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Il No di Roby Facchinetti alla guerra: “Sul fronte russo mio padre si cibò di carne umana, per sopravvivere”

L’amato leader dei Pooh ricorda i racconti atroci del papà, soldato nella Seconda Guerra Mondiale, mandato sul fronte russo

Roby Facchinetti, l’amato leader dei Pooh, dai propri profili social (su Facebook e Instagram) dichiara un No forte alla guerra ricordando i racconti atroci del papà, soldato nella Seconda Guerra Mondiale, mandato sul fronte russo. Tra questi racconti il tragico epilogo di un gruppo di commilitoni bergamaschi e l’atroce scelta obbligata di cibarsi di carne umana per sopravvivere.

Cari amici,

a mezzogiorno, come sempre, ho acceso la televisione e guardato il telegiornale.
E di fronte a quello che il piccolo schermo ci fa vedere ormai da troppe giornate, mi è venuto in mente, in modo intenso, il mio papà.

Adesso desidero condividere questo suo ricordo con voi.

Credo che ne valga la pena: perché sono convinto che sarebbe importante che tutti, nel mondo, capissero che cosa significano certe cose, fin dove portano certe azioni.

Sarebbe bello che davvero, TUTTI capissero.

Quando aveva appena ventidue anni, papà fu mandato in guerra sul fronte russo. Sì, c’era anche lui tra i tantissimi, giovani soldati italiani che soffrirono fame, freddo e chissà cos’altro durante la campagna di Russia del secondo conflitto mondiale.

Papà Roby Facchinetti

Anche mio padre, fu spedito in quella guerra assurda e senza speranze; anche lui fu mandato, in pratica, incontro alla morte.

Ricordo che ci raccontava di quanto fosse stato atroce, in quei mesi.

Raccontava dei commilitoni, e degli amici, morti senza che si potesse aiutarli.

Con le lacrime agli occhi ci parlava di buche scavate in terra, al gelo, per provare a dormire; e d’una fame tanto feroce che a un certo punto e con disgusto si dovette cibare di carne umana, per sopravvivere.

Carne umana, pensate.

Con la voce che tremava, un giorno ci ha raccontato anche il suo ritorno a casa.

Erano una cinquantina, i bergamaschi: in quel gruppo immenso di soldati. E dovevano scappare, pena l’arrivo dei sovietici e la morte sicura. Ma davanti a immense distese di neve, da che parte vai? Qual è la direzione da prendere?

Loro scelsero di dividersi in due gruppi. Un gruppo andò a destra, e fra loro c’era papà: che tornò a casa con i postumi di un piede congelato. L’altro gruppo, invece, andò a sinistra.

E… “Non sono tornati”, diceva papà in un sussurro. “Loro non sono mai tornati”.

Quando il mio papà parlava della guerra, che aveva visto in faccia, ne parlava come qualcosa di atroce e d’incomprensibile. Un orrore che gli aveva cambiato il carattere, persino; e il dolore provato in quel periodo era ancora carne viva che bruciava, in lui.

Era chiarissimo, che avendo conosciuto la guerra sulla sua pelle, papà la ritenesse un incubo tragico.

Un’assurdità dolorosa che in un mondo civile dovrebbe restare nei libri di storia, da studiare perché mai si ripeta.

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