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L'intervista

Ponte di Genova: il contribuito dei tre ingegneri dell’Università di Bergamo

Il contributo all’opera ideata da Renzo Piano non si un punto d’arrivo per i tre professionisti bergamaschi, ma un trampolino verso la realizzazione dei propri obiettivi

Il Ponte San Giorgio a Genova è uno dei principali esempi della forza dell’Italia, capace di rinascere dalle proprie macerie.

Completato in poco meno di due anni dal tragico crollo del “Viadotto Polcevera”, l’infrastruttura ligure ha rappresentato il lavoro collettivo di un popolo che non si è fermato davanti a nessun ostacolo.

Le numerose polemiche che hanno investito il progetto, il Coronavirus e le difficoltà ambientali non hanno bloccato la tenacia di migliaia di operai e tecnici che hanno lavorato instancabilmente per oltre seicento giorni.

Un apporto fondamentale è stato offerto anche dai giovani come confermato dall’Università di Bergamo e dal progetto messo a punto dai ricercatori Denny Coffetti, Elena Crotti e Gabriele Gazzaniga, guidati dal professor Luigi Coppola, docente di Materiali per il restauro delle strutture e Materiali per l’edilizia presso i Corsi di Laurea in Ingegneria Edile.

L’iniziativa, nata dalla collaborazione tra il Dipartimento di Ingegneria e Scienze Applicate e Italcementi e Calcestruzzi, ha portato allo sviluppo di una particolare tipologia di calcestruzzo utilizzato per la soletta dell’impalcato della nuova struttura.

“Il progetto deve in realtà la propria origine alla lunga cooperazione che unisce l’azienda all’università, come ho già avuto modo di osservare in fase di stesura della tesi triennale nel 2012. In questo caso specifico, il professore ha avuto i primi contatti con la società affinché si potessero risolvere una serie di problematiche riguardanti la messa in opera del materiale – spiega Denny Coffetti – Da qui si è provveduto a stilare un programma di ricerca e, attraverso una serie di prove sperimentali, abbiamo individuato il mix-design atto a garantire alcune specifiche caratteristiche, dalla durabilità del calcestruzzo alla pompabilità dello stesso da terra sino in cima al viadotto”.

Laureati in Ingegneria Edile, i tre ricercatori hanno avuto modo di raggiungere questo importante sia grazie al lavoro svolto durante il proprio percorso accademico svolto all’interno dell’ateneo cittadino.

“Ho iniziato a occuparmi di ricerca nel campo dei materiali cementizi nei laboratori del Campus di Dalmine alcuni anni fa, in occasione della preparazione della mia tesi magistrale avvenuta nel 2016 durante la quale avevo studiato le proprietà reologiche e meccaniche di malte attivate alcalinamente per la produzione di materiali cementizi privi di cemento Portland – dichiara Elena Crotti – In seguito ho avuto modo di proseguire questa attività grazie al dottorato di ricerca di cui tutt’ora mi sto occupando. Focalizzato principalmente sulla durabilità e sostenibilità dei materiali stessi, esso mi ha permesso di prendere parte a questo importante programma”.

Un apporto importante è stato offerto anche dalle esperienze professionali fruttate dopo il conseguimento del titolo accademico, come raccontato da Gabriele Gazzaniga: “A differenza dei miei colleghi, dopo essermi laureato alla fine del 2016, ho preferito gettarmi nel mondo del lavoro trovando un impiego in una piccola impresa edile dove mi occupavo di contabilità, accorgendomi come quell’attività non mi appartenesse molto. Mi è quindi stata avanzata questa nuova proposta che ho accettato subito di buon grado, divenendo un assegnista”.

La pandemia globale non ha bloccato gli studi dei giovani tecnici orobici che hanno avuto modo di proseguire il proprio lavoro grazie all’ausilio della tecnologia.

“La fortuna ci ha assisti in quanto abbiamo svolto l’ultima prova due giorni prima della chiusura dei laboratori, altrimenti sarebbe stato impossibile svolgerli a domicilio. Dal punto di vista sperimentale siamo quindi riusciti a completare quanto necessario senza grosse difficoltà, per la parte invece di stesura delle relazioni ed elaborazione dei dati lo abbiamo potuto far da casa – sottolineano i ricercatori -. Oltre al lockdown, avevamo anche un problema di scadenze perché la soletta andava completata entro certi termini affinché il ponte potesse esser inaugurato”.

Il contributo proferito nell’opera ideata da Renzo Piano non si tratterà di un punto d’arrivo per i tre professionisti bergamaschi, ma piuttosto di un trampolino verso la realizzazione dei propri obiettivi.

“Fortunatamente questo non è l’unico progetto importante che abbiamo potuto sviluppare negli ultimi anni. Un esempio è quello svolto in collaborazione con l’opera del Duomo di Firenze per il restauro del Battistero, un lavoro estremamente dispendioso e lungo, anche se molto soddisfacente – conclude Coffetti – A livello personale mi auguro di poter continuare a occuparmi di queste tematiche, venendo coinvolto nuovamente in progetti di tale caratura”.

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