“Nell’era della digitalizzazione il vero patrimonio dell’azienda è rappresentato dalla conoscenza e la velocità nel rispondere alle esigenze del mercato farà la differenza”.
Così Gianluigi Viscardi, presidente Digital Innovation Hub Lombardia e ceo di Cosberg, commenta i cambiamenti in corso nel mondo delle imprese.
L’emergenza Coronavirus, che in molti casi comporta la necessità di riorganizzare le attività, sta evidenziando l’importanza di sfruttare le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie. Abbiamo intervistando Gianluigi Viscardi chiedendogli un parere sulle opportunità da cogliere nel prossimo futuro.
Essere competitivi è quanto mai necessario in un mondo digitalizzato. Cos’è e che cosa rappresenta la digitalizzazione per un’azienda come la Cosberg?
Penso che la competitività sia sempre stata un problema cruciale, specialmente per le piccole e medie imprese. Nell’era della globalizzazione, l’internazionalizzazione richiede di avere una competitività che va preparata in funzione di quanto mercato si debba soddisfare. Sicuramente la digitalizzazione, che oggi è sulla bocca di tutti come vent’anni fa lo era l’innovazione, in questo periodo non facile ha fatto emergere tante potenzialità che ci aiutano a effettuare cose che prima non facevamo come le videoconferenze e molto altro. Alla luce di queste considerazioni, però, mi sorge spontanea una riflessione.
Quale?
In questo periodo non sono state inventate nuove tecnologie, quindi perché non le abbiamo usate prima? Lo dico perché Digital Innovation Hub Lombardia aiuta le piccole imprese nel saper sfruttare tutte quelle tecnologie che sono a portata di mano delle aziende. Una volta non era così, dotarsene era molto costoso, mentre ora avvalersene è importantissimo: a prescindere dal loro nome – possono chiamarsi intelligenza artificiale o in altri modi – devono essere declinate nelle piccole e medie imprese. Cosberg, per esempio, è partita prima cominciando dalla registrazione della conoscenza, che rappresenta il suo vero patrimonio.
In che cosa consiste?
Produciamo macchine speciali: ogni giorno prepariamo il vestito su misura per quello che serve al nostro cliente, quindi dobbiamo sfruttare tante tecnologie per essere all’avanguardia. Abbiamo bisogno di grandi tecnici e investiamo molto in ricerca e innovazione ma, come avviene in parecchie aziende che svolgono questo tipo di lavoro, il turnover si attesta al 20%. Quando un tecnico se ne va crea un danno all’azienda, così abbiamo cominciato a registrare la conoscenza, cioè a lavorare in modo oggettivo anziché soggettivo. Quello che fa deve diventare patrimonio suo ma anche dell’impresa in modo che la sua eventuale uscita dall’organigramma non determini problemi. È il “problema degli intangibili”: abbiamo sempre valutato le aziende in funzione degli immobili, degli utensili e dei terreni ma nell’era della digitalizzazione il valore è rappresentato dalla conoscenza.
Va inserito anche a bilancio?
Le multinazionali usano questo parametro, mentre nelle piccole realtà è importante che l’imprenditore ne sia consapevole. Il 50% del valore dell’impresa è costituito da conoscenza e know-how: abbiamo delle eccellenze ed è fondamentale che tutta la conoscenza diventi patrimonio dell’azienda.
Nell’era Covid o post-Covid cambierà il modo di valutare la conoscenza?
Sicuramente. Si sta parlando molto di intelligenza artificiale, teleassistenza e smartworking: se l’azienda è preparata per lavorare da un altro luogo rispetto alla sede, essere collegata con tutti diventa un valore importantissimo. È un lavoro che digital sta conducendo per misurare la maturità digitale di un’impresa e intraprendere un percorso di digitalizzazione.
E quanto sono digitali le nostre aziende?
C’è molto da fare ma, a differenza di quanto possa sembrare osservando tante statistiche, non siamo così arretrati. Si sta lavorando molto e investendo su questo fronte.
Il Covid ha mostrato molte debolezze della globalizzazione. Per esempio, alcune filiere delocalizzate negli altri Paesi hanno messo in difficoltà la nostra produzione: come si possono evitare questi blocchi? Si può tornare a produrre poco ma tutto nel nostro Paese?
È verissimo, le filiere stanno diventando sempre più corte, ma aggiungerei un altro aspetto molto importante: stiamo andando nell’era della personalizzazione dei prodotti e per poter rispondere alle esigenze del mercato bisogna essere velocissimi. Le fabbriche, cioè, devono realizzare lotti piccoli e veloci. Per contenere i costi la produzione veniva delocalizzata e trascorrevano mesi, ma questo non è più possibile. Per indicare questo concetto potremmo utilizzare la metafora del Gran Premio.
Ci spieghi
Il Gran Premio si vince nel pit-stop dove interviene il capitale umano: nelle aziende corrisponde al cambio produzione e su questo aspetto siamo ancora arretrati. Prima non valeva la pena produrre i piccoli lotti e ci si rivolgeva ai Paesi low cost mentre con la digitalizzazione i cambi di produzione sono molto più rapidi ed è più conveniente realizzarli qui utilizzando le nuove tecnologie. Il mercato sta chiedendo lotti sempre più piccoli e le aziende che si adatteranno a essere flessibili e riusciranno a rispondere più velocemente possibile saranno vincenti.
Che cosa suggerisce ai giovani?
Credo molto nei giovani e cerco di dare loro l’opportunità di esprimere il proprio talento. Tante volte le aziende vogliono il giovane che abbia già esperienza ma se non cominciamo a farli lavorare non è possibile. Alla Cosberg, per questo, ogni anno inseriamo due o tre ragazzi non specializzati che intraprendono un percorso. D’altro canto, i ragazzi devono anche saper aspettare e non voler tutto subito, avere l’istruzione di base ma al tempo stesso saper ascoltare e “rubare il mestiere” perché sono loro la vera tecnologia abilitante.
Per concludere, la sua impresa è molto attenta alle donne. Qual è l’importanza di una figura femminile in un’azienda tecnologica come la sua?
Non faccio distinzione tra uomo e donna: quando leggiamo il curriculum non ci soffermiamo sul nome ma scegliamo in funzione della preparazione e, se si tratta di giovani, di dare l’opportunità di entrare in azienda. Nel nostro organico, in effetti, abbiamo più donne che uomini, specialmente nell’ufficio commerciale perché sono più metodiche, hanno una marcia in più e crediamo molto nell’importanza di valorizzarle. A fare la differenza, in ogni caso, sono le capacità e ciò che si dimostra di fare.
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