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L'intervista

Comunali 2021, per il quorum basta il 40% di votanti: “Per l’emergenza, ma segnale di crisi”

Daisy Pirovano, senatrice bergamasca della Lega, illustra il provvedimento che riguarda i Comuni sotto i 15.000 abitanti nei quali si presenta una sola lista.

Una grossa novità attende gli elettori dei Comuni con meno di 15.000 abitanti nei quali nella prossima tornata elettorale si presenterà una sola lista.

Solo per questo appuntamento (per ora), un decreto già in vigore dispone la riduzione del quorum strutturale richiesto per la validità dell’elezione stessa, portato dal canonico 50% fino al 40% degli aventi diritto.

Non solo: ai fini della determinazione di tale quota, non si terrà conto degli elettori iscritti all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (A.I.R.E.) che decideranno di non votare.

Per essere eletto, dunque, un candidato sindaco che si presenta in solitaria in Comuni con meno di 15mila abitanti, avrà bisogno del 50% di voti validi sul 40% degli aventi diritto.

Un provvedimento che è stato approvato in Primavera, nato durante l’emergenza Covid per ovviare al problema degli spostamenti dei votanti, come spiega la senatrice bergamasca Daisy Pirovano, relatrice del provvedimento: “Diciamo subito che la via del decreto è stata privilegiata perché c’era la necessità di mettere tutto a regime entro la tornata elettorale del 3-4 ottobre – sottolinea – Ora abbiamo però inserito questa proposta di modifica anche in un ddl già approvato dal Senato e in attesa di discussione alla Camera, perché sia resa strutturale. La richiesta arriva dal territorio, è un problema che ci trasciniamo da anni e al quale si è sempre cercato di mettere delle pezze che in  fine dei conti si sono rivelate dei fallimenti: siamo partiti col terzo mandato per i sindaci dei piccoli Comuni, primo segnale di questa crisi, ora abbassiamo il quorum al 40% e probabilmente se continueremo così ci troveremo a ragionare su percentuali ancora più basse e non è possibile”.

Da sindaco di Misano di Gera d’Adda, al terzo mandato, Pirovano parla per cognizione di causa: “Diciamocelo chiaramente: se c’è una lista unica significa che non ci sono abbastanza cittadini intenzionati a partecipare alla vita amministrativa del Comune. Non necessariamente perché non ne abbiano voglia, ma perché è diventato sempre più complicato, tra responsabilità e burocrazia. Solo chi ha fatto il sindaco durante il Covid a Bergamo sa di cosa sto parlando, delle condizioni in cui ci siamo trovati a portare avanti i nostri Enti in tempo di pandemia: siamo stati mesi fianco a fianco coi nostri cittadini, in prima linea, prendendo decisioni senza alcuna tutela e senza pensare alle conseguenze delle nostre azioni. Nessuno, in quel periodo, ci ha detto cosa dovevamo fare, come ci dovevamo comportare. Cerco ogni giorno di farlo capire ai miei colleghi parlamentari: i sindaci sono contenti degli incentivi e dei soldi che il governo ci sta facendo avere per realizzare alcune opere, ma il problema enorme è che paradossalmente poi non ci siano soldi per le spese correnti e le manutenzioni ordinarie. Magari ho i soldi per costruire una nuova pista ciclabile, ma non per pagare le bollette o tinteggiare una scuola. Quando un cittadino si rende conto di cosa comporti mettersi in gioco a livello amministrativo non è molto incentivato ad andare avanti”.

Non è l’unica novità sulla quale ha lavorato e continua a lavorare il governo: il ddl atteso alla Camera prevede l’obbligo di sottoscrizione delle liste per l’elezione del sindaco e del consiglio comunale anche nei Comuni con meno di mille abitanti. 

Al momento, infatti, il testo vigente prevede che la dichiarazione di presentazione delle liste di candidati al consiglio comunale e delle collegate candidature alla carica di sindaco per ogni comune deve essere sottoscritta da non meno di 25 e da non più di 50 elettori nei comuni con popolazione compresa tra mille e duemila abitanti e che non sia necessaria alcuna sottoscrizione per le liste nei Comuni con popolazione inferiore a mille.

“Un modo per evitare le cosiddette liste farlocche – evidenzia Pirovano -. Nei piccoli Comuni, infatti, spesso si presentano liste per la maggior parte, se non completamente, composte da cittadini non residenti, di formazioni politiche estremiste, che si candidano con la prospettiva di poter godere di alcuni privilegi. Il fatto di non dover presentare delle firme a supporto ne aumentava le possibilità di successo. Da un lavoro coordinato col Ministero siamo così arrivati a definire delle fasce proporzionate, che garantiscano un equilibrio e la correttezza della votazione”.

Il risultato finale (che, ripetiamo, ancora deve passare all’esame della Camera) prevede che la presentazione delle liste e delle collegate candidature sia sottoscritta da non meno di 25 e da non più di 50 elettori nei Comuni con popolazione compresa tra 1.001 e 2.000 abitanti; da non meno di 15 e da non più di 30 elettori nei Comuni con popolazione tra 751 e 1.000 abitanti; da non meno di 10 e da non più di 20 elettori nei Comuni con popolazione tra 501 e 750 abitanti; e da non meno di 5 e non più di 10 elettori nei Comuni con popolazione sino a 500 abitanti.

“È stato un lavoro preciso, che ha coinvolto tutte le forze politiche – chiosa la senatrice bergamasca -. Siamo usciti all’unanimità e non era scontato. Sono stati raggiunti dei compromessi, ma abbiamo ragionato su cose pratiche e puntuali che non prevedono possibilità di divergenze politiche ampie. Un lavoro snello, senza preconcetti, di grande collaborazione col Ministero dell’Interno e con il sottosegretario Scalfarotto. Se ogni discussione fosse affrontata in questo modo avremmo sicuramente un Paese migliore”.

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