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Report 19-25 gennaio

Timidi segnali di rallentamento del contagio, Bergamo quart’ultima in Italia

I dati sono l'effetto delle restrizioni delle festività natalizie

Nonostante l’epidemia si trovi ancora in una fase molto delicata, con possibilità di forte ripresa in caso di eccessiva riduzione delle misure, questa settimana (dal 19 al 25 gennaio) ha denotato timidi segnali di rallentamento del contagio. Se le restrizioni di fine anno avevano stabilizzato l’epidemia, quelle che hanno seguito la chiusura delle festività hanno quindi iniziato a manifestare, in modo più chiaro, i loro effetti positivi. Dimostrando ancora una volta che per contrastare la diffusione della Covid-19 il modo più efficace è costituito dalle zone rosso/arancione, con forti limitazioni agli spostamenti.

I segnali di rallentamento che arrivano dalla settimana epidemiologica appena conclusa (dal martedì al lunedì successivo come di consueto), riflettono in larga parte i contagi avvenuti nel periodo 6-12 gennaio, quando tutto il territorio italiano era soggetto a misure di mitigazione omogenee (sappiamo che occorrono 10-15 giorni per avere riscontri validi). I nuovi casi a livello nazionale sono stati 85.300 contro 101.086 della settimana precedente (-15.786 nuovi casi; -15,6%). La media giornaliera scende a 12.186 da 14.441. Gli attualmente positivi in Italia scendono per la prima volta da settimane sotto i 500mila: 491.630.

La curva resta sostanzialmente stabile anche per quanto riguarda il numero di decessi, 3327, rispetto ai 3351 della settimana precedente; il numero complessivo delle vittime sale a 85.881. Diminuisce invece la pressione sulle terapie intensive 2.421 conto 2.544. Scendono anche i ricoveri in Area Covid da 22.884 a 21.424. L’Rt nazionale medio è intorno all’1.

L’incidenza dei nuovi casi, se pur in decrescita, è tuttavia ancora lontana da livelli che permetterebbero il completo ripristino sull’intero territorio nazionale dell’identificazione dei casi e tracciamento dei loro contatti. Il servizio sanitario ha mostrato i primi segni di criticità quando il valore a livello nazionale ha superato i 50 casi per 100.000 in sette giorni e una criticità di tenuta dei servizi con incidenze elevate; è quindi quello il livello ottimale a cui bisogna giungere. Attualmente l’indice è circa quattro volte tanto.

In Lombardia, sempre la Regione più colpita, la settimana epidemiologica 19-25 gennaio si è chiusa con 11.403 nuovi casi, in calo del 13% dai 13.109 della settimana precedente (-1.706 nuovi casi). La media giornaliera scende a 1.629. Il valore dell’Rt è a 0,90. Invariato il numero dei decessi settimanali (433 vs.430); diminuiscono i ricoveri in Terapia Intensiva, da 449 a 407.

In provincia di Bergamo abbiamo avuto 529 nuovi casi, in calo dai 545 del periodo precedente. Scendono di numero anche le persone decedute da 8 a 4, i ricoveri in T.I., da 31 a 22 e quelli in Area Covid, da 210 a 181.

Il rapporto contagi/100.000 abitanti è sceso a 45, valore che porta la Bergamasca al quart’ultimo posto in Italia. Le province lombarde che hanno l’indice più alto sono: Mantova (190), Sondrio (185), Brescia (177), Como (170).

Le varianti del virus

Il focus odierno riguarda le varianti del virus e sulle potenziali conseguenze sulla campagna vaccinale. Prendiamo in considerazione le due che al momento destano maggiore preoccupazione: quella inglese e quella brasiliana. Entrambe caratterizzate da una contagiosità (espressa dal valore di R0) molto superiore a quella del Sars-CoV-2 nella sua forma originale, per il quale viene generalmente indicato un R0 di 2,5. La variante brasiliana, in aggiunta, sembra essere in grado di eludere almeno in parte la risposta anticorpale: perché la sua proteina Spike ha cumulato una serie di mutazioni che ne rendono più difficile il riconoscimento da parte degli anticorpi sviluppati in seguito all’infezione con il virus originario. In altri termini: venendo a contatto con la nuova variante, i soggetti che in passato si sono ammalati di Covid-19 si possono ammalare di nuovo. Gli studi in corso dovranno chiarire con quale frequenza questo accade, e soprattutto se i vaccini disponibili forniscono protezione anche contro questa variante o se dovranno essere sottoposti a una modifica.

La maggiore contagiosità ha delle possibili ricadute su due aspetti chiave: l’immunità di gregge e la copertura minima vaccinale necessaria per ottenerla. Partiamo dall’immunità di gregge, che si calcola con una formula matematica. Il risultato ci dice che per arrivare a raggiungerla dobbiamo avere almeno il 60% della popolazione in grado di opporre una risposta anticorpale. Questo in condizioni ideali, che di fatto non si verificano praticamente mai: perché a modificarle intervengono fattori come la densità di popolazione, i diversi comportamenti individuali, l’adozione (o non adozione) di contromisure e molti altri ancora. Che rendono l’R0, di fatto, una variabile: ma in genere viene utilizzato come un valore stabile, presumendo che all’interno di una determinata popolazione tutti i soggetti abbiano identiche possibilità di infettarsi e di trasmettere l’infezione.

