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Gigi riva

“Quando Maradona mi disse: occupati di politica, il calcio è una cosa troppo seria”

Il giornalista bergamasco, firma dell’Espresso, racconta le due occasioni in cui si trovò faccia a faccia con Diego Armando Maradona: “Iniziai a guardarlo con occhi diversi: è sempre stato il figlio di Villa Fiorito, gli eccessi erano solo una difesa”.

1986, aeroporto di Parigi. Gigi Riva, allora giovane giornalista bergamasco de Il Giorno, alza la cornetta di un telefono pubblico e chiama la redazione: “Sono sullo stesso volo di Diego Armando Maradona”. 

In un’epoca in cui i telefoni cellulari erano tecnologia riservata a pochi, l’occasione dello scalo francese di un volo Milano-New York era unica per ricevere istruzioni: “Ero stato inviato in America per un servizio sul mondo che si stava spostando verso Ovest, ma mi chiesero un’intervista con lui, ovviamente”, racconta Riva.

Altrettanto ovviamente, Maradona la domenica prima era stato protagonista di uno dei tanti episodi controversi della sua carriera: “Una volta risaliti a bordo, attesi di avere il permesso di alzarmi e dal mio posto in Economy mi diressi in Business per parlare con lui – continua – Ricordo come fosse oggi la scena: aveva il sedile completamente reclinato e indossava dei rayban scuri. Mi avvicinai, mi presentai e chiesi la possibilità di intervistarlo. Mantenendo quella posizione, Maradona alzò solamente gli occhiali e mi rispose: ‘Un’intervista? Non so nemmeno chi sei, non ti ho mai visto allo stadio..’. Gli spiegai che non poteva avermi visto perchè mi occupavo di politica internazionale. Quello che mi disse, declinando il mio invito, mi spiazzò: ‘Continua a occuparti di politica internazionale, il calcio è una cosa troppo seria’. Lì per lì la reputai una buffonata, solo in seguito ne capii il senso: lui sapeva già cosa era diventato quel mondo, ne aveva compreso prima di tutti i meccanismi e gli intrecci con politica ed economia”. 

Ma quella frase tornerà con insistenza nella mente di Gigi Riva 30 anni più tardi, nel 2016, in occasione dell’uscita del suo libro “L’ultimo rigore di Faruk”, che racconta dello stretto legame tra “futbol” e politica negli anni dei sanguinosi conflitti dei Balcani.

“Stavo scegliendo l’esergo del mio libro e per la mente mi passarono moltissime frasi celebri pronunciate da scrittori e letterati sul calcio – ricorda Riva – Poi ebbi quel lampo: si adattava perfettamente al tema che stavo trattando e oltretutto, avendola detta direttamente a me, era una frase ancora inedita, rimasta solo nella mia memoria fino a quel momento”. 

Ma non è l’unico episodio che lega le storie professionali di Gigi Riva e Diego Armando Maradona, che si ritroveranno faccia a faccia quattro anni più tardi, durante il Mondiale italiano.

“All’epoca era consuetudine che i giornali facessero seguire queste manifestazioni da un giornalista sportivo e da un giornalista di cronaca, al quale erano affidati pezzi di colore – racconta Riva – Il mio compito, all’inaugurazione di Italia ’90, fu quello di dover raccontare la giornata di Maradona. Impresa non semplice, visto che nei grandi eventi è sempre difficile avvicinare i protagonisti al di fuori dei pochi minuti istituzionali che ci vengono concessi. Oltretutto l’Argentina esordiva a San Siro, in uno stadio ‘nemico’ di Diego che era fresco di tricolore con il Napoli: lo fischiarono per tutta la partita, senza sosta e il Camerun, a sorpresa, vinse 1-0. Con gli organizzatori, però, mi ero assicurato la possibilità di fare una domanda in conferenza stampa”.

Un’unica occasione, proprio come 4 anni prima sul volo per New York: “Gli chiesi: ‘Diego, quanto male ti hanno fatto i fischi di Milano?’. Non ci pensò nemmeno un secondo prima di rispondere: ‘Perchè male? Sono riuscito a fare dell’Italia un Paese non razzista’, intendendo che i tifosi invece che sbeffeggiare i ‘neri’ africani si erano accaniti su di lui. Dimostrò, in pochi secondi, un’intelligenza animale superiore, che non era quella della cultura ma era quella intuitiva della strada: iniziai a guardarlo con occhi diversi, non più come il simbolo degli eccessi e dell’edonismo, l’uomo delle amicizie equivoche, ma come il figlio di Villa Fiorito che è sempre stato. Quella era la vera essenza di Maradona che nessuno ha mai colto, perchè gli eccessi erano per lui solo un’arma difensiva”. 

Due incontri che in eredità gli hanno lasciato due frasi memorabili, tornate di prepotente attualità nel giorno in cui il mondo, non solo quello del calcio, ha dato l’ultimo saluto, molto probabilmente, al più grande che si sia mai esibito su un rettangolo verde: “Da atalantino lasciatemelo dire – conclude Riva – La morte di Maradona ha oscurato anche l’incredibile impresa dell’Atalanta ad Anfield contro il Liverpool. Faccio sempre fatica a scomodare la parola ‘Dio’, ma se la intendiamo nell’accezione pasoliniana del termine, secondo cui il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo, possiamo tranquillamente dire che tutto passa in secondo piano quando muore il Dio laico“. 

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