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L'UE e noi

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Il principio del Green Deal europeo: non lasciare indietro nessuno

Le disuguaglianze sono, non sempre, ma spesso, una conseguenza della nostra situazione economica. La crescita economica, generata dall’Unione dei Paesi in Europa, non ha dato lo stesso vantaggio a tutti.

L’attuazione degli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile (OSS) e la realizzazione del Programma ad esso collegato, proposto dalla Commissione e dal Parlamento europeo: il Green Deal europeo, ci impone di fondere la dimensione sociale con le dimensioni economica e ambientale della sostenibilità, realizzando un cambiamento sistemico e superando il modo di pensare, oggi articolato, prevalentemente, in compartimenti stagni, nelle strategie politiche e economiche. È quindi fondamentale affrontare tutti gli aspetti legati alla questione sociale nell’attuazione di tale agenda.

Mentre occorre incoraggiare le persone ad affrontare il processo di trasformazione imminente, i leader politici e gli amministratori, a tutti i livelli, devono dare nuovo impulso al principio del “Non lasciare indietro nessuno”.

La trasformazione è sinonimo di cambiamento. Anche se la società ne trarrà un vantaggio globale, i costi e i benefici non saranno condivisi equamente, se non vi saranno interventi politici, volti a garantire che nessuno sia lasciato indietro. Ciò che definisce in modo più ampio la dimensione sociale è la sua capacità, non solo di sviluppare al meglio le prestazioni sociali tradizionali, ma anche di contribuire a un’equa distribuzione del reddito e alla partecipazione attiva dei membri della società ai processi economici, con i conseguenti benefici di tutti. La transizione verso un’economia sostenibile, neutra in termini di emissioni di carbonio ed efficiente sotto il profilo delle risorse, richiede cambiamenti sostanziali nella nostra cultura e nella nostra economia, cambiamenti che saranno in grado di generare nuove opportunità, ma anche dei rischi. Non lasciare indietro nessuno significa che tutti i membri della società, e in particolare quelli più svantaggiati, devono avere reali possibilità di cogliere le opportunità, ma devono essere adeguatamente preparati per far fronte ai rischi. Ciò impone di valutare lo sviluppo di una forte e intelligente azione politica, che si concretizza nella necessità di tenere in particolare considerazione: i gruppi più vulnerabili della società; le regioni e i territori più svantaggiati.

Non lasciare indietro nessuno consiste, soprattutto, nel:
responsabilizzare quante più persone possibili, affinché svolgano un ruolo positivo come cittadini attivi;
– attivare processi culturali che sviluppino realmente la conoscenza degli obiettivi e dei mezzi per raggiungerli;
– migliorare l’accessibilità degli investimenti;
– presentare l’utilità e la possibilità di nuovi stili di vita;
– far conoscere nuovi modelli di consumo e tecnologie sostenibili per tutti.

La trasformazione verso la sostenibilità può avere successo, se sarà basata sull’ampio sostegno e sulla partecipazione attiva di tutti.
Tramite i fondi previsti dal EU (NGEU) che consentono di attuare la Strategia indicata nei numerosi documenti, che hanno dato corpo, a partire dal 2019, al Green Deal europeo, è ora possibile attuare un “Accordo europeo verde e sociale”, nell’ambito di una «Strategia dell’UE di sviluppo sostenibile, per il 2030 e per il 2050», che si discosti dall’uso eccessivo di risorse naturali, ma mantenga, come obiettivo centrale, quello di accrescere il benessere intelligente dei cittadini.
Le parti sociali (Organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori) e le varie strutture della società civile organizzata, sono oggi, più di ieri, chiamati a:
– sviluppare una valutazione sistematica dei potenziali effetti collaterali, negativi/positivi della transizione prevista da questa necessaria Strategia sulla popolazione e, in particolare, sui gruppi poveri e vulnerabili;
– riflettere sulle cause che determinano la debolezza strutturale di alcune regioni;
– comprendere meglio le responsabilità che abbiamo verso le generazioni future, che ci impongono di approfondire la cultura della sostenibilità, e di realizzarla;
– accrescere il senso e il valore della responsabilità di tutti i cittadini, per rendere più comprensibile il messaggio dei doveri e dei diritti;
– favorire l’azione e la responsabilità delle Regioni, delle Amministrazioni comunali e dei GAL;
– istituire strutture e strumenti di governance adeguati, per l’attuazione degli OSS e dell’”Accordo europeo verde e sociale”;
– utilizzare il Quadro Finanziario Pluriennale (QFP), compresi i fondi sociali e di coesione, per guidare la trasformazione;
– sviluppare una concezione profonda e reale della «Transizione giusta»;
– attuare pienamente il Pilastro europeo dei diritti sociali, portando avanti le riforme dei sistemi di redistribuzione del reddito (fiscalità su misura, protezione sociale e investimenti sostenibili e sociali);
– promuovere l’equilibrio tra attività professionale, vita familiare e parità di genere;
– garantire a tutti, con adeguati mezzi finanziari, vincolati ad obiettivi, la parità di accesso e le pari opportunità a un’istruzione e a una formazione adeguate;
– superare gli ostacoli alla partecipazione attiva dei cittadini, che non dispongono dei necessari strumenti finanziari e sociali o delle necessarie conoscenze e informazioni;
– introdurre politiche che, allo stesso tempo, arrechino beneficio ai cittadini e proteggano l’ambiente; ad esempio, piani contro l’inquinamento atmosferico che diano sollievo ai gruppi vulnerabili, – – politiche di edilizia sociale verde, per superare la povertà energetica…;
– promuovere un’economia sociale e collaborativa all’interno della transizione verso la sostenibilità;
– fornire sostegno alle PMI affinché queste riescano nella transizione e raggiungano una competitività sostenibile, attraverso un miglior accesso alle competenze, ai finanziamenti, all’innovazione e alla tecnologia;
– rafforzare la creazione di posti di lavoro di qualità;
– ideare una strategia per garantire che non solo le città, ma anche le comunità rurali diventino più inclusive, resilienti e sostenibili;
– rafforzare la protezione del clima e l’adeguamento ai cambiamenti climatici in Europa per combattere la desertificazione e affrontare il problema della scarsità d’acqua e dello spopolamento;
– ripristinare e rafforzare la biodiversità;
– dare voce ai giovani e alle generazioni future;
– promuovere una politica commerciale sostenibile, che internalizzi le esternalità sociali e ambientali, positive e negative, del commercio

