino genocidari di eliminazione del popolo e dell’identità ucraina.

Nel 2013 l’attuale Capo di Stato Maggiore della Federazione Russa, lanciava la cosiddetta “dottrina Gerasimov” che sosteneva la priorità da riservare ai conflitti con l’Occidente ancor più che allo strumento militare, alla disinformazione, alla propaganda, alla infiltrazione degli strati influenti delle società liberali, per destabilizzarle dall’interno e poterle quindi agevolmente sottomettere. L’anno dopo, nel 2014, la disinformazione di Mosca in Occidente e in Ucraina, su Crimea e Donbass è stata centrale nell’offensiva russa che ha portato all’annessione della prima e a un conflitto con almeno diecimila vittime e già durato otto anni in Donbass.

Non ci vorrebbe certo altro per dimostrare che il primo strumento di difesa di cui disponiamo deve essere inflessibile e dura denuncia di tutti coloro che Putin l’hanno da sempre sostenuto e di quanti ora sostengono di fatto, esplicitamente o implicitamente, il “Patto d’Acciaio del XXI Secolo” tra Mosca e Pechino. La denuncia non può ignorare tutti quelli che avendo giustificato e propagandato velenosamente le sue buone ragioni di Putin persino dopo che i 180.000 militari russi erano già al confine ucraino per invadere il Paese, appaiono disposti, o interessati, a continuare a farlo, continuando ad applicare la “dottrina Gerasimov” per minare le società liberali dall’interno. Persone, enti di ricerca, media, ambienti di “intellettuali” che magari ora restano zitti o fingono di essersi improvvisamente svegliati dinanzi al genocidio ucraino, ma che sono sempre pronti e disponibili – come numerosi tedeschi nella Germania Orientale che collaboravano con la Stasi – a ridare fiato ai loro megafoni appena i primi segni di stanchezza o di insofferenza verso il perdurare del conflitto, dovesse acuirsi in seno alla Nato e all’UE.

A tale mondo appartengono purtroppo enti di ricerca che, come durante la Guerra Fredda sceglievano il campo sovietico sotto la bandiera del “pacifismo” e del “neutralismo”, hanno continuato a tirare la volata alla propaganda del Cremlino quando già da almeno quattro mesi era dimostrato un gigantesco schieramento di forze russe sui confini ucraini. È il caso emerso, ad esempio, con la pubblicazione il 27 gennaio scorso su Charta Minuta dell’appello indirizzato ai Presidenti delle Istituzioni europee, dal think tank francese Geopragma con le tesi ben note della propaganda di Putin, circa le condizioni di una “pacificazione duratura” nei rapporti tra USA, Nato e Russia.

In particolare, si insisteva per il pieno riconoscimento del referendum in Crimea (anche se condannato dall’Onu) e quindi della appartenenza della Crimea allo Stato russo; il “reciproco abbandono di tutte le sanzioni politiche ed economiche” – incluse quelle per l’illegale annessione russa della Crimea, e per il conflitto in Donbass alimentato da Mosca – spingendosi a commentare, come tipico della propaganda russa “L’Occidente si riduce agli Stati Uniti, a un’Europa mentalmente e strategicamente vassalla, a una visione del mondo che da più di 30 anni stenta a metabolizzare le fine della Guerra Fredda”.

Come ha scritto il 12 marzo scorso Atlantico ha sottolineato come il pensiero «…“meglio russi che morti” sia il succo del discorso di gran parte dei commentatori in queste settimane di guerra Ucraina. Man mano che la guerra si prolunga, l’appello per la resa incondizionata degli ucraini si fa più forte e sentito, condito con discorsi terroristici su possibili escalation e guerre nucleari. Per alcuni il problema di questo conflitto è solo uno e si chiama: Zelensky, il Presidente ucraino il cui Paese è stato aggredito. La sua colpa? Resistere ai russi. Più resiste, dicono costoro, più sarà il responsabile delle vittime militari e civili del conflitto. Un pacifismo peloso, mascherato da umanitarismo, ma con la stessa logica dei Borg, razza aliena inventata dagli sceneggiatori di Star Trek: “Assimilatevi, la resistenza è inutile”.

