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La testimonianza

“La diagnosi, le cattiverie, le cadute e ora un po’ di serenità: ecco cosa significa avere una malattia rara”

Cosa significa avere una malattia rara? Non è semplice capirlo, ma nemmeno raccontarlo, perchè significa tantissime cose… provo a spiegarlo

Oggi, 28 febbraio, ricorre la giornata mondiale delle malattie rare. È una data importante perché ogni anno ricorda l’esistenza di queste patologie e di questi pazienti, sollecitando l’importanza di trovare una cura. Tante, tantissime, purtroppo, non hanno ancora una terapia, di alcune si conosce appena il nome o poco più e di altre non si sa ancora nulla, quindi la ricerca scientifica è fondamentale.

Ma cosa significa avere una malattia rara? Farsene un’idea è necessario per capire il significato di questa giornata, anche perché non è così scontato rendersene conto. Non è semplice comprenderlo ma nemmeno raccontarlo, perchè significa tantissime cose, ha parecchie implicazioni con la propria quotidianità e più in generale con il proprio progetto di vita, quindi non è immediato trovare le parole giuste per spiegarlo.

Nel mio caso la malattia rara è arrivata nel momento peggiore. Sono convinto che non ci sia mai un momento migliore in cui possa insorgere, per nessuno, ma per me la tempistica è stata davvero pessima.

La neuropatia ottica di Leber, così si chiama, è arrivata alla fine dei cinque anni delle scuole superiori che, a causa di un ambiente nefasto, sono stati pesanti e negativi, interminabili. La malattia rara è arrivata proprio quando, finendo la scuola superiore, avrei finalmente potuto cominciare una nuova fase della vita, avrei iniziato a costruire la mia strada. Invece si è verificato un black-out, cominciato dalla sensazione di vedere poco, inizialmente attribuita alla stanchezza, poi si è giunti alla diagnosi e all’ingresso in un mondo che non conoscevo se non perchè ogni tanto avevo guardato la trasmissione di Telethon in tv.

All’inizio non ne sapevo nulla e non avevo idea di che cosa potesse voler dire avere una malattia rara, non sapevo come sarebbe stato e come la situazione avrebbe potuto evolversi o incidere sulla realizzazione di quella vita che avrei voluto finalmente intraprendere. Avevo tante domande e in quel momento poche, pochissime risposte, senza la minima volontà di accettare la situazione, pensavo che avrebbe potuto risolversi in qualche anno e nel frattempo avrei potuto darmi da fare guardando al futuro.

L’incognita sul futuro e su quanto sarebbe andata avanti questa situazione, ma anche le scorie delle superiori e l’abbandono di chi pensavi fosse diventato amico, il senso di vuoto, di ingiustizia e di incomprensione generale erano molto pesanti. I mesi successivi alla diagnosi, sono stati una tegola sulla testa, ne è seguito un paio d’anni in cui hanno dominato la fatica di rialzarsi e di pensare che le cose avrebbero potuto cambiare, la paura che fosse un problema troppo grande da affrontare e che non sarei riuscito a farvi fronte, l’idea di non potercela fare, di mollare tutto e di fermarsi definitivamente, ma anche la rabbia, il pensiero che la limitazione visiva non sarebbe stata compatibile con quella vita che avrei voluto fare. Il timore più grande era quello di non riuscire, a causa di forza maggiore, a vivere la vita come avrei voluto e come sarebbe stato legittimo fare. Era talmente doloroso che era difficile persino parlarne, anzi non si poteva toccare l’argomento e non si “poteva” dire.

Dopo un iniziale tramortimento, man mano, ho trovato la volontà di andare avanti proprio per provare comunque, nonostante tutto, a realizzare quell’idea di vita che avrei voluto fare. Non sarebbe stata la stessa cosa, ma magari avrebbe potuto assomigliarci, sempre con l’idea che in futuro le cose avrebbero potuto evolversi. Il dolore di quella batosta, di quella tegola era rimasto in sottofondo, permane, a volte riaffiora e si sente di più, altre meno, ma la voglia di ripartire e di provare a intraprendere la mia strada è stata più forte di tutto.

Il proseguo è stata una continua oscillazione fra questa determinazione e, ogni tanto, un po’ di sconforto, ma con la certezza di voler ricostruire dalle macerie, soprattutto a livello sociale. Ho incontrato tanta freddezza e diffidenza, c’è stato chi si è tenuto a distanza, chi se n’è andato prima ancora di dare la possibilità di conoscersi e chi se n’è approfittato, chi usa il problema visivo contro di te, chi vive la scomodità logistica di non avere la patente come se fosse uno scoglio insuperabile e chi fa leva su questa limitazione per escluderti, ma qualcuno è riuscito ad andare oltre, a non lasciarsi condizionare, a valutare la persona anziché soffermarsi sul problema

Oggi ho la grande, grandissima, enorme fortuna di avere vicino persone di valore, amicizie vere e rare, che mi hanno permesso di cominciare una svolta, questa volta in meglio. Tutto ha assunto una nuova luce: ogni tanto le insicurezze ci sono, ma hanno sempre meno peso: sto costruendo la mia strada. Ovviamente un miglioramento della vista sarebbe l’ideale e potrebbe rendere tutto più agevole nella quotidianità, ma finalmente, grazie a loro, sono riuscito ad avere quella serenità che cercavo da tanto tempo.

A loro, come alla ricerca scientifica che sta lavorando per avere una cura utilizzabile da parte dei pazienti, va il mio più grande ringraziamento, pronto a vivere tante nuove belle esperienze.

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