L’economia bergamasca sta bene, ma non benissimo. Sul sistema Bergamo, che si qualifica per una manifattura avanzata che ha prodotto innovazione, crescita, lavoro e benessere diffuso si proiettano alcune ombre che rischiano di oscurare il “posto al sole” guadagnato dalla nostra provincia, tra le più industrializzate del Paese.
Due criticità su tutte: l’insufficiente formazione dei lavoratori e la non soddisfacente inclusione delle donne nel mercato del lavoro, soprattutto se confrontata con gli standard europei. Gap di genere che è anche salariale: le donne sono pagate meno degli uomini di quasi 2 euro.
Temi che ha sottolineato più volte, Gianni Peracchi segretario generale Cgil Bergamo durante la presentazione dei dati congiunturali sull’economia italiana e bergamasca. Due aspetti, secondo il segretario, che “minano dall’interno lo sviluppo e, quindi, l’economia del territorio”.
“La bassa scolarità e l’alto tasso di abbandono scolastico unite alla debolezza dei legami tra imprese e sistema formativo che, come dimostra l’esperienza tedesca, sono molto importanti in un’area a vocazione manifatturiera, in prospettiva preoccupa non poco. La formazione continua dei lavoratori è indispensabile per uscire dalla crisi e per la riqualificazione professionale dei lavoratori, per cogliere nuove opportunità e non restare vittime della trasformazione del lavoro”.
Secondo i recenti dati Istat (Bes, 2020) pubblicati lo scorso 15 ottobre, la partecipazione alla formazione continua – vale a dire, la formazione, l’aggiornamento e la riqualificazione professionale dei lavoratori – rilevata nella provincia di Bergamo risulta nel 2019 la più bassa in assoluto in Lombardia, pari al 6,5% degli occupati coinvolti, in progressivo calo negli ultimi tre anni (il 7,7% nel 2016, il 7,5% nel 2017, il 6,5% nel 2018).
Altro nervo scoperto della Bergamasca, l’occupazione femminile
Tre numeri per capire a colpo d’occhio cosa significa gap di genere ovvero la differenza di condizione nel mercato del lavoro tra donne e uomini:
- tasso di occupazione: 53,7% vs 78,6% (donne/uomini 15-64 anni)
- tasso di attività*: 56,4% vs 80,8% (donne/uomini 15-64 anni)
- tasso di disoccupazione: 4,7% vs 2,8% (donne/uomini 15-64 anni)
*Il tasso di attività misura il livello di partecipazione al mercato del lavoro all’interno di un sistema economico. È dato dal rapporto fra la popolazione appartenente alla forza lavoro e la popolazione in età attiva, dove la forza lavoro corrisponde alla somma degli individui economicamente attivi, cioè occupati o disoccupati, mentre la popolazione in età attiva comprende convenzionalmente gli individui fra i 15 e i 64 anni.
La differenza di 24,4 punti registrata tra uomini e donne attivi è la più alta di tutte le province del centro-nord Italia.
Ma il gap di genere è anche salariale. I dati Cgil, rilevati ed elaborati da Ires Lucia Morosini, il “data center” dell’organizzazione bergamasca che ha redatto l’analisi congiunturale, evidenziano anche una differenza di quasi 2 euro sulla retribuzione oraria, a parità di mansioni (settore pubblico e privato insieme), tra donne (13,37 euro/h) e uomini (15,10 euro/h).
“Il percorso di inclusione al lavoro delle donne è ancora lungo – continua Peracchi – e questi dati mostrano quanto sia necessario rimuovere gli ostacoli allo sviluppo di efficaci politiche inclusive: politiche da finalizzare non solo agli interventi di conciliazione, quanto piuttosto alla rimozione di meccanismi discriminatori nell’accesso, nel trattamento e nella progressione di carriera, spesso collegati a stereotipi di genere e anche privi di un fondamento statistico, secondo i quali per l’impresa è più sicuro e più conveniente investire su un uomo rispetto ad una donna”.
Si indicano alcuni ambiti d’intervento dove è necessario intervenire con urgenza e cioè l’organizzazione flessibile del lavoro, il sistema dei congedi, i servizi di assistenza, la promozione di iniziative di carattere culturale e legislativo per lo sviluppo delle pari opportunità anche nell’ambito della famiglia.
Il reddito medio in provincia di Bergamo è di euro 23.641, + 10% dal 2012 al 2018
I dati del MEF (Ministero Economia e Finanze) sulle dichiarazioni fiscali evidenziano una dinamica positiva del reddito nominale, cresciuto in valore medio del 10% tra il 2012 e il 2018, anno in cui ha raggiunto i 23.641 euro. E poiché nello stesso periodo il costo della vita, così come misurato dalla Provincia di Bergamo (indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati) è aumentato del 3,1%, alla crescita nominale del reddito si è accompagnata anche quella reale del potere d’acquisto.
I dati rilevano anche che a Bergamo, come in altre parti d’Italia, il potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti, che rappresentano il 56,9% dei contribuenti, non progredisce alla stessa velocità di quello dei lavoratori autonomi. Se il reddito medio da lavoro dipendente è pari a 23.146 euro ed è aumentato del 4,9% nel 2019, quello degli autonomi raggiungendo i 54.650 euro è cresciuto del 20,4%.
