Ma a Bergamo è iniziato il lockdown? Osservando le vie del centro città non si direbbe. Camminando non si può fare a meno di tornare con la mente a quelle stesse strade durante la prima serrata da marzo a maggio. Ma se allora erano deserte, con nessuno che passeggiava (a parte pochi avventori in giro con il cane) e con le serrande di tutti i negozi tristemente abbassate, adesso, mesi dopo, durante il primo giorno con la rinnovata zona rossa a Bergamo, la situazione è ben diversa.
C’è gente in giro. E tanta. È univoca la percezione. Dopotutto, non può che essere così: le nuove regole non impongono un blocco totale. È ancora permesso uscire per andare al lavoro (che siano aziende o pubblica amministrazione), dal parrucchiere o prendere un caffè d’asporto. Persino andare al mercato.
Mancano, invece, le forze dell’ordine. Almeno nel primo giorno, forse anche per dare il tempo a tutti di adeguarsi, nelle vie centrali non si vedono agenti di polizia o carabinieri annunciati nelle scorse vigilare sul mantenimento delle regole imposte dal Governo per contenere i contagi.
I commercianti, fortemente colpiti dall’ultimo Dpcm tanto da essere i primi a manifestare in piazza per la “libertà violata”, cercano di reagire e di restare a galla. Perché, anche se la gente per strada c’è, non è sufficiente per mantenere in vita un’attività con costi di gestione e dipendenti.
L’asporto e la consegna a domicilio sono le soluzioni adottate da tutti. “Abbiamo perso tanti clienti. Ora facciamo solo delivery. Siamo fortemente intaccati dalle ultime regole: fino a una settimana fa potendo fare il pranzo era diverso, ma ora siamo in perdita”, racconta Antonio Danese della pizzeria Bella Napoli in via Sant’Alessandro.
“Siamo tutti quanti trainati da una grande voglia di ricominciare, cercando di adattarci alle contingenze. Noi, ad esempio, abbiamo attivato la consegna a domicilio dei nostri libri. Ci proviamo, anche per non lasciare tutto il settore librario ai grandi competitor”, aggiunge PierPaolo Arnoldi dell’omonima libreria in centro.
Non tutti, però, sono fiduciosi: esasperati dalla situazione che impone ad alcuni commercianti del centro di rivedere il proprio futuro. “La situazione non è bella, forse chiuderemo”, spiega amaramente Michele Losapio del panificio el Pan d’na volta in Via XX Settembre.
Anche il suo vicino, la storica pasticceria Balzerino, è pronta a valutare una chiusura: “Noi rimarremo aperti solo come asporto di pasticceria. Ma temo che il gioco non valga la candela. Lavoriamo un decimo di quello che facciamo normalmente e questo a causa di decisioni prese in modo troppo avventato”, rincara il titolare.
Una scelta già presa dal Tassino Caffè in Piazza Pontida, che ha deciso di chiudere direttamente: “L’asporto per un locale come il nostro che non fa da ristorante non è sufficiente per rimanere a galla. Speriamo di riprendere presto”, racconta il titolare Federico.
Altri bar del centro, invece, hanno deciso di spostare il bancone della caffetteria all’esterno così da garantire il servizio con l’asporto. “Abbiamo fatto questa scelta. Sinceramente però sono un po’ arrabbiato: c’è in giro parecchia gente e questo significa che i cittadini rifiutano ogni imposizione, non capendo che ci danneggerà tutti quanti”, dichiara Norberto Nava del Maialino di Giò in Piazza Pontida.
Di fronte al quale nella mattinata di venerdì (6 novembre), si è svolto normalmente il tradizionale mercato quindicinale: “Possiamo perché lo stand vende prodotti biologici. Purtroppo non c’è tanto via vai perché la gente non sapeva che ci fossimo anche oggi”, commenta il signor Bruno, volontario della cooperativa bergamasca Biplano.
“Ho comprato un bar e mi trovo un chiosco – ironizza Luca Serangeli del bar Calù in via Borfuro – Con il bancone esterno posso dare il caffè d’asporto e, per fortuna, qualche cliente c’è. Sopravviviamo”.
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