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L'intervista

Draghi a Bergamo: Carlo Capra racconta i suoi anni in BCE con lui presidente

Uno sguardo che ci offre la prospettiva inedita di chi ha lavorato in BCE durante la Presidenza di Mario Draghi e che proponiamo nel giorno in cui il presidente del Consiglio compie la prima uscita pubblica, proprio a Bergamo, nella Giornata nazionale dedicata alle vittime del Covid 

Carlo Capra, bergamasco cresciuto ad Almé, nel dicembre 2016 è volato a Francoforte per entrare in Banca Centrale Europea (BCE), allora guidata da Mario Draghi, attuale presidente del Consiglio italiano. Dopo la laurea in Discipline Economiche e Sociali (DES) in Bocconi, Capra ha maturato importanti esperienze professionali prima in una banca (Londra) e poi in una società di consulenza strategica (Milano), gestendo progetti in diversi Paesi Europei. Classe 1983, e padre di tre bambini, in BCE Capra è Team Lead, e cioè guida un gruppo di lavoro di cinque nazionalità che si occupa della supervisione bancaria in cinque Stati Europei. Coordina anche progetti a livello europeo.

Quando nel 2012 Mario Draghi pronunciò il famoso “Whatever it takes” nel pieno della crisi del debito sovrano che aveva colpito l’Europa, Capra rimase particolarmente colpito dalla risolutezza e dal coraggio di quelle parole.

Uno sguardo, il suo, che ci offre la prospettiva inedita di chi ha lavorato in BCE durante la Presidenza di Draghi e che proponiamo nel giorno in cui il presidente del Consiglio dei ministri compie la prima uscita pubblica, proprio a Bergamo, nella Giornata nazionale dedicata alle vittime del Covid. 

“Era il 26 luglio 2012  – racconta Capra – e Draghi stava parlando a un forum di investitori a Londra, la città in cui mi trovavo anch’io e dove lavoravo per una banca d’affari. Ricordo bene l’effetto di quelle parole sui mercati. Con quelle poche parole Draghi riuscì a bloccare un processo che stava minacciando i Paesi più deboli dell’area euro, con ripercussioni sulla stabilità dell’unione monetaria. Ma ciò che mi colpì di più, e che spesso a mio parere non è sottolineato a sufficienza, furono le parole che pronunciò immediatamente dopo quel “Whatever it takes”.

E cioè?

Draghi aggiunse “Believe me. It will be enough” e cioè “Credetemi. Sarà sufficiente”. Parole molto potenti, una sfida doppia se pronunciate da un italiano. Draghi stava chiedendo fiducia, spendendosi in prima persona. Con quelle parole, credo che lui abbia cementato la sua credibilità e quella dell’istituzione che rappresentava. Perché la credibilità non è solo una questione di competenza ma anche di responsabilità: lui ha assunto su di sé l’onere di salvare l’Europa. Si è giocato in prima persona, senza riserve.

“Super Mario”, dunque, nasce così.

Mario Draghi è chiaramente un leader. Per quello che ho potuto vedere, ritengo abbia capacità fuori dal comune. Ma (e non me ne voglia) non credo sia un superuomo, un’idealità che attiene alla sfera del mito. È un uomo, e con una storia molto umana. Concreta, reale, fatta di fatiche, impegno, dedizione a valori alti, come quello europeo.

Una fonte di ispirazione, quindi, Mario Draghi.

Prima di arrivare in BCE ho lavorato con diversi senior manager di primarie società europee e istituzioni internazionali ma raramente ho trovato in loro una serie di caratteristiche che invece ho colto in lui.

Quali?