Il principale punto di forza del mercato del lavoro locale è l’elevata capacità di assorbimento dell’offerta di manodopera, che viene misurata dal tasso di disoccupazione: questo indicatore ha raggiunto nel 2019 un valore pari a 3,5, il più basso tra tutte le province italiane ad eccezione di Bolzano.
I principali indicatori dell’economia bergamasca
L’emergenza COVID-19 ha acuito alcuni problemi che nel 2019 hanno caratterizzato l’andamento del settore manifatturiero, fortemente colpito dalle chiusure e dallo shock del commercio internazionale.
Lo scorso anno, infatti, l’industria bergamasca ha mostrato una variazione della produzione inferiore a quella lombarda (+0,2% il dato medio annuo regionale), fenomeno da porre in relazione soprattutto con il calo degli investimenti internazionali, che ha penalizzato alcune specializzazioni e in particolare i macchinari. In questo periodo, le difficoltà della meccanica hanno costituito sicuramente una delle cause del momento non felice dell’industria bergamasca; al contrario, tra i settori più rilevanti che hanno contribuito positivamente si segnalano gli alimentari, la chimica e la gomma-plastica.
Complessivamente, il numero di addetti dell’industria risultava in lieve calo già negli ultimi tre mesi del 2019 (-0,1% il saldo tra inizio e fine trimestre), a conferma che il trend di crescita occupazionale in corso dal 2015 si è arrestato.
A seguito della pandemia, l’indice della produzione industriale provinciale, fa fatto registrare un – 20,1 punti rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Nella provincia di Bergamo, il valore delle esportazioni nel II trimestre è sceso a 3.066 milioni di euro (-26,7% su base annua contro variazioni del -26,9% in Lombardia e del -27,8% in Italia); le importazioni sono state pari a 1.809 milioni (-26,6% tendenziale contro -24,8% in Lombardia e -28,4% in Italia). Il calo dell’export, poco più accentuato rispetto al Nord-est (-23,2%), ha riguardato tutti i settori trainanti (in primo luogo macchinari -25,9% – e prodotti chimici -20,7%) e, quali aree di esportazione, soprattutto i maggiori paesi di destinazione delle merci bergamasche: Germania (-20,3%), Francia (-27,4%), Stati Uniti (-31,7%), Spagna (-36,8%) e Regno Unito (-32,7%).
Secondo la nota congiunturale pubblicata dalla Camera di Commercio di Bergamo, nel secondo trimestre 2020 il numero delle imprese attive è calato di 852 unità rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (-1%). La variazione tendenziale del numero degli addetti totali della provincia (con esclusione del settore pubblico e delle attività dei liberi professionisti) risulta assai negativa: – 3%, circa 12mila unità in meno (da 408.163 a 395.482 addetti). Il settore Manifatturiero (-5,2%), il Trasporto e magazzinaggio (-6,8%), le Attività professionali, tecniche e scientifiche (-5,7%), l’Istruzione (-5,1%) e l’Informazione e comunicazione (-4,5%) hanno fatto registrare le performance peggiori.
I DATI DI GOOGLE
I dati di Google sugli spostamenti casa-lavoro: a Bergamo – 21% di media tra gennaio e settembre 2020.
In base ai dati forniti da Google, la variazione degli spostamenti verso i luoghi di lavoro (media delle variazioni giornaliere rispetto allo stesso giorno settimanale rilevata su arco temporale 3 gennaio/6 febbraio 2020) ha registrato, da gennaio a settembre 2020, una riduzione del 20% in Italia e del 21 % in provincia di Bergamo.
LA CASSA INTEGRAZIONE
La Cassa integrazione ha salvato lavoro e salario. E ora?
Il principale strumento adottato dal governo per fronteggiare la crisi in atto è stata la Cassa integrazione. Grazie alla causale “Covid-19” applicata alla Cig ordinaria e alla Cig in deroga, è stato possibile “coprire” i lavoratori delle piccole, medie e grandi imprese che sono state costrette a ridurre o sospendere l’attività a causa dell’epidemia.
In Bergamasca, il numero di ore di Cig autorizzate negli ultimi 5 mesi (aprile-agosto 2020) è molto alto: circa 55 milioni di ore per la Cig ordinaria (il monte ore più elevato dopo la provincia di Milano); 11,2 milioni per la Cig in deroga.
La concessione degli ammortizzatori alle imprese è stata vincolata ad un divieto dei licenziamenti per l’intero periodo di fruizione.
“Il combinato cassa integrazione/divieto di licenziamento ha contribuito – conclude Peracchi – a giudicare dai dati disponibili, a tenere in vita sia i posti di lavoro sia le imprese. Ora chiediamo al Governo di prorogare le misure di tutela. La trattativa non ha ancora raggiunto un risultato a Roma; siamo in attesa di un incontro con il Presidente del Consiglio, che speriamo di avere al più tardi all’inizio della prossima settimana”.
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