L’Europa è caratterizzata da livelli molto elevati di sviluppo umano e da un’aspettativa di vita dei suoi cittadini tra le più alte al mondo, tuttavia, ha ancora molta strada da fare per realizzare la dimensione sociale degli OSS. Secondo i dati di Eurostat, nel 2019 erano a rischio di povertà o di esclusione sociale il 21,7 % della popolazione. Solo il 67,5 % delle donne ha un’occupazione, rispetto al 73 % degli uomini. Il 32 % delle donne lavora part-time, rispetto a solo l’8 % degli uomini. Nel 2017, la retribuzione oraria lorda delle donne, nell’UE, era in media del 16 % inferiore a quella degli uomini, a causa di una combinazione di circostanze.

La disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza è ancora maggiore: il 10 % delle famiglie più ricche detiene il 50 % della ricchezza complessiva, mentre il 40 % di quelle meno ricche ne possiede poco più del 3 %. La quota di reddito del 40 % della popolazione nella fascia più bassa, in termini di reddito disponibile equivalente totale, si è stabilizzata su un livello basso, raggiungendo il 21,1 % nel 2017. Nell’UE esistono anche ampie disparità nella distribuzione del reddito: nel 2016, il 20 % della popolazione nella fascia con il reddito più elevato ha percepito 5,2 volte il reddito del 20 % della fascia più bassa. Le famiglie più povere affrontano anche sfide maggiori per potersi permettere l’energia e la mobilità.

Le disuguaglianze sono, non sempre, ma spesso, una conseguenza della nostra situazione economica. La crescita economica, generata dall’Unione dei Paesi in Europa, non ha dato lo stesso vantaggio a tutti. Secondo le stime di Eurostat, le famiglie a reddito più elevato ne hanno beneficiato in misura molto maggiore rispetto al 40 % della popolazione nella fascia più bassa. Molte persone faticano a tirare avanti, mentre una piccola percentuale beneficia di gran parte della ricchezza che noi tutti contribuiamo a creare.

Secondo lo studio: “Impatti delle politiche in materia di economia circolare sul mercato del lavoro”, redatto per la Commissione europea, a cura di Cambridge Econometrics, Trinomics e ICF, maggio 2018, un’economia più circolare contribuirà all’efficienza delle risorse, ridurrà gli impatti ambientali negativi e aumenterà l’occupazione, tra l’altro riportando le attività in Europa e ridistribuendole all’interno degli Stati membri, anche nelle zone svantaggiate. Lo studio citato stima un aumento dell’occupazione netta pari a circa 650 000-700 000 posti di lavoro, entro il 2030, a seguito delle politiche in materia di economia circolare. Lo studio: Employment and Social Developments in Europe (ESDE) prevede che la transizione a un’economia climaticamente neutra creerà 1,2 milioni di posti di lavoro supplementari nell’UE entro il 2030, in aggiunta ai 12 milioni di nuovi posti di lavoro già previsti. Sempre secondo lo studio citato, la transizione potrebbe creare nuovi posti di lavoro, in particolare nei settori dell’edilizia e della produzione.

