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Ricerca della perfezione

Dismorfia da selfie: ossessione comune tra i più giovani

L’ossessiva ricerca dell'idea di una perfezione al confine tra fantastico e reale non produce solo effetti sull’autostima e percezione di sé, ma può rappresentare l'innesco del disturbo di dismorfismo corporeo

“A cosa stai pensando?”. Riflettendo su quanto sia cambiato il mondo dei social media, questa frase di Facebook, nonostante i suoi soli 16 anni, ci appare antiquata. Sedici anni fa un social network chiedeva di condividere i nostri pensieri usando un numero infinito di parole che presto si sarebbero ridotte a un’immagine. La prima trasformazione di questa modalità è arrivata da Twitter con il suo limite di 140 caratteri per ogni tweet, seguita da Instagram, un social fatto solo di immagini e infine da Snapchat dove l’immagine dura pochi secondi prima di “sparire”, rimanendo in realtà in qualche banca dati.

Ma nel mondo dei giovani con un futuro precario esiste ancora qualcosa che dura per sempre: i selfie.

Se un selfie è “per sempre” allora deve essere perfetto: inquadratura, luci, posa, filtri sono studiati nei minimi particolari. Sono stati proprio i filtri a permettere al chirurgo estetico britannico Tijion Esho, di coniare il termine “Snapchat dysmorphia”. Da qualche tempo infatti il Dottor Esho aveva notato che i pazienti, sempre più giovani, si presentavano alle sue cliniche di Londra e Newcastle, non più con foto di celebrità, ma con i propri selfie chiedendo di assomigliare a quell’immagine manipolata dai filtri dei social.

La Società Italiana di Medicina Estetica ha rilevato che oltre il 40% dei giovani italiani (dai 18 ai 29 anni) ricorrerebbe a interventi estetici e di chirurgia plastica per migliorare il proprio aspetto fisico. Gli interventi più richiesti riguardano il naso, le palpebre ed iniezioni di filler e botulino a labbra e zigomi.

L’ossessiva ricerca dell’idea di una perfezione al confine tra fantastico e reale non produce solo effetti sull’autostima e percezione di sé, ma può rappresentare l’innesco del disturbo di dismorfismo corporeo.

Questa psicopatologia è classificata tra i disturbi ossessivo-compulsivi e si manifesta attraverso un’eccessiva preoccupazione per un proprio difetto fisico. Si tratta di una grave condizione mentale il cui studio si è intensificato proprio negli ultimi due decenni. La sua diffusione è ancora sottovalutata nonostante diversi studi epidemiologici abbiano mostrato essere più comune di anoressia nervosa e schizofrenia. (APA, 2014). L’età di esordio del disturbo si attesta intorno ai 16 anni, manifestandosi nelle donne attraverso un disturbo alimentare e negli uomini con un’eccessiva preoccupazione legata ai genitali.

Essere un millennial vuol dire avere un’identità digitale perfetta e percepirsi come deformati e ciò attiva due sistemi motivazionali interpersonali: il sistema di attaccamento e il sistema di rango. Il primo è caratterizzato da comportamenti compulsivi per controllare il proprio corpo, da tensione e da rabbia costante. Il secondo dall’isolamento rancoroso derivato dall’invidia, dalla paura del giudizio altrui e la tristezza che segue una delusione. Nel loro volume sul disturbo di disformismo corporeo, Scarinci e Lorenzini hanno individuato nella rielaborazione cognitiva e nella critica agli errori di valutazione due strategie efficaci per il trattamento e la cura di questa grave condizione mentale.

Alla luce di tutto questo, ogni volta che scattiamo un selfie, ma soprattutto lo riguardiamo, forse vale la pena chiedersi quale sia il costo reale per la nostra vita di aggiungere un filtro.

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