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Un anno dopo

Marinoni: “Ma il sistema sanitario ha ancora gli stessi problemi”

Abbiamo chiesto al dottor Guido Marinoni, presidente dell'Ordine dei Medici di Bergamo, di delineare una panoramica su cosa è cambiato e cosa è rimasto inalterato dal febbraio 2020 a oggi

“A un anno dallo scoppio della pandemia il sistema sanitario non è cambiato: ha ancora le stesse criticità di prima”. Così il dottor Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei Medici di Bergamo, traccia un bilancio in merito all’organizzazione del territorio per affrontare l’epidemia da Coronavirus.

Da quando l’emergenza è cominciata da più parti si sono evidenziate diverse criticità relative soprattutto al tracciamento dei contagi, alla medicina del territorio e – nella prima fase – al reperimento di tamponi, reagenti e dispositivi di protezione individuale. Abbiamo chiesto al dottor Marinoni di delineare una panoramica su cosa è cambiato e cosa è rimasto inalterato dal febbraio 2020 a oggi.

Cos’è cambiato in termini organizzativi nel modo di affrontare la pandemia?

Onestamente non è cambiato molto. Il tracciamento è migliorato perché, nonostante l’importante carenza di risorse umane, i lockdown hanno consentito di riprendere il controllo della pandemia. A differenza di quanto è successo all’inizio, quando probabilmente già da qualche mese si stava diffondendo il contagio e poi si è moltiplicato in modo esponenziale andando fuori controllo, con il lockdown è stato possibile riprendere il tracciamento. Oggi sta proseguendo e possiamo contare sui dati reali dei contagi mentre allora, nemmeno a epidemia esplosa, non li avevamo.

Come mai?

I tamponi erano disponibili soltanto per i ricoverati: i dati, quindi, risultavano enormemente sottostimati mentre la letalità era sovrastimata. Per avere le reali proporzioni della pandemia, inoltre, è stato fondamentale cominciare ad avere i dati relativi ai tamponi eseguiti sul territorio: questo consente di intervenire con le chiusure quando servono, anche con i lockdown locali, cioè quello che si sarebbe dovuto fare a Nembro e Alzano Lombardo. A rendere possibile il tracciamento è stata la disponibilità dei tamponi antigenici rapidi e dei tamponi molecolari che, reperibili in numero sufficiente, consentono di mappare l’evoluzione della pandemia e le varianti di Covid, un altro aspetto su cui si sta intervenendo.

Oltre ai tamponi all’inizio della pandemia mancavano le mascherine

È un altro aspetto che fa la differenza: adesso le protezioni individuali ci sono, mentre allora non era possibile trovarle nemmeno sul mercato. Il problema non è mai stato se avessero dovuto pagarle i medici o qualcun altro: erano introvabili e per tutto il mese di marzo era stato impossibile reperirle. Questo ha comportato l’esplosione della pandemia e i morti non solo tra i pazienti ma anche tra i medici, in particolare i medici di medicina generale. L’impossibilità di avere le protezioni individuali è stata forse la cosa più grave in assoluto ed è un fattore decisivo per qualificare quello che è avvenuto e l’impreparazione che c’è stata nella prima fase. Si può capire, infatti, che inizialmente non ci fossero abbastanza tamponi ma la mancanza delle protezioni individuali è stata indegna per un Paese civile. Protezioni che – sempre con difficoltà e carenza – venivano distribuite a diverse e svariate categorie ma non ai medici di medicina generale per i quali risultava impossibile acquistarle.

Per la medicina territoriale, invece, è cambiato qualcosa?

Per la struttura del sistema sanitario non è cambiato nulla. Le carenze di risorse umane si sono aggravate: molti medici del territorio sono andati in pensione e non si è intervenuti sul personale di supporto negli studi medici. È stata istituita la figura dell’infermiere di famiglia comunque in ritardo e con un ruolo che ancora non si capisce bene quanto sia veramente integrato con i medici che operano sul territorio. A Bergamo su questo aspetto è stato fatto molto per evitare questo rischio e c’è qualche segnale positivo. Per quanto riguarda la riforma del sistema lombardo che ha mostrato tutte le sue carenze in un momento di stress test, invece, se ne sta parlando ma non è stato fatto assolutamente nulla: tutti i problemi organizzativi della catena di comando sono completamente inalterati… Il vero obiettivo adesso è la campagna vaccinale.

Ci spieghi

Per svolgerla ancora una volta c’è una grande disponibilità dei medici di famiglia che in Lombardia per primi in Italia hanno sottoscritto un accordo regionale che li rende disponibili per le attività vaccinali e speriamo che vengano coinvolti. Ad oggi sono stati impiegati solo con il ruolo di data entry per le adesioni degli ultraottantenni e questo ha finito col ritardare lo svolgimento del lavoro negli ambulatori: la situazione sarebbe diversa se negli studi medici ci fosse personale amministrativo ma generalmente ne sono sprovvisti.

Le criticità del sistema, dunque, non sono cambiate?

Sostanzialmente sono le stesse di un anno fa. A fare la differenza sono stati i lockdown e la disponibilità delle protezioni individuali: non si è intervenuti per risolvere i problemi del sistema sanitario. Non ci si può fermare a questo: al momento la priorità è vaccinare e il coinvolgimento dei medici di famiglia è fondamentale anche perchè altre persone non ci sono. Al di là del personale che ha vaccinato gli operatori sanitari, che è quello delle SST ed è numericamente limitato, il bando Arcuri è pressochè fallito per quanto riguarda la Lombardia. Volontari non se ne trovano perchè bisogna cercarli tra i medici pensionati e fra loro moltissimi stanno continuando a svolgere la propria professione mentre gli altri non sono in condizioni di lavorare, così se ne trovano pochi.

La disponibilità dei medici di medicina generale, dunque, è fondamentale?

Le uniche risorse sul territorio sono loro, nonostante il sovraccarico di lavoro che hanno per la gestione dei malati cronici cercando di supplire alle carenze del mondo ospedaliero impegnato nella lotta contro il Covid. Malgrado questo sovraccarico possono fare turni per eseguire le vaccinazioni anti-Covid, magari mettendo a disposizione mezza giornata una volta alla settimana nelle strutture vaccinali piuttosto che essere una preziosa risorsa nella definizione delle vaccinazioni a domicilio per gli ultraottantenni.

A suo parere, quindi, com’è stata la gestione della pandemia a livello di territorio nell’arco di quest’anno?

C’è stata un’assoluta mancanza di interventi strutturali, si sono rincorsi i problemi e si sono messe le pezze che il tempo ha consentito di mettere ma il sistema non è cambiato e ha le stesse criticità di un anno fa.

Per concludere, da dove comincerebbe per un nuovo inizio?

L’auspicio è che si smetta di parlare e si comincino a fare le cose, si ridisegni un sistema lombardo in grado di funzionare, si investa sul territorio e sulla sua organizzazione e si tenga ben presente quali sono le indicazioni che ha dato da più di un mese Agenas – Agenzia Nazionale per i servizi sanitari regionali – che rappresentano un’analisi condivisibile della realtà lombarda.

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