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L'ingegnere

Berlucchi: “Così ho seguito i restauri del Donizetti, una piccola città dentro la città”

Dopo tre anni di restauro e momenti di difficoltà dovuti all’emergenza pandemica, il teatro torna nelle mani di Bergamo e dei bergamaschi. “Questo è stato il cantiere più complesso della mia carriera".

“Il teatro è come una piccola città: ci sono le persone che lo animano, gli impianti, gli uffici e anche i luoghi di ristoro”, dietro questo racconto del luogo d’arte c’è una vita dedicata al restauro di beni culturali.

Per Nicola Berlucchi, ingegnere civile della Berlucchi Srl, curatore del progetto di restauro del Donizetti, un teatro ha la stessa complessità di un centro urbano. Ci sono strade che si intersecano, la platea-piazza principale, i luoghi di incontro e ristoro delle persone, che formano una vera comunità. “Nel teatro troviamo circa quindici chilometri di cavi elettrici, due chilometri di canali d’aria – spiega Berlucchi – questo ci fa capire la complessità della struttura”.

Questo momento che significato ha per lei, in qualità di ingegnere e cittadino?

Per me è un momento importantissimo perchè è dal 2007 che io e i miei colleghi stiamo studiando il Teatro Donizetti. Nell’arco di quattordici anni sono state oltre ventimila le ore dedicate dal mio studio al progetto. Lo conosco in ogni angolo e in tutti i dettagli. E dopo questi numerosi anni posso dirlo: voglio bene a questo teatro. È come una piccola città. Ci sono uffici, macchine sceniche, impianti, sale da musica, di rappresentanza. Studiarlo a fondo e riuscire a farlo funzionare al meglio è stata la più grande fatica e più grande soddisfazione.

Dove consiglia di alzare lo sguardo quando entreremo nel nuovo Donizetti?

Innanzitutto, quando le persone entreranno potranno ammirare un foyer di ingresso riportato ai colori e alle finiture originarie dei primi dell’Ottocento, con colori più tenui, con dorature sulle superfici, con intonaci antichi e stucchi di grande pregio. Poi si entrerà in una sala che ora ha tanti piccoli dettagli migliorativi. Mi riferisco ai tessuti applicati ai palchi, al soffitto color bordeaux, alla mancanza in platea della moquette ma di un parquet che dà un effetto “teatrale”, alle poltrone studiate per avere più legno possibile e meno velluto in modo da non influenzare l’acustica, alle luci al led. È una sala rinnovata pur nel rispetto totale di ciò che era prima. Questo senso di rispetto ci ha guidato in tutto il teatro.

Ad esempio?

Per la facciata abbiamo utilizzato materiali compatibili con quelli precedenti. Quella dei primi del secolo scorso era realizzata in cemento colorato. Noi abbiamo proseguito con un nuovo materiale studiato da Italcementi e Magnetti Building. Sono stati creati quindi dei grandi panelli in cemento colorato con sette sfumature di colore sulla falsa riga di interventi precedenti. È stato un progetto rispettoso della storia preesistente.

Quali altre novità potremo ammirare?

La nuova sala di musica “Tremaglia”; il nuovo bar che viene valorizzato e valorizza a sua volta il foyer laterale dedicato a Gavazzeni, che diventa un luogo di ritrovo per gli intervalli. Abbiamo poi avuto una grandissima cura per tutti i futuri utenti, attraverso ascensori che portano alle gallerie e ai bar e percorsi che permettono di muoversi autonomamente. Inoltre, ci sarà un bellissimo bar per le Gallerie. Non meno importante è la riunificazione di tutti gli uffici.

In questi tre anni di restauro ci sono stati momenti di stop dovuti alla pandemia e al ritrovamento di materiali. Come avete gestito le difficoltà?

I lavori pubblici in Italia sono caratterizzati da una grande complessità anche in situazioni “normali”. In questo caso, grazie alla Fondazione Teatro Donizetti, a tutti i tecnici che hanno partecipato al lavoro e a tutte le imprese coinvolte, siamo riusciti in poco più di tre anni a terminare un’opera molto complessa, soprattutto se paragonata ad altri teatri italiani. Oltretutto avendo dovuto affrontare le difficoltà generate dalla pandemia e dal ritrovamento di amianto.

Quali operazioni sono state fatte per migliorare l’acustica e quindi l’ascolto della musica in sala?

Sono stati eliminati tutti i materiali morbidi che potevano assorbire l’acustica, che erano presenti in sala. Tutto è diventato “secco”, come si suole dire in gergo, per riflettere il suono e non assorbirlo. È stato realizzato sotto al pavimento un’intercapedine di cinquanta centimetri vibrante che serve per migliorare l’effetto acustico. Il soffitto è stato lavorato con del materiale isolante in modo da renderlo ancor meno fonoassorbente ed è stato messo il parquet in tutti i palchi. Tutto è stato curato per evitare che il suono si perdesse nei palchi o in platea.

Da trentuno anni, lei lavora nel campo dei beni culturali. Cosa porterà con sé nel suo bagaglio di emozioni e di esperienza professionale dopo questo restauro?

Ogni momento o edificio rappresenta per me una nuova emozione. È evidente però che nella mia esperienza il Donizetti è stato il cantiere più grande e più complesso, da tutti i punti di vista. Progettuale, logistico e umano. È stato un master nel restauro. Nel teatro ci sono circa quindici chilometri di cavi elettrici, due chilometri di canali d’aria. Questo fa capire la grandezza del lavoro che ha coinvolto più di centocinquanta persone. Un altro dato è rilevante: è stata una grande opera, ma costata dieci volte meno della Fenice di Venezia. Questo non vuol dire che l’effort è stato minore di dieci volte. È grazie alla professionalità dei bergamaschi, dell’amore della città, all’aiuto dei cittadini e di tutti i tecnici, anche amministrativi della Fondazione, è stato possibile fare un miracolo.

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