Il 23 febbraio 2020 a Bergamo vennero diagnosticati i primi tre casi di contagio da Covid-19 in Bergamasca: negli ospedali di Alzano, Seriate e Bergamo.
Lo stesso giorno (era una domenica) i sindaci della provincia di Bergamo ricevono un messaggio per presentarsi nel centro congressi Giovanni XXIII per affrontare l’emergenza di un virus che, ancora, sembrava così lontano da casa.
Successivamente inizierà la storia tragica che vede tristemente protagonista il territorio bergamasco.
Un anno di terribili sofferenze, zone rosse, divieti, distanze, lutti e mancanze che proprio oggi, martedì 23 febbraio 2021, trova un suo primo anniversario, in ricordo delle vittime della pandemia e della vita come la conoscevamo prima.
Giorgio Gori sarà ricordato, anche, per essere stato il sindaco della città più martoriata dal quel virus che continua a tenere il mondo su un filo teso. Il sindaco di Bergamo: diventata tristemente nota a livello mondiale come focolaio del Covid-19.
Un sindaco, ma anche un uomo, un padre, un marito, un figlio. Che ha vissuto, come tutti, le preoccupazioni di quei giorni terribili in cui si è capito che un virus che sembrava essere lontano era, invece, in casa. E che, un anno dopo, ripensa a cosa si stava facendo, chi si era visto e dove si era poche ore prima che la vita normale venisse totalmente stravolta.
Abbiamo quindi deciso di intervistare l’uomo. Non il sindaco.
Con le fragilità, le perdite di amici cari e le preoccupazioni per i genitori anziani e le figlie lontane, all’estero. Con la forza e la solidità ritrovata nella famiglia riunita.
Con le nostalgie della vita passata e delle “ultime volte” che non è stato più possibile rifare: “Mi ricordo quando sono andato a vedere con mio figlio la partita allo stadio di San Siro: Atalanta-Valencia. La famosa partita che, certamente, ha dato un’accelerazione al contagio. Un’atmosfera di gioia, festa e totale inconsapevolezza e ingenuità. Momenti così mi mancano molto. Come andare al cinema. E viaggiare”, racconta il sindaco.
Con i rimpianti e i “se solo avessimo saputo”.
“In quei giorni ricordo che stavo cercando di capire, come tutti, come era possibile che in pochi giorni e in poche ore una situazione così lontana fosse arrivata sotto casa – racconta Gori – Quella domenica la ricordo perché per l’ora di pranzo erano arrivate le notizie dei primi contagi, ma poi, in realtà, abbiamo scoperto che non erano i primi. E poi quella riunione con tutti i sindaci: folle, con il senno di poi. Se solo l’avessimo saputo prima, forse la situazione poteva cambiare”.
Ma nessuno poteva saperlo.
“Tutti quanti, io compreso, abbiamo pensato che questo virus ci avrebbe sì sfiorato, però toccato marginalmente e che in poche settimane si sarebbe ricomposto. Forse, in fondo, bastava essere più prudenti, osservando quelle regole di comportamento che iniziavamo a sentire da lontano e che adesso fanno parte della nostra quotidianità. Ma anche gli stessi virologi non lo sapevano, ci dicevano che fuori dalla zona rossa di Codogno la vita poteva andare avanti tranquillamente e che non c’era ragione di comportarsi diversamente da una semplice influenza”, continua Gori.
Il sindaco ricorda, anche, quando aveva incoraggiato i cittadini ad uscire, con lo slogan “Bergamo non si ferma”: “Dicevamo di farlo, di uscire, dicendo di avere fiducia e di essere prudenti. Ovviamente era un errore. C’era una grande sottovalutazione di quello che stava accadendo. Forse eravamo ancora tutti troppo e scioccamente attaccati alla vita normale, non riuscendo da subito ad accettare il suo stravolgimento”.
Il triste anniversario che vede Bergamo protagonista non può che avere, dentro di sé, un augurio. E quello di Giorgio Gori per la sua città è quello di vivere, finalmente, veramente, il suo Riscatto che tanto si merita: “So che i cittadini sono molto stanchi, lo so bene. La paura ha lasciato passo alla stanchezza. Ma spero che questo sia l’ultimo miglio. Superiamo quello che abbiamo affrontato e continuiamo a rendere Bergamo simbolo di forza, resistenza e rinascita. Per l’ anno che verrà”.
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