L’efficienza del vaccino

Arrivati a questo punto, al concetto di immunità di gregge dobbiamo abbinare quello dell’efficienza del vaccino: in termini molto semplici, quante persone rende immuni su 100 vaccinati. Tutti i vaccini, anche quelli non ancora approvati, sembrano poter arrivare al 95%. Per definire la copertura minima vaccinale (quanti soggetti dobbiamo vaccinare e rendere immuni per ottenere la protezione dell’intera comunità) dobbiamo dividere il dato dell’immunità di gregge per quello dell’efficienza del vaccino: 0,6 (immunità di gregge per il Sars-CoV-2 originario) diviso 0,95 (il vaccino immunizza 95 persone su 100). Il risultato (0,63) ci dice che per ottenere l’immunità di gregge dobbiamo vaccinare il 63% della popolazione.

Torniamo a questo punto alle varianti, che essendo più contagiose impongono un ricalcolo rispetto a quanto fatto: con un R0 più alto, dal 2,5 al 4,0, l’impatto sulla teorica immunità di gregge sale e porta alla conseguenza che dovremmo avere il 75% della popolazione protetta da anticorpi per raggiungere l’immunità di gregge. Incrociando questo dato con l’efficacia del vaccino (95%) e applicando la stessa formula matematica, il risultato è 78,9, quindi dobbiamo vaccinare il 79% della popolazione per arrivare all’immunità di gregge. Un livello molto più alto di quello (63%) ricavato utilizzando i parametri del Sars-CoV-2 originario. Nel caso in cui una variante fosse in grado di eludere una parte della risposta anticorpale, e quindi diminuisse l’efficacia del vaccino, il calcolo cambierebbe ancora, arrivando addirittura all’88%.

Tutte queste ipotesi, espresse con molte semplificazioni, sono al momento ancora alle prime fasi di studio, perché nella realtà gli elementi che concorrono al risultato finale sono molteplici e influiscono in modo diverso in popolazioni diverse (anche all’interno della stessa nazione o regione). Inoltre, perché i risultati di cui si è detto si verifichino, la variante dovrebbe essere non più “una delle forme del virus”, ma l’unica circolante o perlomeno quella largamente prevalente. L’esempio è comunque utile per capire come si arrivano a definire i parametri chiave, e perché la comparsa di varianti debba essere monitorata con estrema attenzione.

Meno persone vaccinate

Questa settimana sono state vaccinate meno persone rispetto al previsto, poco più di 200.000, per un totale di 1.416.000; di queste risultano immunizzate, avendo fatto anche la seconda dose, 132.739 persone. La causa delle poche somministrazioni è dovuta ai ritardi nelle consegne da parte di Pfizer delle dosi di vaccino anti Covid. Il governo è stato quindi costretto a rivedere la tabella di marcia del piano vaccinale. Secondo quanto annunciato dal viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri, “questi tagli faranno slittare di circa quattro settimane i tempi previsti per la vaccinazione degli over 80 e di circa 6-8 settimane per il resto della popolazione”. Al momento dunque la priorità verrà data ai richiami. Poi, come ha sottolineato Sileri, “solo fra due settimane, quando verosimilmente ci sarà stata l’approvazione del vaccino di AstraZeneca e Pfizer tornerà a fornire a pieno regime le dosi previste, avremo a disposizione tre vaccini, insieme anche a Moderna, che ci consentiranno di completare la vaccinazione per medici e infermieri e cominciare con gli over 80. Confido che il ritardo possa essere colmato più avanti”.

Nel frattempo sono state vaccinate oltre 66 milioni in tutto il mondo, di cui solo lo 0,07% coperte anche dalla seconda dose. Su tutte spicca sempre il dato di Israele con il 44% di abitanti che hanno già ricevuto la prima dose. Essendo prossimo al 60%, diventa ora interessante monitorare l’impatto che il vaccino avrà sulla curva dei nuovi casi.

Nel mondo si sono raggiunti i cento milioni di contagiati dall’inizio della pandemia: i casi confermati (alla sera del 25/01) sono esattamente 99.268.840. Le vittime del Covid-19 invece hanno superato i due milioni in tutto il pianeta (2.130.000). I più colpiti in assoluto dalla pandemia restano gli Stati Uniti con oltre 25 milioni di casi, ma soprattutto con di più 400mila morti, circa il 20% di quelle globali. A seguire l’India con oltre 10 milioni di contagi accertati (e oltre 153mila vittime) e il Brasile con quasi 9 milioni di positivi e 217mila persone che hanno perso la vita per le conseguenze del Covid-19.

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