“Filumena Marturano” è una delle più note e applaudite commedie di Eduardo De Filippo. Nell’allestimento andato in onda il 5 febbraio 1962, la regia è dello stesso Eduardo, nonché interprete con Regina Bianchi e Antonio Casagrande. La vicenda ruota intorno all’astuta e generosa Filumena, per molti anni servizievole governante e amante di un benestante napoletano da cui, con scaltrezza tipicamente partenopea, riesce a farsi sposare. La commedia è stata più volte riproposta dalla Rai, in repliche immancabilmente premiate da un grande successo di ascolti.
Quell’anno viene proposta per il piccolo schermo, ridotta da Alessandro De Stefano, la vicenda sentimentale e allucinata immaginata da Dostoevskij nel romanzo “Le notti bianche” (1848). Nel cast, diretto da Vittorio Cottafavi, Monica Vitti, Giulio Bosetti, Ottavia Piccolo. Un’ efficace ambientazione e l’eccellente interpretazione di Bosetti, nel ruolo del giovane sognatore che si innamora di una fanciulla incontrata per caso, conferiscono allo sceneggiato tensione narrativa e spessore drammatico.
L’11 marzo andava in onda la prima di sei puntate dello sceneggiato “I Giacobini”, con la regia di Edmo Fenoglio, un dramma teatrale scritto da Federico Zardi e messo in scena al Piccolo Teatro di Milano, diretto da Giorgio Strehler, nella stagione 1956-1957; in seguito lo stesso Zardi curò nel 1960 la riduzione radiofonica e nel 1962, per l’appunto, quella televisiva. Fu un avvenimento culturale e politico “epocale”, nazionale, europeo; un impegno finanziario enorme, un vero e proprio kolossal televisivo, con scene di massa in cui recitavano anche cento comparse. Una cosa mai vista prima d’allora per la TV in Italia. E su un argomento difficile dal punto di vista storico-culturale, e al tempo stesso “delicato”. Grandissimo il cast: Serge Reggiani è Robespierre, Alberto Lupo è Camillo Desmoulins, Sylva Koscina è Lucilla Duplessis; e ci sono anche Carlo Giuffrè, Valeria Ciangottini, Warner Bentivegna, Franco Volpi, Lia Zoppelli.
Come detto, lo sceneggiato fece scalpore non solo per la grande rilevanza culturale (la diffusione della cultura attraverso il medium televisivo, che stava prendendo sempre più il sopravvento nelle abitudini degli italiani è uno degli aspetti più caratterizzanti di quei tempi, non certo sempre “aperti” e progressisti), ma perché fu un avvenimento di fatto “politico” che mosse le coscienze, il pensiero, i sentimenti, di milioni di italiani. Per alcune settimane, infatti, alcuni milioni di italiani, di tutte le condizioni e di tutte le età, hanno visto e hanno avuto davanti alla mente loro una rivoluzione, sono stati tratti a pensarla e giudicarla concretamente, come conflitto politico, sociale e umano, a discuterne, a parteggiare. Ne risultò, che anni dopo furono distrutte tutte le registrazioni audio e video, per opera, pare, di un fin troppo solerte e sciocco funzionario Rai che pensò “bene” di far sparire un così importante e “rivoluzionario “documento. (Il solo audio è stato recuperato nel 2012, grazie a uno spettatore che lo registrò all’epoca, e che lo ha donato all’emittente di Stato).
“Una tragedia americana”, dall’11 novembre. Tratta dall’omonimo romanzo di Theodore Dreiser, considerato il padre del romanzo moderno americano, l’opera è una critica al capitalismo, incarnazione economica del sogno americano. Ambientata nell’America degli anni ’20 a Kansas City, la storia è quella di Clyde Griffith, un giovane operaio che, con l’intento di sposare una ragazza ricca, progetterà di uccidere la sua fidanzata incinta, Roberta Alden, operaia anche lei. Figlio di un predicatore evangelista, Clyde ha sempre condotto una vita umile, ed è alla ricerca di un riscatto sociale; l’occasione sembra presentarsi quando conosce la ricca Sondra Finchley, appartenente alla borghesia della città. La gravidanza della sua ragazza diventerà dunque l’ostacolo che si frappone tra lui e la sua scalata sociale, l’impedimento da cancellare: quando Roberta cadrà in acqua, Clyde la lascerà annegare, nonostante si stia rendendo conto della crudeltà del suo gesto. L’uomo sconterà poi la sua colpa con la pena di morte, condannato alla sedia elettrica per omicidio. Più che alla condanna del sistema capitalistico però, lo sceneggiato di Anton Giulio Majano presta invece molta attenzione alla psicologia dei personaggi; in particolare si concentra sulla madre, interpretata da Lilla Brignone, che si fa portatrice dei valori cattolici del perdono e della redenzione. Notevole l’interpretazione di Warner Bencivegna nel ruolo di Clyde. Altri interpreti: Virna Lisi, Giuliana Lojodice, Alberto Lupo, Luigi Vannucchi, Renzo Palmer e Roldano Lupi.
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