“I Promessi Sposi”, la cui prima puntata andò in onda il primo gennaio 1967, fu diretto da Sandro Bolchi, mentre nei panni dei personaggi principali troviamo Paola Pitagora, ovvero Lucia Mondella, Nino Castelnuovo, alias Renzo Tramaglino, due attori ancora sconosciuti all’epoca, e Tino Carraro, la cui carriera era invece già ben avviata. Tratto dal famoso romanzo storico ambientato nella Lombardia del 1628-1630, ha per protagonisti i giovani Renzo e Lucia, il cui matrimonio viene impedito dal signorotto del loro paese, don Rodrigo, a causa di una futile scommessa col cugino Attilio. In seguito a un tentativo di rapimento della ragazza, i due fidanzati sono costretti a separarsi e a fuggire, andando incontro a una serie di disavventure (Lucia incontrerà la monaca di Monza, l’innominato, il cardinal Borromeo, mentre Renzo sarà coinvolto nei moti popolari a Milano il giorno di S. Martino del 1628 e dovrà rifugiarsi nel Bergamasco).
La peste del 1630 farà in modo che i due promessi si ritrovino nel lazzaretto di Milano e, in seguito alla morte del loro persecutore a causa dell’epidemia, potranno infine sposarsi e trasferirsi nel territorio di Bergamo.
Per quanto riguarda i dialoghi, sono molto fedeli al romanzo e si può notare che porzioni intere del testo originale sono recitate integralmente; inoltre, vi è una voce fuori campo fortemente presente, che svolge il ruolo dello stesso Manzoni narratore: Giancarlo Sbragia, un attore e drammaturgo italiano, che accompagna le vicende, aggiungendo qualche appunto contestuale e storico, con una voce profonda, da cui traspare leggermente un po’ del suo accento romano.
Gli altri interpreti: Lilla Brignone (Agnese), Tino Carraro (Don Abbondio), Elsa Merlini (Perpetua), Luigi Vannucchi (Don Rodrigo), Glauco Onorato (Il Griso), Massimo Girotti (Fra’ Cristoforo), Lea Massari (La Monaca di Monza), Salvo Randone (L’Innominato), Mario Feliciani (Cardinale Federico Borromeo), Cesare Polacco (Conte zio), Fosco Giachetti (il Principe), Germana Paolieri (la Principessa), Sergio Tofano (Don Ferrante), Aldo Soligoj (Egidio), Gianni Bonagura (Tonio).
Formata da otto episodi per un totale di 480 minuti, la serie prodotta e trasmessa dalla Rai in una TV che ancora non conosceva le cinematografie a colori, riscuote grande successo e anche al giorno d’oggi non è considerata di secondo piano, Fu un successo insperato di ascolto: circa venti milioni di telespettatori avevano seguito le varie puntate del romanzo, in un’Italia nella quale la diffusione dell’apparecchio televisivo non era ancora capillare e rimanevano lungo la penisola e nelle isole zone d’ombra nel ricevere il Segnale TV. La domenica sera c’era l’invasione degli appartamenti, con i bambini seduti per terra davanti all’apparecchio e gli altri sistemati stretti, stretti, con tutte le sedie disponibili, anche portate da una famiglia vicina.
La maggior parte delle scene sono girate a Lecco, scenario della primissima inquadratura, Pavia, Bergamo, che è invece protagonista delle inquadrature dall’alto e di quelle delle sue viuzze, Inverigo, Como, dove sono girate per la maggior parte le scene di esterni, e Monza. Tra le riprese più belle e celebri spiccano quelle dell’“Addio ai monti”, girate sul ramo leccese del lago di Como, perfetto per la scena poetica del barcaiolo, in quanto, a detta del registra, sarebbe stata la zona allora meno inquinata dall’urbanizzazione.
“I Promessi Sposi” rimane una pietra miliare nella storia della RAI. La qualità di interpretazione, di scrittura e di regia, rappresenta infatti un punto raramente ripetuto nella storia dell’emittente televisiva di Stato, quando ancora l’intrattenimento della RAI coincideva con la grande cultura. Come ricordò Sandro Bolchi in un’intervista di alcuni anni dopo, “Il successo che ebbe lo sceneggiato contribuì a una vendita clamorosa del romanzo, adempiendo così allo scopo che mi ero proposto. Non ricordo i dati delle vendite del libro ma credo che anche questi fossero clamorosi”.
Quest’opera segna l’apice della cultura teletrasmessa, il punto d’arrivo dell’arte dello sceneggiato e la più perfetta incarnazione della concezione estetica dello stesso e, nel contempo, l’inizio del crepuscolo degli sceneggiati televisivi, modellati sul rapporto privilegiato con la letteratura e il teatro. Finisce perciò un’epoca della televisione italiana, intrisa di forte vocazione pedagogica, muore lo sceneggiato inteso come riduzione o traduzione di pagine di letteratura, termina il modo stesso di dirigerli: non più prevalenza di interni, cauti movimenti di macchina, surplace narrativo.
Dopo aver fatto i conti con il Romanzo Italiano per eccellenza e dimostrato, con il conseguente grande successo di audience e il suo rigore letterario, la RAI, conscia della sue capacità tecniche e produttive, volge la sua attenzione al cinema. Non più quindi una televisione fatta al chiuso e in magnetico, ma l’attivazione di un rapporto con la grande macchina spettacolare del cinema italiano e internazionale. Come vedremo in seguito, negli anni Settanta la RAI cominciò anche a finanziare film destinati alle sale, con il vantaggio di poterli poi trasmettere in tv senza pagamenti aggiuntivi (“diritto d’antenna”). Questa pratica diverrà poi sempre più estesa e la partecipazione dei finanziamenti RAI sarà sempre più una voce importante di molta parte della cinematografia nostrana. Tra i primi: “La strategia del ragno” di Bernardo Bertolucci e “I Clowns” di Federico Fellini, ambedue del 1970.
Cessando di produrre in proprio gli sceneggiati, la RAI cominciò a ricercare intese e collaborazioni con imprese cinematografiche private e reti televisive estere. Ciò permise un maggior investimento economico e il varo di veri e propri kolossal.
Il primo di questi fu “L’Odissea”, regia di Franco Rossi, prodotto nel 1968 con un cast internazionale, e realizzato in maniera tuttora godibilissima. Questi sceneggiati di impegno internazionale avevano una qualità assai alta, e furono comprati da molte reti estere. Tra questi: “L’Eneide”, sempre di Franco Rossi, 1971, “La vita di Leonardo Da Vinci”, regia di Renato Castellani, 1971, “Mosè”, regia di Gianfranco De Bosio, 1974, “Sandokan”, regia di Sergio Sollima, 1976, “Gesù di Nazareth”, regia di Franco Zeffirelli, 1977.
Queste produzioni di successo sono ancor oggi ben presenti nella memoria storica e personale (come altri sceneggiati “classici” che vedremo in altre puntate del racconto), ma il declino dello sceneggiato era ormai segnato.
Infine, e paradossalmente, sarà proprio l’era del colore che contribuirà a porre fine alla grande tradizione dello sceneggiato tv; oggi morto e sepolto e solo in qualche modo sostituito dalle moderne fiction che non hanno nulla a vedere con gli sceneggiati “tradizionali”. Con tanta nostalgia per tutti coloro che ancora oggi li apprezzano.
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