Aveva annunciato la riapertura della trattoria a modo suo, con un bigliettino colorato e due frasi in rima all’ingresso del locale. E una data: martedì 20 ottobre, esattamente una settimana fa. A differenza di altri colleghi, era rimasta chiusa per scelta. Nella speranza che l’emergenza potesse finire, e le restrizioni essere un po’ allentate. Questo per non snaturare troppo la filosofia che da sempre contraddistingue ‘da Giuliana’: un’istituzione della vita sociale, ancor prima che della cucina bergamasca. Di sti tempi, però, può essere un problema. E bello grosso anche.
“Proprio adesso che avevo deciso di riaprire mi cambiano le regole…”. Giuliana D’Ambrosio, proprietaria della storica trattoria di via Broseta, il suo locale non l’ha mai visto così. “È tutto un silenzio, tutta una pace…”. Lunedì, primo giorno dall’entrata in vigore del nuovo Dpcm, ha contato 62 clienti. Pochi per lei. Più o meno un terzo di quelli a cui era abituata prima del Covid. “Qualcuno è entrato a salutare, ma poi non si è fermato per la paura del virus – racconta -. Anch’io ne ho, ma cerco di fare attenzione con mascherina e distanze”. Ora, come tanti altri ristoratori, si trova in un limbo: proseguire a oltranza o abbassare di nuove le serrande? Giuliana, al momento, non esclude la seconda ipotesi. “Con tutta la buona volontà, ma a queste condizioni non ci sto… Mi tocca richiudere”.
Da vera padrona di casa ci guida per il locale, mostrando i tavoli allargati e i divisori acquistati per il distanziamento, il “prova febbre” e “i boccettini per le mani”, come chiama lei scanner di temperatura e gel igienizzanti. Dove prima c’era il frequentatissimo self-service con le verdure, ora ci sono dei fiori. Insomma, sembra volerci mostrare tutta la sua buona volontà. “Il Decreto? Una mazzata… Ci chiedono di restare aperti fino alle 18, ma dalle 15 in poi non viene nessuno. Cosa facciamo in quelle ore? Non siamo una pasticceria”.
Mercoledì parteciperà alla manifestazione #siamoaterra, organizzata sul Sentierone “per ricordare il valore economico e sociale del settore” e “chiedere alla politica un aiuto per non morire”. Una cinquantina di imprenditori, vestiti di nero, saranno seduti con le gambe incrociate, distanziati l’uno dall’altro di un metro. A terra verranno posizionate delle tovaglie con quattro postazioni, ciascuna con piatto, posate, cristallerie messe simbolicamente a testa in giù.
Tra chi proverà ad andare avanti con delivery e asporto e chi, invece, è convinto che da soli non basteranno a sostenere le spese, il Consiglio dei ministri dovrebbe riunirsi entro fine mese per gli indennizzi destinati alle categorie più colpite. Le imprese che dovranno chiudere totalmente (cinema, teatri, palestre, piscine, centri benessere, sale gioco, sale scommesse, bingo, discoteche) avranno un contributo a fondo perduto più rilevante di quelle che dovranno ‘staccare’ alle 18 (ristoranti, agriturismo, bar, gelaterie, pasticcerie), ha spiegato il viceministro bergamasco all’Economia Antonio Misiani. I contributi potrebbero arrivare già entro metà novembre.
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