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Giovedì su tv2000

“Nel mio documentario Bergamo in apnea per il trauma della pandemia”

Anna Maria Selini, giornalista e videomaker bergamasca, mostra nel documentario “Ritorno in apnea” i primi terribili mesi della pandemia da Covid-19 a Bergamo e in Val Seriana.

Decine di mezzi militari, in una Bergamo deserta e silenziosa, scortano le vittime del virus fuori dalla città, perché, in tutta la provincia, non c’è posto dove cremarle. È la sera di mercoledì 18 marzo 2020, quando Emanuele Di Terlizzi, assistente di volo napoletano, diffonde la foto destinata a diventare simbolo della pandemia da Coronavirus nel mondo.

Un’immagine drammaticamente potente, che ha convinto Anna Maria Selini, giornalista, freelance e videomaker, specializzata in aree di crisi, a partire da Roma, dove vive, per ritornare nella sua Bergamo, dove ha vissuto fino a 18 anni. “Un’immagine talmente surreale – spiega la regista, originaria di Telgate – che ha spinto in me il bisogno di vedere e capire quello che stava succedendo. Uno slancio da giornalista che mi ha riportato nella mia città d’origine”.

Da quella fotografia prende vita un racconto che si fa esperienza, trasmessa attraverso il necessario distacco giornalistico che porta la regista, nello stesso tempo, ad entrare nella narrazione, coinvolgendo persone a lei care, come il fratello contagiato e ricoverato in ospedale. Slancio giornalistico ed emotivo che trovano forma in “Ritorno in apnea”, film che racconta i primi mesi nei quali il Covid-19 ha travolto la Bergamasca, presentato in anteprima italiana giovedì 18 marzo alle 23.20 su Tv2000, in occasione della Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’epidemia da Coronavirus.

“La mia famiglia è sempre rimasta a Bergamo, in provincia. Una zona di fabbriche e ville, il paesaggio uniforme che si incontra lungo l’autostrada. Un paesaggio di cui non ho mai sentito la mancanza, fino a quando non ho deciso di tornare, per documentare il dramma che stava succedendo – racconta la regista. – Erano giorni che raccoglievo racconti di amici e parenti terrorizzati, mio fratello era stato contagiato e ricoverato in ospedale, a me sembrava di impazzire stando lontana. Così ho deciso di tornare”.

 

bergamo covid documentario

 

Un rientro straniante, quello di Anna Maria Selini, in una Bergamo a lei quasi irriconoscibile. “Sono specializzata nel raccontare le zone di guerra, ma non avrei mai immaginato che, un giorno, casa mia, una delle province più sviluppate d’Italia, sarebbe potuta diventare proprio come una delle aree di crisi che racconto”.

Città deserte, le stazioni di Roma Termini e Milano Centrale come checkpoint militari, una Bergamo dove il terrore di uscire di casa era tangibile. “A Bergamo le persone non prendevano nemmeno in considerazione l’idea di incontrarmi fisicamente. Erano talmente spaventate ed atterrite da quello che era successo che faticavano a reimmaginarsi nella normalità”.

Tra marzo e maggio 2020, tempo di rispolverare la telecamera usata per l’ultima volta nella Striscia di Gaza, Anna Maria Selini, insieme ad Alberto Valtellina (anche produttore e montatore del lungometraggio), ha raccolto le testimonianze di chi è stato in prima linea, medici, infermieri, anestesisti, ma anche di chi è stato ricoverato, di chi ha perso parenti o amici.

Testimonianze che diventano tessere di un mosaico che riflette il trauma collettivo di un’intera provincia. “Mi sono ritrovata in situazioni pesanti, anche sotto le bombe, ma questo è il documentario più difficile che io abbia mai fatto. Spesso ho avuto la sensazione di non riuscire a raccontare, di non riuscire a capire fino in fondo ciò che stava succedendo”.

Fatti troppo grandi, accompagnati da un forte coinvolgimento emotivo. “In quei mesi terribili, nel resto d’Italia il sentimento prevalente era quello di incredulità verso ciò che stava accadendo a Bergamo. Ancora oggi forse non si è compresa davvero l’entità del fenomeno avvenuto nella Bergamasca. Far comprendere ai non bergamaschi quello che è successo, aggiunge sofferenza alla sofferenza”.

In due mesi sono morte seimila persone, l’equivalente di due piccoli paesi rasi al suolo. Un evento terribile, che ha portato con sé il trauma collettivo di un’intera provincia. Proprio verso l’aspetto psicologico muove il lavoro di Anna Maria Selini, nel mostrare un trauma dove è mancata in primis l’elaborazione del lutto, mai risolto, all’interno di un dolore e una rabbia misurati, mai gridati, di un senso di smarrimento ed impotenza presenti anche in medici ed infermieri.

 

bergamo covid documentario

 

Un dolore composto, ancora non completamente risolto, vissuto in uno stato di apnea permanente. Un sentimento come un lavoro ad acquerello, dove il controllo e la razionalità nulla possono verso l’opera dell’acqua. Un acquerello che insegna a lasciar scorrere, lasciando però traccia di un’emotività composta, quasi sussurrata, figlia di un’indole tutta bergamasca o del trauma collettivo che ha sconvolto la Val Seriana e tutta la provincia di Bergamo.

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