I sistemi fiscali degli Stati membri dell’UE sono messi in discussione, in quanto si basano quasi esclusivamente sulla tassazione del lavoro. Infatti, nel 2016, le tasse ambientali rappresentavano solo il 6,3 % del gettito fiscale complessivo, mentre la tassazione del lavoro costituiva il 49,8 % del totale. Un approccio globale alla riforma fiscale, in linea con gli OSS, potrebbe, di fatto, spostare il centro dell’attenzione dal lavoro: alle tasse sulla ricchezza eccessiva; ai consumi; all’inquinamento; alla digitalizzazione. Tale spostamento dovrebbe tenere conto della crescente disparità di reddito in Europa, nonché della correlazione tra i livelli di reddito e l’impronta di carbonio. Infatti, le tasse ambientali devono essere concepite in modo da garantire un cambiamento comportamentale tra i maggiori utenti, riducendo al minimo gli impatti negativi sulla disparità di reddito e di risorse. Ad esempio, la cessazione delle sovvenzioni a favore delle risorse energetiche fossili, l’introduzione di una tariffazione della CO2 (Carbon Footprint, impronta di carbonio) e l’utilizzo delle relative entrate allo sviluppo dei trasporti pubblici, potrebbero generare un effetto positivo sulle disparità sociali e di reddito.

La transizione verso la sostenibilità sarà particolarmente critica in settori specifici, quali l’alimentazione, i trasporti, l’edilizia abitativa e l’energia. Tre esempi, in particolare, relativi al settore energetico appaiono emblematici:

1 – Fissare una tassazione sulla CO2 farebbe aumentare il costo dell’energia elettrica, a meno che questa non sia prodotta completamente senza CO2. In questo caso diventa più interessante l’auto-approvvigionamento di energia elettrica da risorse rinnovabili, come l’energia solare, prodotta anche attraverso la “Comunità dell’energia”. La prosumazione (produrre e consumare, allo stesso tempo) è una soluzione ragionevole, in termini di sostenibilità ambientale ed economica. Tuttavia, chi vive in una casa di proprietà o gestisce un’impresa di maggiori dimensioni e possiede superfici (di tetto o di terreno) sufficientemente grandi, ha migliori possibilità di trarre vantaggio dalla prosumazione. Per gli affittuari o per le piccole imprese artigiane, invece, diventare prosumatori è più difficile, se non si sviluppano sistemi associativi, previsti dalle Comunità energetiche (Direttiva UE 2018/2001). Quindi, senza opportuni interventi di cultura associativa, favoriti delle organizzazioni sociali, delle amministrazioni e dei GAL, assisteremmo a un aumento della disuguaglianza sociale e degli svantaggi competitivi, per settori sfavoriti e per le piccole imprese. Anche nel settore del riscaldamento si riscontrano problemi molto simili.
2 – Una tassazione più elevata della CO2 aumenterebbe anche i costi dei combustibili fossili, rendendo conveniente l’acquisto di un’auto elettrica. In questo caso à necessario intervenire per consentire a tutti di acquistare questo mezzo, all’inizio più costoso, per evitare che alcuni paghino il prezzo più alto dello sviluppo sostenibile.
3 -Un’altra opzione, per lo meno nelle grandi città, è data dal trasporto pubblico o dall’uso della bicicletta, che però non rappresentano un’alternativa realistica in molte zone rurali. La conseguenza è che non soltanto si incontrano gli stessi problemi già delineati per l’energia elettrica o per il riscaldamento, ma che anche la coesione regionale si trova ulteriormente in difficoltà.
In conclusione, il miglior modo per incoraggiare efficacemente lo sviluppo dell’economia verde e circolare è, probabilmente, quello di rendere più costoso il consumo di materie prime, ad esempio facendo leva sull’IVA. Tuttavia, per evitare l’uso di materie prime e o per riciclarle nei settori dell’industria o del commercio, sono spesso necessari investimenti anticipati nelle attrezzature o tecnologie, il che, ancora una volta, andrebbe a vantaggio delle grandi aziende a scapito delle PMI.

*Antonello Pezzini nasce in provincia di Novara nel 1941. Si laurea in filosofia e consegue due master, ha un trascorso da preside di liceo, da consigliere comunale della Dc a Bergamo, da presidenza della locale Associazione Artigiani a membro del CDA dell’Istituto Tagliacarne. Sviluppa uno spirito imprenditoriale nel settore dell’ abbigliamento e ha insegnato economia all’Università degli Studi di Bergamo. La passione per l’energia sostenibile è più recente, ma in breve ne diventa un esperto in campo europeo: oltre alla carica al Cese, è membro del CDA di un’azienda che si occupa di innovazione tecnologica e collabora con società di consulenza energetica.  Dal 1994 è membro del Comitato Economico e Sociale Europeo in rappresentanza di Confindustria.

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