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L’intervista

Giorgio Gallione dirige Claudio Bisio: “Io e il signor B., 25 anni di avventure nei teatri”

Venerdì 4 e sabato 5 marzo porteranno al Teatro Donizetti di Bergamo il loro ultimo lavoro “La mia vita raccontata male”

Signor G. e Signor B. è così che sono soliti chiamarsi in onore della loro passione per Giorgio Gaber, il grande signor G. Dopo venticinque anni di teatro fatto insieme, Claudio Bisio, attore molto noto di cinema, teatro e televisione, e Giorgio Gallione, drammaturgo e regista, continuano ad avere un’intesa artistica rarissima.

Era il 1997 quando i due lavoravano insieme per la prima volta nello spettacolo Monsieur Malaussène, tratto dall’opera di Daniel Pennac. Venerdì 4 e sabato 5 marzo porteranno al Teatro Donizetti di Bergamo il loro ultimo lavoro “La mia vita raccontata male”.

Un po’ romanzo di formazione, un po’ biografia divertita e pensosa, un po’ catalogo degli inciampi e dell’allegria del vivere, “La mia vita raccontata male” ci segnala che, se è vero che ci mettiamo una vita intera a diventare noi stessi, quando guardiamo all’indietro la strada è ben segnalata da una scia di scelte, intuizioni, attimi, folgorazioni e sbagli, spesso tragicomici o paradossali. Attingendo dall’enorme e variegato patrimonio letterario di Francesco Piccolo, lo spettacolo si dipana in una eccentrica.

Giorgio Gallione e Claudio Bisio

Venticinque anni fa il vostro primo spettacolo insieme. Come vi siete incontrati lei e Bisio?

Siamo tutte due della stessa generazione. Lui ha iniziato a fare questo mestiere al Teatro dell’Elfo di Milano e io al Teatro dell’Archivolto di Genova. Quando ho incontrato la scrittura di Pennac, tra il ’96 e il ’97, pensai subito a Claudio. Anche lui è appassionato di questo attore, sapevo che avrei trovato nell’opera di Pennac un terreno fertile per la nostra collaborazione. Così ci siamo trovati insieme dentro una drammaturgia che ha molto a che fare con la realtà, una drammaturgia “derivata”, come si dice in gergo, perché abbiamo sempre messo in scena testi letterari non nati per il teatro. Senza firmare contratti, io e Claudio ci siamo sempre cercati e abbiamo fatto sempre teatro insieme. Dopo venticinque anni, siamo arrivati a raccontare sul palco una vita intera, un percorso di crescita e di evoluzione di un personaggio in cui c’è un po’ di entrambi.

Da dove trovate ispirazione per i vostri spettacoli?

Dalle nostre storie raccontate attraverso le parole che di volta in volta abbiamo incontrato. Ad esempio, in “Monsieur Malaussèn” e Claudio interpretava un futuro padre che parlava al figlio “ancora ecografia”. Dentro questo paradosso affettuoso c’era la narrazione di una vita e anche di una società. Ne “Gli sdraiati” di Michele Serra, un testo che parla a noi boomer, raccontavamo un padre simile a noi, libertario, colto democratico che crede di essere interessante agli occhi del figlio, mentre questo, invece, se ne frega completamente.

Il personaggio protagonista di “La mia vita raccontata male” sarà quindi la crasi delle vostre vite. Durante questi venticinque anni di collaborazione artistica cosa avete condiviso insieme?

Ci è capitato che anche le nostre biografie personali corrispondessero alle storie che abbiamo scelto di raccontare. In Monsieur Malaussèn Claudio era diventato padre da pochissimo e la stessa cosa era accaduta a me. Narravamo la nostra esperienza di neo-padri attraverso le parole di Pennac.

Giorgio Gallione e Claudio Bisio

Come nasce il titolo dello spettacolo che portate al Donizetti?

Nasce da una intuizione di Francesco Piccolo e dalla parafrasi di un grafic novel di Gipi che anni fa pubblicò “La mia vita disegnata male”. È una storia raccontata “male” perché non abbiamo né la pretesa di essere esaustivi né quella di fare un percorso cronologico coerente. Ci sono tanti accadimenti nella vita del personaggio, che sono riportati procedendo per assonanza e per contrasto, non per anno di nascita. È raccontata male perché la scrittura di Francesco, data la sua qualità identitaria, ci consente di svelare anche i lati meschini, volgari e fragili del personaggio. Dirlo è un gesto di sincerità. C’è una canzone di Giorgio Gaber, a cui sia io che Claudia siamo legati, che si intitola “i mostri che abbiamo dentro”. Ecco, a volte anche i mostri sorridenti delle nostre vite vanno raccontati.

Bisio sarà in scena con due musicisti, ci saranno anche dei momenti musicali?

Si, ci saranno due chitarristi molto bravi, Marco Bianchi e Pietro Guarracino, che fanno una sorta di accompagnamento. Di fatti questo spettacolo non è un monologo ma un melologo, in quanto c’è una continua traccia musicale super definita su cui Claudio racconta parla

Questo spettacolo è anche una riflessione sull’arte del narrare. Perché abbiamo ancora bisogno di storie?

Perché noi siamo l’unica specie narrante, la mia teoria e di tanti altri antropologi. È quasi un bisogno genetico quello dell’essere umano di narrare il mondo attraverso una metafora. Da quando i cantastorie hanno iniziato a girare il mondo le loro canzoni hanno fatto medicina per l’essere umano. Raccontare vuol dire esplicitare e storicizzare ciò che ci accade.

Un quarto di secolo di arte insieme e una grande fetta di vita. Ha un aneddoto particolare da raccontare?

Non ne ho uno emblematico. Quando ci rivediamo e diciamo “potremmo lavorare su questo tema”, c’è sempre un riconoscimento da parte di entrambi. Io vedo negli occhi di Claudio e lui nei miei che troviamo ancora e sempre un linguaggio comune e una affinità poetica, umana e artistica che continua ad essere identica, anzi più stretta con il tempo che passa.

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