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Giornata in memoria delle vittime

Il Covid a Bergamo negli scatti del fotoreporter: “Mai avrei pensato di raccontare una guerra a casa mia”

In occasione del 18 marzo, Bergamonews ha intervistato Marco Di Lauro, pluripremiato fotogiornalista che lavora per l'agenzia Getty Images: attraverso la macchina fotografica ha raccontato il dramma di quei giorni, scattando nel giro di una settimana qualcosa come 3mila fotografie

Cosa, meglio delle immagini, può aiutare a creare una memoria storica? In occasione del 18 marzo 2021, prima giornata nazionale dedicata alle vittime del Covid, Bergamonews ha deciso di intervistare Marco Di Lauro, pluripremiato fotogiornalista che lavora in esclusiva per l’agenzia statunitense Getty Images: attraverso la sua macchina fotografica ha raccontato il dramma di quei giorni, scattando nel giro di una settimana qualcosa come tremila fotografie.

A distanza di un anno, ce n’è una che ricorda ancora più di tutte le altre. “Quella che ritrae una signora anziana, sull’ottantina, accasciata sulla sedia di casa. Ha l’aria sofferente, moribonda, e ai suoi piedi, inginocchiato davanti a lei, c’è il figlio che la assiste e le tiene la mano. Un’immagine carica di dolore e significato”, così la descrive.

Di scene simili ne ha viste a centinaia durante la sua esperienza in terra bergamasca, passata in prima linea tra il personale della Croce Rossa. A fare avanti e indietro su quelle ambulanze che hanno fatto il giro della città e poi del mondo, grazie anche ai suoi scatti, rimbalzati sui media internazionali.

L’impatto della prima ondata Di Lauro lo ha immortalato da vicino, vicinissimo in diverse città italiane. “Ma ciò che ho visto a Bergamo è stato completamente diverso, nemmeno si può paragonare – racconta il 50enne milanese -. Lì non sentivi la gente cantare sui balconi. Era traumatizzata, attonita dal dolore e lo percepivi”.

I panni del fotoreporter lo hanno portato a coprire conflitti in Kosovo, Iraq, Afghanistan e lungo la Striscia di Gaza, solo per citarne alcuni; a documentare i terremoti de L’Aquila dell’aprile 2009 e quello di Haiti del gennaio 2010. Nel marzo 2020 è stata la volta della pandemia. “Mai – dice – avrei pensato di raccontare una guerra a casa mia. È stata una delle esperienze più dolorose di tutta la mia carriera”.

A Bergamo il tempo a disposizione era poco, al contrario del lavoro da sbrigare: moltissimo, vista la portata del dramma che si stava consumando. “Dormivo su una brandina nel palazzo della Croce Rossa, ma non credo di avere chiuso occhio visto che lavoravo fino a ventidue ore al giorno”. Scortato dai sanitari, bardato da testa a piedi, ha fatto visita a circa 400 persone malate di Covid. “Il carico emotivo e di stress è stato enorme, tant’è che un giorno ho avuto una crisi pianto – confessa -. Non è stato facile, ma le famiglie bergamasche mi hanno dato fiducia. Mi hanno accolto in casa mentre i loro parenti stavano morendo ed è un qualcosa che non dimentico”.

Il suo viaggio lo ha messo davanti alla sofferenza dei malati nelle case, ma anche negli ospedali. In particolare nella terapia intensiva del Papa Giovanni, dove un suo scatto è stato premiato con il Getty European Editorial Award: è la straziante immagine di un paziente che attraverso il casco dell’ossigeno cerca lo sguardo di un’infermiera. Un’immagine cruda, forte come un calcio in pancia. Per fare riflettere e riflettersi, almeno un po’, negli occhi di chi guarda.

Getty Di Lauro

 

 

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