Alzano Lombardo. Gli occhi si gonfiano e la voce diventa tremolante. Quando Giuseppe Marzulli ricorda quella domenica 23 febbraio 2020 e “quel periodo tragico, il peggiore della mia vita” all’ospedale di Alzano Lombardo ancora si commuove. Un’emozione che si tramuta in rabbia quando l’allora direttore sanitario svela la sua verità sulla mancata chiusura del pronto soccorso dopo la scoperta dei primi due contagiati, che tanto fece discutere: “Non ero d’accordo, mi venne ordinato. Spero che l’inchiesta in corso possa fare chiarezza sulle eventuali responsabilità di quella decisione”.
“In ogni caso – spiega Marzulli – capii subito che la situazione era molto critica, perchè quei primi pazienti che avevamo scoperto positivi non avevano avuto alcun contatto con la Cina. Questo significava che la pandemia era già largamente diffusa sul nostro territorio”.
A questo proposito il 64enne ha una convinzione: “Uno degli errori che non si dovrebbe fare è quello di datare l’inizio della tragedia al 23 di febbraio, perchè nella Bergamasca c’erano già diverse centinaia di casi, se non migliaia. Bisogna stabilire, e sono certo che gli inquirenti lo faranno, perchè nessuno diagnosticò questi casi e per quale motivo per un mese e mezzo il Covid si diffuse indisturbato”.
Il dottore ha le idee chiare anche sulla mancata zona rossa in Val Seriana: “Avrebbe potuto evitare dalle duemila alle quattromila vittime. C’è da chiedersi perchè a Codogno fu fatta e ad Alzano no”.
Marzulli, che venne a sua volta contagiato, difende l’operato del personale dell’ospedale di Alzano: “La nostra struttura fu molto criticata all’epoca, ma il sacrificio di tutti noi fu incredibile. Gestimmo con eroismo un ospedale che ci fu ordinato di riaprire. Abbiamo avuto il trenta o quaranta per cento di contagiati tra i dipendenti. Tre di loro sono morti, tra cui un mio carissimo amico e collega, il dottor Marino Signori, che lavorò con me nei giorni più duri. Io stesso il sabato successivo mi sentii male ed ebbi il Covid in una forma abbastanza grave”.
“Un’altra delle cose assurde di cui non si è parlato abbastanza – prosegue – fu la situazione delle mascherine. Il 15 febbraio l’Italia le mandò in Cina e poi le ricomprò qualche settimana dopo a prezzi gonfiati. Noi le prime Ffp2 e Ffp3 le recuperammo rompendo le centraline dell’antincendio. Altre ci furono donate da alcuni imbianchini. E anche le disposizioni furono tardive, tanto è vero la prima indicazione dal Ministero della Salute sui dispositivi di sicurezza arrivò solo il 26 febbraio”.
Infine l’ex direttore sanitario, che nel frattempo è andato in pensione (“perchè dopo quarant’anni non lavoravo più con serenità in seguito a quello che accadde in quel periodo”), ha una speranza: “Mi rimane molta rabbia perché non è stata fatta chiarezza sugli errori che sono stati commessi. Furono tanti, troppi, ed è mancata un’analisi seria. Se non analizziamo gli sbagli e perchè furono fatti, soprattutto a livello istituzionale, tutti i morti che ci sono stati non saranno serviti a nulla perchè non si sarà approfittato di questa situazione per sistemare determinate cose che non vanno. Questa è la cosa più importante, più di qualsiasi inchiesta”.
commenta