Questo pacifismo lo avevamo già visto in azione durante la Guerra Fredda, quando la sinistra di piazza e di opposizione chiedeva il disarmo unilaterale della Nato. Se i sovietici avessero invaso la Germania Ovest, avremmo dovuto accoglierli con i sorrisi e i fiori, se avessimo invece opposto resistenza sovietici avrebbe potuto innervosirsi. E sai, se una potenza nucleare si innervosisce…. La logica è esattamente la stessa: se i russi invadono l’Ucraina, i difensori devono accoglierli con tutti gli onori e guai agli europei se provano a protestare. La Nato non sta intervenendo, l’UE è neutrale, ci limitiamo a mandare armi leggere ed anche la fornitura di vecchi caccia sovietici dalla Polonia viene negata. Al massimo la risposta consiste in sanzioni economiche e una protesta politica all’Onu. Ma per alcuni commentatori, questa reazione pressoché nulla è già da considerarsi un atto di belligeranza. A loro avviso, dovremmo solo voltarci dall’altra parte. E sorridere. Perché se non sorridiamo, i russi si innervosiscono. E sai, se i russi si innervosiscono… hai capito, no?”…»

L’aggressione criminale della Russia a un grande popolo libero, che aveva riacquistato la libertà, nel cuore dell’Europa, è un drammatico spartiacque, come era stata la fine della Seconda Guerra Mondiale e la calata della “cortina di ferro”. Ora la cortina non è solo tra libertà e oppressione: è anche tra Diritto, legalità, rispetto dei Diritti umani e Stato di Diritto da un lato; e aggressione, genocidario uso della forza, radicalizzazione ideologica e disprezzo per ogni Trattato o Accordo sottoscritto.

Con l’Ucraina è calata una “cortina di aggressione”, contro l’Europa, nel Mediterraneo in Medio Oriente, sino all’Asia e al Pacifico. La Russia di Putin ne è la protagonista da quattordici anni. La Cina di Xi Jinping, sua alleata, da dieci anni. Ma ora l’Occidente c’è; è coeso; sta rispondendo. La coesione e risposta devono rafforzarsi. Spetta a noi. Nato, UE, Indo-Pacifico, Mediterraneo sono le aree geopolitiche dove l’Occidente e i paesi like mindend devono rafforzare la loro strategia, difendere puntualmente i loro interessi nazionali e collettivi, e soprattutto – rendere inoppugnabilmente credibile, e temibile la loro deterrenza: per capacità di “resilience” e di “risposta” economica, tecnologica, militare. In una parola deve accrescersi e mantenersi a livelli sempre più elevati la deterrenza complessiva dei loro sistemi nazionali e delle loro organizzazioni e Alleanze.

Per l’Italia, questo significa alimentare la piena consapevolezza dell’opinione pubblica interna e della classe politica, su provenienza, natura, intensità della minaccia: dalla Russia, dalla Cina, e dai loro alleati altrettanto messianici e fondamentalisti come l’Iran.  Il Mediterraneo è il playfield fondamentale per la sicurezza italiana e un playfield essenziale per quella Atlantica. La deterrenza nel Mediterraneo ha acquisito un valore esponenzialmente accresciuto dopo la tragedia Ucraina: la Russia a Tartus e le sue altre basi in Siria; la Cina da Gibuti al Pireo, a Trieste; la Turchia e la Russia in Libia sino al Sahel; l’Alleanza di Russia e Cina con l’Iran anti-israeliano e antisemita; la Turchia a Cipro, in fase di nuova aggressione.

Sono tutti termini scomponibili e ricomponibili in pericolose equazioni.

Sovrasta su tutto la distruzione del popolo, dello Stato, della identità ucraina da parte di un Presidente criminale, Putin. Sovrastano le minacce sulla nostra sicurezza che sono poste dalle Vie della Seta: veri cavalli di Troia acclamati in Italia perfino da ex Presidenti del Consiglio e Ministri di Governo; ed ora diventate vere e proprie autostrade per il dominio strategico da parte dell’Asse neo-imperialista tra Cina e Russia. Non vi è infatti una sola “Via della Seta”, terrestre, marittima, scientifica, tecnologica e Cyber che non rappresenti nella sua reale declinazione una “Via della Sottomissione” per i Paesi o i mari da essa attraversati.

Il “Patto di Acciaio del XXI Secolo” tra Putin e Xi, santificato il 4 febbraio scorso, sugella la minaccia militare, oltre che di influenza politica ed economica, delle già osannate “Vie della
Seta” che il Governo italiano dell’epoca ha, per primo in Europa, sottoscritto entusiasticamente in occasione della visita di Stato di Xi Jinping a Roma.

* Giulio Terzi di Sant’Agata – Diplomatico italiano, è stato ambasciatore in Israele (2002-04), rappresentante permanente dell’Italia all’Onu (2008-09) e ambasciatore a Washington (2009-11). Dal 16 novembre 2011 fino al 26 marzo 2013, è stato ministro degli Esteri del governo Monti.

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