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Roberto vavassori

Auto elettrica? “È il futuro, ma non possiamo dipendere solo dall’Asia”

Le riflessioni del direttore sviluppo e marketing in Brembo e consigliere Clepa dopo esserne stato presidente

Un’auto elettrica che rispetti la neutralità tecnologica, che eviti la dipendenza da alcuni Paesi asiatici, che abbia valore aggiunto innovativo europeo e che consenta una mobilità sostenibile: è l’idea di Roberto Vavassori, Chief Public Affairs Officer di Brembo, già presidente di Clepa (European Association of Automotive Suppliers) e Anfia (Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica), delle quali oggi è consigliere.

Soluzione possibile?

“Siamo in una fase di transizione regolamentare e tecnologica che certamente va nella direzione di un incremento delle auto elettriche – spiega Vavassori -. Il vero tema è come governare questa transizione verso lo sviluppo sostenibile a cui ci indirizza l’Agenda 2030 con i suoi obiettivi di decarbonizzazione dell’Europa, senza distruggere tecnologie che possono ancora dare molto, come i motori a combustione interna alimentati da carburanti sintetici e rigenerati, assolutamente sostenibili, che possono rappresentare un’eccellenza italiana. L’elettrificazione del parco auto sarebbe bene avvenisse con valore aggiunto europeo assai più elevato rispetto all’attuale. Ogni vettura elettrica venduta oggi in Europa contiene in media dai 5 ai 10mila euro di prodotto asiatico, soprattutto cinese, per le celle delle batterie e i materiali dei motori elettrici. Le aziende europee e quelle italiane subiscono questa situazione. Nello stesso tempo, sarebbe poco lungimirante proseguire la rincorsa a una tecnologia già datata come quella delle batterie al litio, inventate oltre quarant’anni fa; la ricerca europea va indirizzata in altre direzioni, sulla tecnologia legata all’idrogeno, ad esempio. Noi come componentisti siamo a favore della neutralità tecnologica, i governi dovrebbero favorire sperimentazioni ad ampio raggio in ottica di una riduzione coerente dell’inquinamento. La CO2 non conosce confini, e se viene prodotta in Cina anziché in Europa causa a livello globale il medesimo danno. Non va sottovalutato l’aspetto geopolitico legato all’elettrificazione del parco italiano ed europeo: le case costruttrici europee stanno stringendo accordi di fornitura con produttori cinesi di batterie per decine di miliardi di euro e per i prossimi dieci anni. Significa divenire quasi totalmente dipendenti dalle forniture di questi componenti fondamentali da un’unica regione del mondo, e con i recenti scenari protezionistici del commercio mondiale questo è un rischio molto serio. Il tema, infine, a mio avviso è anche sociologico: oggi la mobilità elettrica è necessariamente ancora elitaria, visto il costo dei veicoli che adottano questa tecnologia: se continuiamo su questa strada senza attendere una vera democratizzazione dei veicoli elettrici, ci sarà una sorta di ‘electric divide’ tra chi potrà entrare in città perché possiede un’auto elettrica e chi no perché non se la può permettere”.

“Per l’auto elettrica Brembo si è posta due obiettivi – aggiunge Vavassori – ovvero di ulteriore alleggerimento del peso e aumentato comfort acustico, ovvero riduzione del possibile rumore”.

La sfida, dunque, è produrre freni più leggeri e silenziosi?

Sì, e per farlo stiamo sviluppando un sistema frenante ‘brake-by-wire’, più leggero e destinato a sostituire i classici componenti idraulici – continua -, e che deve integrarsi con i cosiddetti sistemi di frenata rigenerativi nelle auto elettriche e ibride, che recuperano energia durante la frenata, ricaricando parzialmente la batteria.

La tematica ambientale non può essere marginale in tutto questo processo e non lo è, sicuramente, per Brembo che ha avviato un programma per la produzione di componenti ad alte prestazioni partendo da una serie di materiali riciclati e con conseguente minor inquinamento nella produzione, minori emissioni delle motorizzazioni tradizionali e una migliore efficienza dei modelli elettrici prolungandone l’autonomia.

E l’azienda è stata premiata a metà febbraio con il “Daimler Supplier Award” per la sostenibilità , qualche giorno dopo aver ricevuto da CDP (organizzazione globale no-profit, che supporta le aziende nella misurazione e gestione delle informazioni sul cambiamento climatico) il riconoscimento come una delle aziende leader a livello mondiale per la riduzione della CO2 nei propri processi produttivi e per la gestione delle risorse idriche, in risposta al cambiamento climatico del pianeta.

“Partendo dal presupposto che personalmente sono un sostenitore della mobilità elettrica – precisa Vavassori -, oggi questo tipo di vettura ci viene proposta quasi come la soluzione miracolistica di tutto il problema dell’inquinamento del nostro territorio, ma così non è. La Lombardia è la regione più problematica in Italia per la qualità dell’aria, anche per problemi di orografia, con la pianura padana ben contornata dall’arco alpino che favorisce il ristagno dell’aria. Tuttavia, se osserviamo il trend degli ultimi anni non possiamo ignorare un miglioramento certificato e significativo. Anche Bergamo, che nel 2013 ha superato la soglia giornaliera ammessa di polveri sottili per ben 112 volte, nel 2019 lo ha fatto ‘solo’ per 29 volte e per il quarto anno consecutivo ha rispettato la media annua di 40 microgrammi di PM10 al metro cubo. Si può e si deve fare meglio, certamente, e per farlo rapidamente basterebbe sostituire un terzo del parco circolante costituito da veicoli Euro3 o precedenti, veicoli quindi con oltre venti anni di anzianità, e quindi privi dei moderni dispositivi antinquinamento. E va sempre ricordato che i veicoli non sono la principale causa di emissione di polveri sottili nella nostra regione”.

A sostegno di questa tesi, secondo il XIV rapporto Qualità dell’ambiente urbano di Ispra, nel 2015 la principale fonte di emissione di Pm10 erano i sistemi di riscaldamento (per due terzi), mentre il trasporto su strada e l’industria avevano praticamente dimezzato il loro peso rispetto al rapporto del 2005.

“Se allarghiamo lo sguardo a livello mondiale, il 23% delle emissioni di CO2 causate dall’attività umana vengono prodotte dai trasporti – continua Vavassori –, incluse navi ed aerei. Il settore dei trasporti su gomma costituisce circa il 15% delle emissioni di CO2 annue globali, diviso a metà tra veicoli leggeri, auto e moto, e veicoli pesanti. Complessivamente quindi la mobilità leggera, a livello mondiale, produce il 7% di emissioni annuali di CO2. Se concentriamo lo sguardo sull’Europa, che emette in totale circa il 10% della CO2 globale, la mobilità delle auto nel vecchio continente vale quindi lo 0,7% delle emissioni globali. Cosa significa? Che se anche convertissimo dalla sera alla mattina tutto il parco auto circolante europeo in veicoli elettrici abbatteremmo le emissioni globali di CO2 solamente dello 0,4%, dato che per produrre l’energia necessaria a muoverli dovremmo bruciare fossili per circa il 70%. La considerazione è quindi: quanto valgono i nostri sforzi locali se altri Paesi del mondo, Cina, Usa e India su tutti, continuano ad andare avanti per la loro strada, dandosi obiettivi meno ambiziosi dei nostri?”.

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