Innanzitutto, la visione di ampio respiro. La BCE è un’istituzione con un mandato molto forte a livello europeo. In lui e nelle sue parole, ho sempre colto chiaramente il senso storico, la missione e il ruolo primario della BCE nella realizzazione il progetto europeo. Negli incontri con lo staff spesso invitava ad avere questa ampia prospettiva, europea. Poi, la comprensione e la gestione della complessità. Una profonda capacità di analisi non solo economica e finanziaria ma anche, oserei direi, sociale, capace di considerare e ponderare ciò che avrebbe potuto influenzare le decisioni più complesse, quelle con il maggiore impatto. Il coraggio delle scelte, la risolutezza delle decisioni e la fermezza nel mantenerle mai disgiunte dalla valorizzazione del lavoro di squadra, verso cui non perdeva occasione per esprimere la propria gratitudine. Nel discorso interno di congedo dalla BCE frasi come “I have relied entirely on you” ovvero “Ho fatto completo affidamento su di voi” oppure “My success has been your success” e cioè “Il mio successo è stato il vostro successo” sono risuonate profondamente in chi lo ha ascoltato. E ancora la capacità di delegare, propria solo dei veri leader. Un’abilità di coinvolgere e un’umiltà di fondo nel chiedere tutto ciò che poteva apparire non chiaro. E infine una comunicazione seria, misurata come la scelta di ogni parola pronunciata nelle occasioni pubbliche.

Un Presidente che si ricorderà anche come abile comunicatore, quindi.

Mario Draghi riteneva strategica la comunicazione istituzionale al punto da averla, come funzione, sotto la sua diretta responsabilità. E alla cui guida c’era una donna. Una gestione professionale e seria .

Quando la BCE comunica, ogni singola parola può provocare movimenti tellurici sui mercati.

In BCE, come in ogni banca centrale, ogni parola conta. Ogni comunicazione esterna era, ed è tuttora, molto preparata.

Cosa le ha insegnato Mario Draghi?

Pur non avendo lavorato direttamente nel suo staff, ho imparato molto da lui, durante la sua Presidenza. Ho imparato a studiare sempre la realtà senza pregiudizi, ad interrogare i dati in modo serio per trovare le risposte. A non avere preconcetti ma, sempre, tanta umiltà intellettuale. Nell’emergenza Covid-19 questo è diventato evidente a tutti, credo. Non dare per scontato nemmeno le risposte alle domande più banali. E poi, Il senso delle istituzioni e il significato profondo dell’essere civil servant (come dicono gli anglosassoni). Essere cioè a servizio della società per realizzare un progetto collettivo che, in questo caso è l’Europa, casa comune dei cittadini europei. A fare sempre le cose al meglio delle proprie possibilità e con responsabilità: questo è un insegnamento molto caro al Presidente. E infine ad utilizzare le parole con intelligenza e cura, dando valore al silenzio.

Quanto conta la motivazione per lavorare in BCE?

Molto. Il rischio di diventare puri tecnici nell’accezione negativa che questa parola porta con sé, esiste. In BCE si lavora per un’Europa forte. Anche Mario Draghi spesso ribadisce l’importanza e il senso del progetto di integrazione europea. L’ha fatto anche nel discorso che ha inaugurato la sua presidenza del Consiglio Italiano.

Che premier sarà Mario Draghi?

Non posso dirlo io. Ma c’è un passaggio che vorrei sottolineare nel suo primo discorso al Parlamento: “Nell’appartenenza convinta al destino dell’Europa siamo ancora più italiani (..) Senza l’Italia non c’è l’Europa. Ma, fuori dall’Europa c’è meno Italia. Non c’è sovranità nella solitudine. C’è solo l’inganno di ciò che siamo, nell’oblio di ciò che siamo stati e nella negazione di quello che potremmo essere”. Per il resto non mi sbilancio: la politica riserva molte sorprese, spesso.

Per concludere, come state affrontando l’emergenza Covid in BCE?

Oggi lavoriamo in gran parte da remoto. Alcune funzioni essenziali vengono svolte in presenza. Lavorare da remoto presenta sfide ma anche grandi opportunità sia a livello personale che di gruppo. Permette di sviluppare nuove abilità manageriali, sperimentare nuove soluzioni e tecnologie. Nel mio team, investiamo molto in formazione, sviluppando le competenze utili ad affrontare questa situazione. È fondamentale avere chiare priorità, non appesantire i propri collaboratori più dello stretto necessario, focalizzarsi su ciò che è essenziale. Questo è ancora più importante quando si hanno tre bambini, tutti in età prescolare. E poi è fondamentale creare tempi, spazi e modi per nutrire lo spirito di gruppo e per condividere apertamente emozioni, difficoltà, problemi, senza remore. È una sfida stimolante. Ce la faremo.

* Le opinioni espresse da Carlo Capra nell’intervista sono personali e non riflettono necessariamente quelle dell’istituzione presso cui lavora (BCE).

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